"118°: Sogni, ricordi e lacrime"
Dora
Sono seduta all'interno di una sala. Mio fratello è seduto accanto a me e stringe la mia mano, come per incoraggiarmi a fare qualcosa che non capisco.
"Bruno, che succede? Perché siamo qui?" chiedo, agitandomi sempre di più e stringendo talmente forte la sua mano da sorprendermi del fatto che non mi abbia dato uno spintone per strattonarla dalla mia presa.
"Piccola, non ricordi? Oggi è il giorno della con... cioè, voglio dire... è il giorno... d-di..." balbetta mio fratello e, capendo cosa intende dire, sento il mio cuore spezzarsi.
"No! No, non è vero! Non ci credo!" esclamo.
"Tesoro, ti prego! Ti giuro che vorrei che non fosse vero!"
"No, non può essere vero! Il mio Michele non se lo merita, non è giusto, lui non se lo merita..."
Lui è lontano, so che è lontano, ma prima che la carrucola che gli stringerà la corda attorno al collo venga messa in azione sento la sua voce sussurrare: "Non piangere, piccola! Ti prego, non piangere!"
Sento il rumore della carrucola e lo sento respirare molto male, alla disperata ricerca d'ossigeno.
"VI PREGO, LASCIATELO STARE!" grido, ma l'unica risposta che ricevo è la risata perfida e agghiacciante di Mattia, che mi porta ad urlare ancora di più e a sbattere i pugni per terra. Ho lasciato la mano di Bruno e sembro una folle... anzi: forse lo sono, ma non nel senso buono della parola. La risata di Mattia mi sta perforando i timpani... mi fa provare dolore.
"Addio, fratellino!" sussurra, continuando a ridere malignamente.
"BASTA, SMETTILA!" gli urlo contro, ma non basta. Mi prendo la testa tra le mani e la muovo, facendola girare con fin troppo vigore da una parte all'altra.
Sento un corpo cadere per terra e quando, nel tentativo di rifornire i polmoni d'ossigeno, lo sfortunato tossisce capisco che è Michele.
Mi alzo da terra e cerco di corrergli incontro, ma vado a sbattere contro le transenne, che sono posizionate anche abbastanza in alto. Dalla mia bocca cola del sangue, ma questo non m'impedisce di urlare quando sento una pistola che viene caricata.
"NO, VI PREGO!" grido, ma inutilmente.
BUM! Un colpo e subito dopo dei versi quasi impercettibili, ma strazianti in maniera impressionante. Michele è a terra, sofferente. Lo so, anche se non posso vederlo. "Per... per favore... perdonami..." sono le ultime parole che dice.
"NOOOOOOOOOO!"
"Ehi! Svegliati!" mi chiama una voce.
Due mani forti mi scuotono le spalle, facendomi quasi provare dolore, ma non arrivano a quel punto. Arrivano a quel tanto che basta per svegliarmi.
"Era solo un incubo, stai tranquilla... tranquilla." mi dice il ragazzo.
"Michele... la corda... la pistola... no, no, no!" continuo a ripetere, agitandomi, senza controllo.
"Calmati, non è niente. Hai solo avuto un incubo. Michele sta bene... per quanto si possa stare bene nella situazione in cui si trova lui, poverino."
"È tutta colpa mia! Avrei dovuto starmene buona e lasciare che Mattia facesse i suoi sporchi comodi!"
"E non pensi al fatto che forse sarebbe stato anche peggio per Michele? Lui ti ama tanto, si sarebbe sentito in colpa per non essere riuscito a salvarti... e poi su di lui penderebbe un'accusa ancora più grave, che l'avrebbe ucciso praticamente il giorno dopo l'arresto, perché Mattia avrebbe comunque fatto ricadere la colpa su di lui, per salvarsi la pelle."
"Salvarsi la pelle, hai detto? Tu... tu lo conosci?"
"No, ma associare Michele alla prigione è come associare un angelo con tanto di aureola e ali ad una strage di agnellini. È ai limiti dell'assurdo, quindi non mi stupirebbe sapere che Mattia potrebbe essere una persona talmente contorta da fare quello che ti ho detto poco fa... capisci?"
Sinceramente non posso che essere d'accordo con quello che ha detto. Mi basta ricordare il bernoccolo che aveva sulla fronte. Chissà quante volte l'hanno fatto cadere per terra in quel modo... chissà quanti altri prigionieri ha difeso, mettendosi nei guai... per poi finire in cella d'isolamento, a pane e acqua. Solo al pensiero di quello che gli staranno facendo passare là dentro mi sento male e mi viene voglia di continuare ad urlare, come ho fatto per l'incubo. Poi un ricordo, un bellissimo ricordo che ho con lui, mi colpisce come un secchio d'acqua gelida tirato dritto sul viso.
Era la sera del mio compleanno.
Eravamo rimasti da soli sulla spiaggia e io ero davanti a lui, che mi teneva in piedi tenendomi le mani sulle spalle. Era una presa abbastanza forte e sicura, ma non dolorosa. Non mi metteva paura, perché ero sicura del fatto che non mi avrebbe mai fatto del male. Non di proposito, almeno.
All'improvviso, però, lui mi ha riscossa dai miei pensieri facendomi una domanda che nessuno mi aveva mai fatto.
"Ti andrebbe di vedere un tramonnto?"
"Cosa?"
"Vuoi vederlo o no?" mi ha chiesto nuovamente.
"Scherzi? Certo che vorrei vederlo!"
Ho preso un respiro profondo, poi, con il tono più scherzoso che mi è riuscito, gli ho detto: "C'è solo un piccolo problema..."
"Lo so, ma non ti servono gli occhi... e poi, da come l'hai detto, non mi sembra che lo consideri un problema."
"Infatti no..."
Lui ha spostato le mani dalle mie spalle e ha preso un oggetto per poi mettermelo tra le mani.
"Ecco. Immagina che questo sia il Sole" ha detto.
Un pallone di cuoio, con degli spaghi rigidi attaccati intorno che dovrebbero formare i raggi.
"Adesso lancialo!" mi ha detto.
"Che?"
"Coraggio, lancialo! Non c'è nessuno, stai tranquilla" mi ha detto, circondandomi la vita con le braccia. Mi ha fatta girare leggermente verso sinistra e io mi sono decisa a lanciare l'oggetto sferico.
"Rosso..." mi ha detto a bassa voce, all'orecchio. Ho percepito un forte calore sulle guance e il mio cuore ha iniziato a battere furiosamente. "Rosso... come la tua faccia in questo momento. Il rosso è sull'acqua, come quello che ti ho dato per simulare il Sole. Hai visto? Il Sole si riflette sull'acqua."
Le lacrime scorrono lungo le mie guance, senza controllo.
"Ehi! Che cosa ti prende?" mi chiede il ragazzo sconosciuto.
"Lui... lui mi ha fatto vedere un tramonto..."
Il ragazzo rimane in silenzio. So perfettamente cosa sta per dire: "Come ha fatto a farti vedere un tramonto se non puoi vedere proprio niente?"
Gli spiego tutto e il ragazzo sorride.
"Certo che il mio amico ha una bella fantasia" dice con un tono che esprime ammirazione.
"Io non voglio perderlo! Non posso lasciarlo andare via... non in questo modo! Lui non se lo merita, non è giusto, ma quel giudice si ostina a non capirlo, perché? Non è giusto!"
"Su questo non posso darti torto, cara. Se posso ancora respirare è merito suo. Quel veleno mi stava uccidendo, e non sai quanto fa male!"
Il ragazzo mi prende le mani e se le porta sul viso. Lo sento contratto, come se sentisse ancora il dolore provato a causa di quel veleno.
"Io ho promesso che gli avrei restituito il favore... non so come, ma ci proverò."
"Se ti serve aiuto, dimmi in che modo posso rendermi utile e lo farò. Ti giuro che farò qualsiasi cosa!"
Michele
Non so come, ma mi sono trovato su una specie di palchetto. Che sia già arrivato quel giorno? Ma perché non me l'hanno detto? Non merito nemmeno di prepararmi psicologicamente a dire addio a questo mondo? Nemmeno questo?
Ci sono tutti. Tutti quelli che amo... e poi c'è Mattia: il poliziotto Mattia Genovesi, in prima fila, che guarda e se la ride. A lui fa piacere osservare mentre qualcun'altro toglie di mezzo il suo ostacolo.
Il poliziotto che ha scoperto quello che è successo mi si avvicina e mette le mani sulle mie spalle. Mi volto e vedo i suoi occhi... sono rossi e gonfi di lacrime! Forse dev'essere lui a mettermi la corda intorno al collo e spararmi un colpo con quella strana pistola.
"Mi dispiace... non voglio farlo, Michele, ma non posso... disobbedire..."
Gli faccio solo un cenno d'assenso. Sapevo che prima o poi questo sarebbe successo e non c'è bisogno che lui mi dica che non voleva farmi questo, perché l'ho capito dopo aver visto i suoi occhi. Poi altri occhi catturano la mia attenzione. Mi è impossibile non riconoscerli per il loro continuo movimento. Lei batte continuamente le palpebre, senza poterle controllare, ma quello che mi fa più male è che anche lei è in lacrime e ha il volto contratto dal dolore, come se la stessero sottoponendo alle torture più atroci.
"Piccola, non piangere... ti prego!" riesco a dirle, mentre il poliziotto alle mie spalle, con mani tremanti, mi porta le mani dietro la schiena e le attacca con le manette. È la prassi, perché i condannati, con le mani libere, potrebbero sfilarsi la "collana" prima che essa faccia il suo "lavoro".
Mi avvicino in autonomia alla struttura alla quale mi appenderanno per il collo. È costituita da tre pali e il collo del condannato è attaccato a quello centrale.
Il poliziotto m'infila quella corda collegata ad una carrucola e prima di azionarla mi guarda un'ultima volta, esprimendo tanto dolore. Non riesce a far partire la carrucola, però, perché un grido disperato squarcia il silenzio, e poi...
Mi sveglio di colpo, portando entrambe le mani al petto. Credo che il momento si stia avvicinando, perché è la prima volta che mi capita di sognarlo ed è orribile... ma la cosa peggiore di quell'incubo sono quegli occhi pieni di lacrime, che mi fanno stare male solo a guardarli... lei soffre tantissimo e per me è proprio questa la parte peggiore.
Improvvisamente, però, la porta della mia cella si apre e l'ulteriore notizia che mi viene data dal poliziotto di ieri fa crollare ancora un po' il mio mondo.
"Michele! Michele! Antonio sta molto male e chiede di te! Vieni, svelto!"
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