"125°: L'esecuzione [parte 1]"
Michele
Mi sveglio. Ormai è giorno fatto. Lei non è più qui. Davide è entrato questa notte, mentre lei dormiva, l'ha vestita e l'ha portata via. Lei non si è resa conto di nulla, fortunatamente. L'ho tenuta stretta finché ho potuto farlo.
Mi alzo, vado nel piccolo bagno e mi lavo con cura, come al solito... ma stavolta ci metto anche più delicatezza. Non voglio perdere il ricordo del suo tocco delicato sulla mia pelle.
Mi vesto in fretta, per quanta fretta io possa metterci, perché fisicamente sono piuttosto debole.
La porta della mia cella si apre e credo che sarà l'ultima volta in cui potrò udirne il cigolio. Per quanto sia un rumore fastidioso, un po' mi mancherà.
"È ora, Michele." mi dice Romano, beffardo. Mi lancia contro un enorme camice nero, che afferro al volo.
"Che onore! Sarai tu a scostarmi verso la fine del mio ultimo viaggio?"
"No, purtroppo non ci sarò io."
"E chi? Quell'idiota di mio fratello?" chiedo beffardo.
"Fossi in te non farei tanto dello spirito!" mi dice ridendo.
"Io se fossi in te mi farei un bell'esame di coscienza. Io qui ho finito... ma tu no, e non so se riuscirai a posare la testa sul cuscino dopo quello che hai fatto passare ai prigionieri..."
Romano si allontana come se mi avesse toccato e si fosse scottato. Al suo posto mi raggiunge Davide. Quando lo guardo, vedo che non deve aver passato una notte tranquilla. Ha gli occhi rossi, gonfi e sfuggenti. Io riesco a stento a guardarlo negli occhi, ma lui non mi guarda mai. Mi sporgo in avanti e vedo anche un'altra cosa che mi fa sentire quasi in colpa per quello che sta per succedermi: è molto pallido.
Indosso il camice nero con un grosso cappuccio che mi copre metà faccia, ma non abbastanza da rendermi irriconoscibile.
"Mi dispiace... ma devo legarti le mani." dice.
Tendo le braccia, senza alcuna protesta.
"La sai una cosa, Michele?"
Il suo tono è basso e tremante. Riesco a stento a capire quello che ha detto.
"Praticamente tutto il tuo quartiere è in lacrime per te."
Dopo tre secondi lo vedo prendersi la testa fra le mani e scuoterla forte da una parte all'altra.
"Accidenti a me e al fatto che te l'ho detto!" dice con rabbia.
"Tranquillo." dico con calma.
"Senti... il giudice, con te, non è stato per nulla clemente. Non solo la tua esecuzione è ingiusta di per sé... ma la cosa peggiore è che si svolgerà in piazza." dice tristemente.
Non protesto, perché ho giurato che la notte trascorsa con Dora mi avrebbe dato la forza di sorridere fino all'ultimo... fino a non poterlo più fare.
Davide non tira la corda. Mi dice di tenere le mani in basso, ma credo che quando mi verrà applicato quell'adesivo con la scritta: "Condannato" in fronte, non mi sarà molto utile nascondere la corda che mi stringe i polsi.
"Andiamo, che è meglio. Ci manca solo che mi deridano perché sono arrivato con qualche minuto di ritardo alla mia esecuzione!"
Davide tiene la corda con la mano sinistra, ma non la tira come si tira un cane al guinzaglio. La tiene per la punta ed io lo seguo, sempre senza protestare in nessun modo.
Esco dalla cella e vengo investito da una fortissima luce che mi fa bruciare gli occhi e mi porta a vacillare fin quasi a cadere.
Vedo Mattia e Romano che mi guardano con una risata molto mal celata... ma questo non mi porta ad abbattermi. Ripenso al personaggio dal quale ho preso il nome, che ha fatto una fine simile alla mia.
Lui non aveva nessuno. Forse i suoi compagni, condannati come lui... o forse una ragazza che gli voleva bene, ma aveva praticamente un intero popolo contro. Io ho avuto fortuna, perché non sono molte le persone che mi vogliono vedere con un segno violaceo sul collo e che se la ridono di gusto nel vedermi camminare con una corda intorno ai polsi e il camice nero tipico dei condannati. Sento una mano posarsi sulla mia spalla sinistra e mi fermo di scatto.
"Mi dispiace, ragazzo! Non ho potuto farci niente." mi dice il commissario.
Mi volto nella sua direzione, cercando di non coprirmi gli occhi con la stoffa di quell'enorme cappuccio.
"Lo so." gli dico semplicemente. Lo so, perché lui ha dato anima e corpo per difendermi, ma le prove del grafologo, del filmato, di quel dannato diario, la deposizione di Dora e Dio solo sa cos'altro, sono state definite "manipolate" dal giudice che si stava occupando dal mio processo.
Usciamo dall'edificio, ma sulla soglia vengo fermato dal mio ex compagno di cella, che strappa la corda dalle mani di Davide e mi abbraccia, in lacrime.
"Ehi!" gli dico cercando di non cadere dato che sono un po' in bilico per l'abbraccio, che tra l'altro non posso ricambiare perché rischierei di spezzare qualche osso al mio amico o di fargli finire la corda attorno al collo per muovermi. "Non piangere, ti prego! Sei stato davvero un amico eccezionale e io te ne sono grato, credimi!"
"Anche tu... ma tutto questo è ingiusto! Tu mi hai insegnato a leggere e scrivere, mi sei stato vicino, mi hai curato... e quella ragazza si sta occupando delle cure di mia sorella. Quella che tu ami. Tutto questo non è giusto..."
"Antonio, se non c'è stato verso di fare niente vuol dire che è in questo modo che doveva finire, capito? Non devi fartene un cruccio, per nessun motivo. Non ti nego che mi dispiace andarmene, ma se devo farlo voglio farlo nel modo migliore."
Lui continua a singhiozzare, stringendosi a me, e devo fermarlo, altrimenti farà piangere anche me e non voglio.
Non voglio farlo oggi, non voglio che quelli che amo mi vedano farlo.
"Ehi! Adesso basta, però!" lo riprendo ironicamente. "E mi raccomando: quando finalmente uscirai da questa maledetta cella per sempre, evita i film strappalacrime!"
Lui annuisce. Sa benissimo a cosa mi riferisco. Parlo del film che mi ha nominato la prima volta, storpiandone un pochino il nome.
Romano e Mattia tirano indietro Antonio, facendomi sbilanciare e facendolo urlare mentre si dibatte come un ossesso.
"Lasciatelo! LASCIATELO STARE!" grido.
Cerco di difenderlo, ma in queste condizioni non posso fare un accidente di niente e questo mi fa star male.
Per fortuna ci pensa il commissario a liberarlo.
"Non puoi fare niente, capisci? Purtroppo nessuno può fare più niente per lui. Ragazzo, cerca di non piangere. Cerca di essere forte per lui. È un carico eccessivo per le sue spalle... okay?"
Il mio compagno annuisce mentre Davide mi porta fuori. I miei occhi si abitâkno gradualmente alla luce esterna. Il Sole mi sfiora delicatamente le guance, come per dirmi addio.
Per arrivare in piazza ci vuole un po' di tempo e quello che vedo da una parte mi lusinga e dall'altra mi strazia. Vedo delle persone affacciarsi alle finestre. Vedo degli occhi rossi di pianto, anche se mi è possibile vederli solo per pochi secondi prima che quelle teste si ritraggano o che delle mani coprano quegli stessi occhi. Sento anche la voce di una ragazzina... una che conosco perché ho anche lavorato in una scuola. Mi occupavo semplicemente di catalogare carte, ma quando uscivo mi piaceva giocare con i bambini. Loro sanno. Loro capiscono.
Quella bimba mi chiama e scoppia a piangere, poco lontano da me. La madre l'abbraccia e piange insieme a lei. La sento sussurrare: "Che dicano quello che vogliono, ma stanno togliendo la vita ad un bravo ragazzo."
Vorrei portare le mani al petto, perché tutto questo mi provoca dolore, ma non posso farlo.
Quando arriviamo alla piazza designata per la mia esecuzione vedo un piccolo drappello, se si può chiamare con questo nome.
In testa ci sono Carmen e Vittorio. Lui tiene un braccio attorno alle spalle della moglie, cercando di confortarla.
Subito dietro di loro vedo i miei genitori. Piangono insieme. Mio padre mi guarda, ma non con rimprovero. Mi guarda come si può guardare una vittima dell'ingiustizia presente in questo mondo. Mi guarda come se non volesse lasciarmi andare. Mi guarda come per dire che, anche se soffre, è orgoglioso di quello che sto facendo per coprire Mattia.
Angela è tra Bruno e un ragazzo incappucciato. Non ho bisogno che si scopra il volto per vederlo, però. So benissimo di chi si tratta. È Serramanico!
Tommaso e Teresa guardano sempre la strada, come se non avessero il coraggio di alzare gli occhi verso di me. Come se questo provocasse loro troppo dolore.
Giorgio, che era alle loro spalle insieme a Christian, va verso Antonio, che è ancora scosso. Chris ci raggiunge, andando accanto a Davide e posandogli una mano su una spalla. Davide continua a piangere, fregandosene altamente di essere in mezzo ad una piazza gremita di gente.
Vedo anche il signor Ciro e Rebecca, che camminano fianco a fianco.
E, in fondo alla fila, c'è lei: la mia piccola, la mia eroina... quella ragazza che con un bacio sulle labbra mi permette di dimenticare tutto il dolore.
Lei stringe nel pugno il suo bastone bianco. Lo stringe talmente forte da far diventare le nocche di un intenso bianco.
Vedo i suoi occhi colmi di lacrime. Il suo viso non esprime più nulla di diverso dal dolore e dalla tristezza.
Lei è svuotata.
Forse non avrei dovuto spingermi fino a quel punto. Non avrei dovuto lasciare che mi baciasse, né tantomeno andare oltre. Non avrei dovuto chiederle di farmi conoscere quell'amore, di scoprirlo con lei.
Mattia, intanto, si è avvicinato al gruppo e ride sguaiatamente, al punto da irritare mia sorella, che lo colpisce con tale violenza sul viso da fargli girare la testa dalla parte opposta.
"Prova a deriderlo ancora per mezzo secondo e ti strangolo con le mie mani, senza corda!" lo minaccia con rabbia. Vedo una scintilla nei suoi occhi che non mi piace affatto. Angela lo detesta, ma non sarebbe capace di fare una cosa simile, o almeno di sopportare l'idea di essere arrivata a quel punto.
Superiamo delle transenne e Davide mi toglie quella corda dai polsi.
"Perdonami" dice stringendo forte gli occhi.
"Tu stai soltanto facendo il tuo lavoro."
Lui scuote la testa e io, dal canto mio, inizio ad arrampicarmi su quella struttura a pali. Quando sono a buon punto, Davide mi lega i polsi.
È doloroso, ma non mi lamento. Darei una soddisfazione a mio fratello e non voglio farlo. Non più.
Davide mi fa scivolare un'altra corda attorno al collo a mo' di collana. Questa è collegata ad un terzo palo, a sua volta collegato ad una carrucola che a breve verrà azionata. Per ora questa specie di cappio non stringe per niente. Anzi: mi cade quasi di dosso, ma non appena la carrucola verrà azionata questa corda inizierà a stringermisi attorno al collo fino a impedirmi quasi di respirare, e forse solo allora me la toglieranno.
"Permettimi di curarti, piccola" dico con un filo di voce, sperando che lei possa sentirmi. "E ti prego... non piangere. Ti prego!"
"No..." sussurra lei.
"Addio, fratellino." mi deride Mattia.
"Addio, giustiziere!" rincara la dose Romano.
Poi cala il silenzio ed io, con le poche forze che mi restano, guardo verso la mia famiglia e dico: "Vi voglio bene..."
La carrucola viene azionata e la corda inizia a muoversi, molto lentamente. Io continuo a guardare lei: la mia piccola. È calato un silenzio interrotto solo da singhiozzi sommessi e dal rumore della stessa carrucola. Quel silenzio, però, viene interrotto all'improvviso.
"Michele..." sussurra proprio lei per poi alzarsi di scatto dalla sedia sulla quale si trovava e lacerare quel muro di silenzio urlando: "NOOOO!"
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