"119°: La crisi di Michele"
Michele
Raggiungo il poliziotto e lo seguo all'esterno della cella. Pensavo di poter camminare, ma le mie forze non mi permettono di correre quanto vorrei... infatti, dopo solo pochi passi, mi sbilancio in avanti e rischio di cadere sulla rampa di scale.
"Appoggiati a me, Michele" mi dice il poliziotto, facendomi attaccare al suo braccio. La luce intensa dei corridoi mi fa bruciare gli occhi, ma devo resistere. Devo farlo per il mio ex compagno di cella, che ha sbagliato, certo, ma se l'ha fatto è solo perché purtroppo l'ingordigia di alcuni non permette che qualcosa di necessario per tirare avanti come il denaro sia distribuita in parti uguali.
Raggiungiamo la mia vecchia cella e il poliziotto spalanca la porta, chiusa da un catenaccio.
Io crollo sulle ginocchia, ma riesco a trascinarmi abbastanza velocemente verso la branda.
"M-Mi-che-le..." sussurra il mio compagno, che ha il volto arrossato dalla febbre che deve averlo assalito.
"Sono qui, stai tranquillo" gli dico, prendendo la sua mano tra le mie. Scotta terribilmente e questa è la conferma alle mie teorie. Sta molto male e ha urgente bisogno di cure mediche che, purtroppo, in un posto come questo non gli saranno concesse... anche se spero che per chi, come lui, dovrà scontare una pena un po' più lieve della mia, ci sia qualche possibilità in più di ricevere le cure che sono necessarie in questi casi.
"Ehi! Sei ancora là?" chiedo al poliziotto poiché non conosco il suo nome.
"Sono qui. Dimmi tutto, Michele."
"Lui può richiedere cure mediche, vero?" chiedo esitante.
"Questo non so dirtelo. Posso provare ad informarmi in tempi brevi... ma tu più o meno ci capisci qualcosa, vero?"
"Ci provo" rispondo. Antonio si gira dandomi la schiena e tira su la maglietta.
Io appoggio l'orecchio alla sua schiena e il suono che proviene da quel punto non mi piace affatto... non sono un medico, ma l'ho visto fare molto spesso e quando i medici dicevano di sentire un rantolo in quel punto, non era mai un buon segno. È questo che sento io in questo momento: un forte rantolo e questo suono non mi piace per niente. Porto entrambe le mani davanti al viso e getto la testa all'indietro. La maglietta è praticamente fradicia e credo gli convenga cambiarla.
"Amico, togliti quella maglietta, te ne cerco un'altra" gli dico.
Lui ci prova, ma sembra che non abbia nemmeno la forza di muoversi.
La cella è più impolverata che mai ed è anche più fredda. Due cose che non aiutano per niente i polmoni. Forse è stato questo a farlo ammalare.
"Michele... Bea... Beatrice..." sussurra lui.
"Che c'entra tua sorella, adesso?" chiedo.
"Cerca... qualcuno che possa aiutarla."
"Ci proverò, ma tu devi stare tranquillo e riposarti. Hai la febbre alta."
"Romano... mi ha ridotto... in questo stato... è lui... è solo colpa sua!"
"L'ha fatto perché hai preso le mie difese?"
"Non lo so... è cattivo. Solo questo. È cattivo e basta" dice lui, scoppiando a piangere.
"Ehi, ehi, tranquillo... non piangere o ti sentirai peggio. Stai calmo..."
"Michele... hai la faccia bianca... sei diventato ancora più magro in pochi giorni e sembri debole... che cosa ti stanno facendo?"
"Niente di più di quello che hanno fatto a te." rispondo.
Lui piange ancora più forte e sento il cuore dolere, perché purtroppo sono empatico e il dolore che sta provando lui adesso lo provo anch'io. Mi si spezza il cuore a vederlo così.
Passo le mani sulle sue guance e sulla sua fronte. Forse il malore gli ha provocato anche un dolore alla testa, perché sento i suoi lineamenti contratti. Quando capitava a me, mia madre faceva sempre questo e il mal di testa, gradualmente, si attenuava. Non spariva, ma era sopportabile e a me andava bene anche questo. Mi prende un moto di tenerezza nel pensare a quella donna. Christian mi ha detto che è venuta spesso, ma ha sempre trovato Romano, che le ha molto gentilmente sbattuto la porta in faccia.
Purtroppo, però, Romano fa irruzione nella cella e inizia a fare chiasso come suo solito.
"Che cosa fai qui, Genovesi?"
"Secondo te? Sono venuto a vedere come sta il mio ex compagno di cella. Mi è stato riferito che è malato e credo anche che non si tratti di qualcosa di poco conto, sinceramente..."
"Ma tu non sei un dottore, caro Michele! Tu sei solo un volgare delinquente, che ha cercato di..."
"Stai zitto o ti spacco la faccia!" esclama l'altro poliziotto.
"Ehi, caro Davide! Ma che succede? Michele viso d'angelo è riuscito a corrompere anche te?" gli chiede con un ghigno dipinto sul viso che fa venir voglia anche a me di picchiarlo fino a cancellarglielo.
Questo, però, non lo farò mai.
So benissimo che se lo facessi me ne pentirei subito.
In più sarebbe una bella soddisfazione per lui e sulla mia testa peserebbe anche questa condanna.
"Ah, ti chiami Davide! Beh... Davide, non farci caso. Non ne vale proprio la pena!" gli dico sorridendo.
So che questo lo farà arrabbiare ed è proprio questo il mio obiettivo. Se c'è una cosa che ho imparato qui dentro è che più un detenuto è calmo e controllato, più alcuni poliziotti hanno la tentazione di fare qualcosa che potrebbe metterli nei guai a livello lavorativo. Non tutti, certo... soltanto quelli più accaniti... quelli cattivi.
"Ti cercavo perché c'è una visita per te... una persona che non so se ti farà piacere vedere. La madre della tua vittima sfiorata, quella che hai anche baciato!"
Resto un po' sorpreso nel sentir dire che Carmen è venuta a trovarmi, ma non mi rattrista affatto l'idea di riceverla, anche perché non ho fatto nulla.
"Beh, vorrà dire che la faremo venire qui."
"Collega, forse non ti è chiaro che Michele non può ricevere alcuna visita."
"Prima di tutto non vedo perché non dovrebbe ricevere visite. Secondo: tu ed io sappiamo che Michele non ha colpa... io l'ho scoperto ieri sera e non sai quanto disprezzo sto provando per te in questo momento per quello che lo stai costringendo a sopportare in un posto in cui lui non dovrebbe nemmeno essere. E il peggio è che tu sei un corrotto. Forse sei persino peggio di Mattia. Quindi decidi: o fai entrare quella donna o ti giuro che ti farò passare un brutto quarto d'ora con questa storia, mi hai capito?"
"Sono... contento che tu l'abbia scoperto..." sussurra Antonio. Sembra che quello che sto facendo sortisca qualche effetto su di lui, perché la sua voce sembra un po' più calma e i suoi occhi hanno smesso di lacrimare. Decido di non interrompere quel gesto. Un po' perché vedo che serve, un po' perché lui è più piccolo di me ed ha già conosciuto il carcere. Qui c'è di tutto: minori, maggiorenni, detenuti miti o irrequieti, anche se io conosco soltanto lui e Giorgio.
Pochi minuti dopo vedo Carmen farsi strada nella cella. Il suo viso è quello di una donna che ha lottato moltissimo, ma che adesso non ha più la forza che le serve per continuare a farlo. È un viso stanco, di una madre che vede la figlia soffrire e si sente impotente.
"Ciao Michele" mi dice con un tono di voce flebile e dolce.
"Ciao Carmen."
Vedo che mi sta guardando e i suoi occhi mi sembrano colmi di tenerezza. Si avvicina al letto e appoggia una mano sul mio braccio destro. Quel contatto non mi dispiace, ma mi provoca dolore, per il fatto che sono stato incatenato al mio letto per ore.
"Santo cielo... ecco perché la mia bambina si è sentita male... ma che ti hanno fatto, tesoro?"
Quando la sento chiamarmi con quel soprannome mi si stringe il cuore. Lei dovrebbe odiarmi con tutta la sua anima perché in fondo, anche se indirettamente, se sua figlia sta soffrendo è soltanto colpa mia... e invece lei è qui e si preoccupa per me. Guardo il mio amico, che giace in un torpore che non è quello del sonno, ma sembra non rendersi conto di niente.
Per questo mi lascio andare ad una crisi di pianto, sposto le mani dal suo viso e le uso per coprirmi gli occhi. Non voglio che Carmen mi veda.
Lei, però, come la figlia, è molto intuitiva.
Non la vedo, ma la sento inginocchiarsi davanti a me e afferrare le mie mani per spostarmele dal viso.
"Povero caro... quanto male ti stanno facendo!"
"Non... n-non è questo... è che lei... l-lei si è ammalata... è triste... ed è solo colpa mia!"
"Se questo fosse vero io avrei fatto di tutto perché il tuo processo venisse accelerato... ma tu non le hai fatto niente. Se lei soffre è per colpa di una giustizia che funziona alla rovescia. Guardati: tu sei qui, sofferente, e Mattia è a poca distanza, libero, e per giunta con un posto in polizia che gli permette di tormentarti a suo piacimento!"
Appoggio la testa sul grembo di quella donna straordinaria, che resta ferma, accoglie la mia richiesta di un appoggio e mi lascia sfogare. Era da un po' che non lo facevo, ma quando l'ho vista tanto preoccupata per me non ho retto.
"Non vergognarti, Michele. Questo è il minimo... chiunque, al tuo posto, sarebbe diventato inavvicinabile."
"Io... io non me ne vorrei andare... non vorrei lasciarla per sempre... ma se questo servirà a proteggerla da mio fratello..."
"Non dire queste cose, Michele! Fino a quando continuerai a vivere noi lotteremo per te... e con te!"
"Non ce la faccio più. Non ci credo più ai miracoli."
"Però tu hai contribuito ad un miracolo: hai salvato un ragazzo, che ora sta accudendo la mia piccola!"
"Giorgio..." riesco a sussurrare, stringendomi di più a quella donna straordinaria.
"È stata Dora a chiedermi di venire qui e mi ha fatto piacere farlo... perché tu per lei hai fatto moltissimo e oltre ad essertene grata lei, lo sono io. Per questo non posso odiarti."
"E che cosa ho fatto io per lei? L'ho rapita, segregata, strappata dal suo nido, coinvolta in una faccenda in cui lei non doveva entrare per nessuna ragione. E adesso... la sto lasciando."
"Non l'hai coinvolta tu, ma tuo fratello, come ha fatto con te. Tu non potevi fare nulla. Con tutte le accuse a suo carico lo avrebbero condannato alla tua stessa pena, da eseguire il giorno stesso dell'arresto, ma tu gli vuoi bene e non l'avresti mai permesso, proprio perché è tuo fratello ed è parte di te."
Non riesco a dire nient'altro, perché non posso darle torto sotto questo punto di vista. Posso negarlo quanto mi pare, ma Mattia sarà sempre parte di me e non potrò fare assolutamente nulla per evitarlo. È mio fraterlo e rinnegarlo non mi è mai riuscito, anche se detesto tutto quello che ha fatto o cercato di fare ad Angela e Dora.
"È questo che ti rende grande, Michele. Il fatto che tu voglia bene a Mattia nonostante tutto quello che ha fatto a te e alle persone che ami... e soprattutto nonostante tutto quello che sta facendo adesso."
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