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"116°: L'intensità del nostro dolore"

Dora
Quando mi risveglio sono distesa su una superficie molto morbida. Tendo le mani, per cercar_e di capire dove mi trovo, e credo di aver capito che sono distesa su di un letto.
Cerco di alzarmi, ma un braccio abbastanza forte mi blocca, facendomi tornare distesa.
"Non alzarti, sei molto debole." mi dice la persona che mi ha trattenuta e che, tra l'altro, non credo di conoscere. Mi sembra di ritornare al primo giorno di "sequestro", quello in cui ero terrorizzata perché non avevo riconosciuto Michele. Poveretto! Quante gliene ho fatte passare prima di capire che non mi avrebbe fatto del male! Lui ha detto che non gli ho fatto male quel giorno e mi auguro che sia vero, perché mi dispiacerebbe moltissimo avergliene fatto per la paura insensata che avevo di lui. Questa volta, però, anche se volessi, non riuscirei nemmeno a parlare per quanto mi sento debole.
"Tranquilla, non ho intenzione di farti del male."
Il suo timbro di voce, unito a quelle parole, mi rassicura. Dopo il rischio che ho corso con Mattia sono spaventata dagli uomini, se si escludono i pochi che conosco bene.
"Eri svenuta per strada, per questo ti ho portata a casa."
Cerco di dire: "Grazie", ma la mia gola brucia al punto da impedirmi persino di biascicarlo. Il ragazzo sorride dolcemente e la sua mano si posa con delicatezza sulla mia fronte, perché credo lui voglia sentire se ho la febbre alta. Ritrae immediatamente la mano, come se avesse toccato una pentola piena d'acqua bollente. I famosi movimenti innati.
"Vado a prepararti qualcosa per la gola, va bene?" mi dice con un tono molto gentile.
Cerco di mimare un "Grazie" almeno a gesti e lui sorride nuovamente. Si china verso di me e mi lascia un bacio sulla guancia, come per rassicurarmi, per dirmi che ha capito. Lo sento uscire dalla stanza e mi sento una vera stupida. Non so perché, ma questo ragazzo sembra conoscermi da sempre per il modo in cui si comporta con me.
Il ragazzo ritorna poco dopo, mi aiuta a tirarmi su e mi mette tra le mani una tazza bollente. Rischio di scottarmi, ma per fortuna trovo subito il manico. Il ragazzo mi aiuta a tenere la tazza tra le mani dato che da sola non riesco a reggerla per quanto sono debole. Mando giù il contenuto della tazza: latte caldo con il miele. In estate non è il massimo, ma per la gola è ottima. Lo sento sorridere, come se capisse che, oltre alla debolezza fisica, quello che m'impedisce di parlare è la stanchezza a livello morale. Cerco un appoggio per la tazza, ma vago con le braccia nel vuoto.
"Lascia, faccio io." mi dice gentilmente il ragazzo, togliendomi di mano l'oggetto.
"Posso..." riesco a sussurrare, ma non riesco a proseguire visto che la mia gola sembra andare a fuoco. Inizio a tossire convulsamente e il ragazzo mette tra le mie mani il mio telefono e la Barra Braille.
"Tieni, tesoro. Scrivi, che è meglio" mi dice.
Tesoro? Si è già aperto tanto da chiamarmi in questa maniera?
Evito di dirglielo, ma scrivo quello che volevo chiedergli.
"Perché mi hai portata qui, in casa tua, senza neanche conoscermi?"
"Perché sono in debito con un mio compagno di sventura. Lui mi ha salvato la vita e dal modo in cui parlavi prima di perdere completamente i sensi... credo proprio che tu lo conosca."
"Chi è?" scrivo velocemente.
"Un certo... Michele Genovesi."
"Michele come?"
La mia voce esce strozzata, ma, almeno spero, abbastanza forte da risultare almeno comprensibile.
Sento gli occhi del ragazzo su di me e non so proprio cosa pensare, se devo essere sincera.
"Michele mi ha salvato la vita. Ero stato condannato alla pena massima, quella che potrebbe toccare anche a lui, da un momento all'altro. Stavo soffrendo le pene dell'inferno per colpa di quel maledetto veleno e Michele, per curarmi, si è intrufolato nell'ufficio di un poliziotto tiranno che aveva l'antidoto a quel veleno e l'ha preso per darlo a me. Risultato? È stato chiuso in cella d'isolamento, incatenato ad un letto come uno schiavo e nutrito soltanto a pane e acqua. Povero Michele... a volte la vita è tremendamente ingiusta!"
"Non è la vita ad essere ingiusta" scrivo in fretta visto che la gola mi fa troppo male per consentirmi di dire altro. "Siamo noi ad essere ingiusti. Non tutti... quelli che credono di poter comandare la vita degli altri a piacimento... non è la vita."
Lui mi sorride.
Sembra gentile.
"Stai giù, piccola. Riposati." dice dolcemente. "Io, intanto, proverò a mettermi in contatto con Michele. Devo informarlo, no?"
Scuoto la testa, come per dirgli di no.
"Perché no, piccola?"
Perché non voglio che lui debba soffrire più di quanto già non faccia per colpa mia e del fatto che non sono in grado di sopportare il dolore che provo quando qualcuno che non conosce la verità se la prende con lui.
Questo, però, non riesco a dirlo né tantomeno a scriverlo e il ragazzo accanto a me sembra rendersene conto.
"Cara, io devo comunque dirglielo. Michele ha il diritto di sapere. Potrebbe chiederlo a qualcuno che lavora là, di cui si fida, e finirebbe per scoprirlo da sé. È meglio che lo sappia adesso e basta, capisci? Non dicendoglielo lo porterai a stare ancora peggio, te lo posso giurare!"
Trattengo le lacrime. Ho troppa paura della reazione di Michele. Ho paura che una qualsiasi brutta notizia, per il modo in cui l'hanno ridotto, possa portarlo a perdere la ragione, a farsi del male, perché io stessa ci sono andata vicino quando ho saputo che l'avrebbero arrestato per una colpa inesistente. Però non dovrei pensare questo, vero? Michele è forte, ne ha sopportate tante e sono più che sicura del fatto che ce la farà.
Michele
La porta della mia cella si apre. Per fortuna non sono legato, perché ormai le braccia mi fanno male per la pressione e la tensione muscolare alla quale sono state sottoposte per ore. Per fortuna, dopo essere stato slegato, ho iniziato a muovere lentamente gli arti, in particolar modo le gambe, per poter camminare.
Il commissario fa il suo ingresso. Ha un'espressione completamente atterrita.
"Michele, devo dirti una cosa."
Prende un respiro profondo e mi afferra il braccio. Provo dolore quando qualcuno mi tocca, perché sono stato incatenato per ore, ma evito di dirglielo. Lui è l'unico che lavora qui dentro e mi manifesta affetto paterno.
Prima c'era Christian, che mi dava affetto come se ne può dare ad un fratello, un amico, ma purtroppo lui è stato trasferito altrove... accusato di favoritismo... e questa è la prova del fatto che la giustizia è solo utopica.
"Si tratta di Dora. Giorgio l'ha trovata per strada, priva di sensi e con la febbre alta."
Spalanco gli occhi e rischio di cadere a terra, perché il mio corpo, già debole per conto suo, viene scosso da emozioni di un'intensità tremenda. L'uomo mi stringe forte il braccio, facendomi male, ma impedendomi anche di cadere.
"No... non può essere... povero amore mio!" sussurro.
"Michele, tranquillo. Non è in pericolo di vita, ma è molto debole. Giorgio l'ha portata a casa sua per curarla, ma se non dovesse riuscirci lui la porterebbe in ospedale. L'ha fatto per ringraziarti del gesto che hai compiuto per lui. Giorgio è impetuoso, ma non è cattivo, e lo sai."
"Non... non è questo... il fatto è che lei sta crollando... ed è colpa mia! È tutta colpa mia!"

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