Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

"122°: Prima in Cielo e poi nel baratro"

Dora
Per fortuna Michele mi ha dato l'indirizzo di quel suo amico... il suo ex compagno di cella. Vorrei provare a stabilire un contatto con loro, cercare di conoscerli... e magari conquistare la fiducia di quella famiglia.
Desidero tanto aiutarli. Non li conosco, ma da quello che mi ha raccontato Michele sono persone che hanno sofferto e soffrono tuttora la fame.
Anch'io, quando ero piccola, ho sofferto la fame e il freddo. Anch'io sono passata per la povertà e le malattie. È per questo che non disprezzo la povertà. È stata proprio quella povertà a farmi crescere.
Ad un orario che presumo sia da definirsi decente chiamo un taxi e vado nel posto che lui ha indicato.
Non ho bisogno di cercare molto a lungo, perché sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla e una voce femminile chiedere: "Cerchi qualcuno, cara?"
"Io... io stavo cercando... casa Esposito."
La donna s'irrigidisce di colpo e sento i suoi occhi su di me. Non so se averne paura o pensare che sia lei ad aver paura di me... quello che so è che il mio cuore sembra perdere totalmente il controllo quando percepisco quello sguardo che brucia letteralmente sulla mia pelle.
"Sei la figlia di qualche creditore, per caso? O magari sei venuta qui per toglierci qualcos'altro?" mi chiede, questa volta con un tono molto diverso... duro.
"No, assolutamente no! Io... io... sono venuta qui perché... ecco, c'è una persona che... che conosce suo figlio... ma non può aiutarlo perché... perché è in prigione."
Lei mi guarda meglio e il suo comportamento mi stupisce ancora una volta. Le sue braccia si stringono intorno alla mia vita e la donna mi abbraccia come se mi conoscesse e non mi vedesse da parecchio tempo.
"Oh... tu... tu sei la ragazza di Michele: quello che è finito in galera per sbaglio..."
La ragazza di Michele. Quanto mi piacerebbe esserlo! Ma non a tempo determinato... vorrei amarlo senza dover entrare in una cella per farlo, vorrei che gli rendessero merito invece di riempirlo di cattive parole, di dargli del delinquente, di togliergli tutti i diritti che dovrebbe avere un essere umano.
"Più o meno..."
"Sai, è grazie a Michele se Antonio adesso sa leggere e scrivere. È grazie a lui se ho sue notizie."
La donna scioglie l'abbraccio e mi prende la mano.
"Vieni, entra."
Mi fa entrare e sedere su una vecchia sedia di legno.
"Sai... perdonami se te lo dico, m-ma... è meglio che tu non possa vedere in che condizioni è la mia casa... è molto umiliante" mi dice, triste ed imbarazzata.
"Non posso vedere, ma so bene di cosa sta parlando, signora. Ci sono passata anch'io. Il freddo, la fame, gli stenti... sono cose che ho provato sulla mia pelle quando ero una bambina e ricordo bene quel periodo..."
"Tu... sei stata..." sussurra lei.
"Certo che sono stata povera!" dico orgogliosa.
"Mamma..." Una voce più sottile di quella della donna giunge alle mie orecchie. Dev'essere lei la famosa Beatrice. "Mamma, non mi sento tanto bene..."
"Cosa c'è, amore mio? Dimmi." le dice dolcemente la donna.
"Ho... caldo... e... e mi fa tanto male qui."
Non so cos'abbia indicato, ma sento la madre respirare profondamente per evitare di piangere davanti a lei. Credo la stia cullando, tanto che, dopo un po', la piccola si addormenta... poi la donna si siede accanto a me e afferra la mia mano, stringendola forte tra le sue come se fosse un'ancora di salvezza o comunque qualcosa di questo tipo.
"Povero amore mio!" dice tremando. "Ha qualcosa... in quella testolina... qualcosa che non dovrebbe essere là e che me la sta portando via... ma io non posso pagare l'operazione che potrebbe salvarla e giorno dopo giorno lei s'indebolisce... sempre di più."
Non dev'essere facile aprirsi con una sconosciuta, e io sono questo: una sconosciuta!
"Mio figlio non trovava lavoro. Non lo trovava in nessun modo. Dato che non era capace di leggere, non aveva diplomi né niente, nessuno lo prendeva, neanche come spazzino, e... ha cercato... di prendere del denaro da una casa di ricconi. Ma non ricchi come te, fuori e dentro. Ricchi senza scrupoli. E poi... l'hanno preso e me l'hanno portato via. Me l'hanno portato via, capisci?"
Lei si appoggia al mio petto e si lascia andare ad un pianto liberatorio. Un pianto che mi spezza il cuore.
"S-scusami... è che..." prova a dire, ma io resto al mio posto, sorreggendola, e le dico che non ha nulla di cui scusarsi, che andrà tutto bene e che è più che giusto che lei si sfoghi, anche se la conosco da appena cinque minuti.
"Va bene... non è un delitto né una vergogna lasciarsi andare alle lacrime... tiri tutto fuori e non si preoccupi di me né di altri. Io vorrei aiutarla se lei me lo permette. È per questo che sono qui" le spiego.
"Come... c-come puoi fare?" mi chiede.
"Io conosco un medico. Sono sicura che potrà trovare un modo per curare sua figlia... ma lei dovrebbe dirmi se è disposta ad accettare il mio aiuto... soltanto questo, davvero!"
"Ma le cure avranno un costo altissimo... io non me le posso permettere..."
"Non si preoccupi di questo, la prego! Lasci solo che io mi renda utile. La sua storia mi ha colpita al cuore... e poi c'è anche il fatto che... che io vorrei rendere giustizia almeno ad una persona innocente... perché Michele è innocente, ma con lui non sono riuscita a fare proprio nulla."
"Devi volergli davvero bene per stare tanto male. Cioè, voglio dire... è vero: la pena massima è terribile, ma... non credevo che si potesse soffrire tanto."
La sento sorridere e le chiedo per l'ennesima volta se posso prendere un appuntamento per domani con il dottor Riccardo. Sono sicura che lui saprà cosa fare.
Quella bambina deve vivere... non è giusto che una vita giovane come la sua debba essere spezzata dalla mancanza di una stupida manciata di banconote... perché è proprio a causa di quelle stesse banconote che anche la vita del mio Michele finirà per spezzarsi.
Davide
Sono nel mio ufficio. In genere è a me che vengono passate le comunicazioni, in modo particolare quelle che hanno a che fare con le esecuzioni... e oggi ho la sensazione che mi arriverà la peggiore di quelle stesse comunicazioni.
Ironia della sorte, l'inquietante squillo del telefono mi riscuote dai miei pensieri. Rispondo alla chiamata, ma ho maledettamente paura di quello che mi diranno.
"Pronto? È lei Davide Cordova?"
"Certo." rispondo e sento il cuore battere a mille.
"È arrivato l'ordine per un'esecuzione che dovrà svolgersi il 25 Luglio." mi dice la voce femminile dall'altra parte del filo, come si suol dire.
Un mandato d'esecuzione... non è quello che sto pensando, vero? No! Non può essere quello!
"Di... di chi si tratta?" chiedo, cercando di ostentare un tono di voce calmo e sicuro.
"Michele Genovesi." mi risponde la donna.
Il gelo invade il mio cuore e tutta la stanza.
Mi tremano le mani e forse, se non fossi seduto su una poltrona con due braccioli, sarei caduto per terra, perché neanche le gambe rispondono ai comandi. Il ricevitore mi sfugge di mano e si fracassa sul pavimento. Cade la linea e io ne sono contento. Mi pizzico un braccio, ma il dolore che avverto ma fa capire che purtroppo non è un brutto sogno.
Scoppio a piangere, con tanto di singhiozzi e lacrime. Non riesco a fermarmi. Certo, tra me e Michele all'inizio non scorreva buon sangue... poi è subentrata l'indifferenza, perché mi sembrava che ci pensasse già Romano a rendergli la vita impossibile. E adesso che ho avuto la completa conferma della sua innocenza, mi sento come se mi mancasse la terra sotto i piedi. Ma perché non l'ho scoperto prima? Perché, perché?
La porta del mio ufficio si spalanca improvvisamente.
"Davide! Che succede? Non ti senti bene?" chiede la voce irritante di Mattia.
"Vattene." gli dico con un filo di voce.
"Ehi! Che sono queste lacrime? Per quale motivo piangi come un moccioso?" mi chiede beffardo.
"Se non te ne vai, ci metto te alla corda e senza processo!"
"Perché, chi ci finirà alla corda?" chiede.
"Tu, se non sparisci entro cinque secondi!"
Mattia esce dal mio ufficio ed io chiudo la porta, sbattendola. Crollo sul pavimento, mi prendo il viso tra le mani e continuo a piangere. Qualcun'altro batte qualche colpo delicato alla porta. Io mi trascino sulle ginocchia, mi aggrappo alla maniglia ed apro la porta. Vedo il viso del commissario.
"Davide! Che succede, ragazzo? Dimmi" chiede con un tono dolcissimo.
"Michele... Michele..." dico tra i singhiozzi. Mi lascio cadere di nuovo sul pavimento. Lui mi raggiunge, mi afferra le mani e mi aiuta a raggiungere la poltrona dietro la mia scrivania. Mi offre un fazzoletto ed io mi tampono gli occhi, anche se inutilmente, perché le lacrime sembrano non finire mai.
"Quando?" mi chiede dolcemente, come se avesse già capito tutto. E forse è vero: ha capito tutto!
"Fra tre giorni, commissario. Il 25 Luglio..."
Lui s'irrigidisce ed io, dal canto mio, non riesco a smettere di piangere. Un ragazzo buono come lui questo non lo merita. Non doveva succedere, maledizione! Non a lui, non in questo modo! E il peggio è che non c'è più tempo per fare niente... il resto di niente.
"Non ce la farò mai a dirglielo. Non ce la farò mai!"
"Davide... la sola cosa che possiamo fare è cercare di creare scompiglio quel giorno. Michele non deve finire alla corda, per nessun motivo."
"Non ce la faremo mai! È finita... è tutto finito..."
Dovremmo dirglielo. Sono i suoi ultimi tre giorni e dovrà prepararsi a quello che stiamo per fare.
All'ingiustizia che stiamo per commettere.
"Mi sento come se Elena fosse stata uccisa per la seconda volta." sussurra il commissario.
"Chi è Elena?"
"Non importa... lascia perdere. L'unica cosa che posso dirti è che anche lei era innocente... e se ne sono altamente fregati: tutti!"
"Vado a dirglielo io..."
"Davide, sei sicuro? Sei molto provato, potresti non farcela" mi dice lui, premuroso.
"È stata anche colpa mia. Ho fatto "orecchie da mercante", ho finto di non sentire le suppliche di quella poveretta quando cercava di dirci che lui non aveva colpa di quello che le era successo. Lei ci aveva provato, ma Romano l'ha gettata a terra come un sacco di rifiuti e io l'ho lasciata urlare a vuoto!"
Esco dal mio ufficio e vedo Mattia, appoggiato alla porta. Gliela sbatto anche in faccia, perché non mi ero accorto del fatto che fosse dietro la porta.
"Che diavolo ci fai tu qua?" gli chiedo, afferrandolo per un braccio e stringendoglielo con tutta la forza presente nel mio corpo. Voglio fargli male: lo merita!
"Vorrei essere io a dare la pessima notizia a mio fratello."
Gli mollo un ceffone che gli fa voltare il viso dalla parte opposta.
"Azzardati a dire solo mezza parola a Michele e la corda te la metto in questo preciso momento, senza processo. Mi hai capito, Mattia?" gli dico, serrando la mascella. Lo faccio in maniera talmente intensa da avvertire dolore praticamente a tutti i muscoli facciali.
"Ehi, stai calmo. Va bene. Non dirò nulla a Michele, non preoccuparti." dice sorridendo.
Strattona il braccio dalla mia presa ed io mi dirigo velocemente nella sua cella.
Apro la porta e lui, vedendomi, mi raggiunge... anche se lo fa lentamente. È arrivato al punto in cui gli danno soltanto l'acqua, ma lui non si lamenta mai e a volte mi sorride, come per confortarmi.
Questa volta, però, non mi saluta nel solito modo, debole, ma gentile, come è nel suo carattere.
"Davide, sembra che tu sia stato investito da un treno merci. C'è qualcosa che mi devi dire?" mi chiede, andando subito al sodo. Fa bene. Il male si taglia alla radice, per evitare di soffrire troppo.
"Mi dispiace... mi dispiace..."
"Per cosa ti dispiace, Davide?" chiede avvicinandosi a me. Tende a muoversi allargando le braccia, perché la debolezza che si è impossessata del suo corpo ormai non gli consente più di camminare velocente e di reggersi in piedi come faceva prima.
Io non gli rispondo. Non ci riesco: non posso dirglielo!
"Si tratta di questo?" mi chiede, lasciandosi scivolare contro una parete per poi indicarsi la gola e formare un cerchio con il pollice e l'indice, che poi stringe gradualmente, fino a farlo diventare compatto.
Le lacrime continuano a scendere, perché attraverso quel gesto immagino la scena. Lui, su quel palco, sospeso a mezzo metro da terra, con le mani legate a due pali e il collo attaccato ad un terzo. La corda si stringe intorno alla sua gola, fino a mozzargli il respiro, e quando i suoi occhi stanno per smettere di fare il loro dovere, la corda viene allentata e... BUM! Un proiettile sparato nella schiena, di forma conica, contenente un veleno letale, ma molto lento ad agire. Gli vengono staccate le braccia dalla struttura a pali e lui cade riverso per terra, agonizzante. Le lacrime mi bruciano la pelle delle guance. Non credo di aver mai pianto per un condannato... ma lui è stato condannato ingiustamente. INGIUSTAMENTE!
"Quando, Davide?" mi chiede, con il tono più dolce che gli è possibile. Lo vedo avvicinarsi e mi sorprendo nel sentirmi toccare le guance. Le sue dita, ormai sottilissime, mi sfiorano delicatamente la pelle, spazzando via tutte le lacrime che ho versato.
Faccio il gesto del numero tre.
Non riesco a parlare. Dire una sola parola a lui vorrebbe dire realizzare che tutto questo non è un sogno.
Io non voglio! Desidero che questo resti un dannato incubo: soltanto questo!
"Tre giorni..."
Sono le uniche parole che riesce a dirmi, ma, sorprendendomi ulteriormente, non si scompone.
L'unica cosa che mi permette di capire che sta soffrendo è una smorfia che si dipinge sul suo viso stanco.
Soltanto questo... Niente di più e niente di meno.
Dora
Alla fine il dottor Riccardo ha accettato di prendersi cura della piccola Beatrice. Ha detto che il tumore è di dimensioni considerevoli, ma che siamo ancora in tempo per asportarlo e questo mi ha dato un sollievo incredibile.
La signora Maria, la madre della bambina, mi ha anche portata con sé a far visita all'amico di Michele. Mi è risulsato subito simpatico e magari, quando andrò a trovare Michele, cercherò di far visita anche a lui. È stato molto affettuoso quando ha scoperto che avrei pagato io stessa le cure per sua sorella.
Non gliel'ho rivelato io, ma sua madre. Ha voluto dirglielo a tutti i costi e credo di essere diventata rossa quando lui, per ringraziarmi, mi ha abbracciata.
Dopo quello che è successo su quel ponte, Angela vive con noi. Stiamo cercando di fare di tutto per distrarla, ma è molto difficile.
Proprio ora siamo tutti insieme, ma all'improvviso il cellulare di Angela squilla.
"Ragazzi... è una chiamata dal carcere. Vi dispiace se mi allontano un attimo?" chiede.
"No, per niente, tranquilla." le risponde Bruno.
Ho notato che c'è una certa complicità tra di loro e questo mi fa piacere.
Angela
Mi dirigo in giardino e rispondo a quella chiamata.
Quando chiamano dal carcere, di solito, sento la voce di mio fratello, ma mi capita una brutta sorpresa.
"Pronto? Sei Michele, vero?"
"Ops! Sbagliato!" mi risponde una voce dall'altra parte.
"Mattia... che cosa vuoi ancora? Non ti basta tutto quello che ci hai fatto passare?" gli chiedo, con la voce che trema.
"Oh, cara Angela... devo darti una pessima notizia, sai?" mi dice.
Mi si gela il sangue nel sentirgli pronunciare quelle parole e non ho abbastanza forze per rispondere.
"È arrivato il momento, mia cara Angela! Fra tre giorni dovrai dire addio a Michele." dice lentamente, come se volesse farmi assimilare ogni singola parola che esce dalla sua bocca.
"No... non è vero! Sei un bugiardo, uno sporco bugiardo! Non è vero..."
"Puoi strepitare quanto vuoi, ma è la verità... e non l'ho deciso io, ma un giudice" mi dice Mattia, con un tono smielato che mi fa venire la nausea.
"Chiudi la bocca! È soltanto colpa tua se Michele è finito in questo guaio, perché tu hai voluto salvarti la tua disgustosa faccia!" gli dico con rabbia.
Mattia ride come un matto. È una risata che mi trapana i timpani, senza nessuna pietà, poi chiude la comunicazione, lasciandomi come una deficiente.
"Angela! Angela!" mi chiamano i due fratelli, correndomi incontro. Bruno vede che sono in stato di shock e mi scuote forte per un braccio, per farmi reagire. Tremo come una foglia. Ho veramente paura.
"Angela, cos'è successo?" mi chiede Dora, preoccupata. So già che se dirò tutto si scatenerà un vero e proprio uragano, ma mi tocca farlo.
"Hanno... hanno stabilito quale sarà la data dell'esecuzione di mio fratello" sussurro. "Tre giorni, Dora!"

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro