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"115°: Non ce la faccio"

Michele
Da ieri sera il mio pensiero fisso sono quegli occhi invasi dal terrore e dalle lacrime. Non ho potuto godere delle meraviglie che ho scoperto grazie al bacio che lei mi ha permesso di prenderle, perché nella mia mente c'è stata la sua immagine in una forma completamente diversa... il suo volto spaventato quando ha riconosciuto la voce di Mattia.
Mio fratello ha rovinato la mia vita e la sua e a questo nemmeno la mia condanna, probabilmente imminente, potrà porre rimedio. Per quello non potrò fare nulla e questo mi fa male. Non voglio essere l'unico uomo al quale lei si avvicinerà nella vita in quel modo... non voglio che lei resti bloccata a vita da quello che ha rischiato di vivere, ma imporle una cosa simile sarebbe l'equivalente di usare violenza, con la sola differenza che questa, probabilmente, sarebbe anche più dolorosa poiché si parla di violenza interiore. Dalle ferite fisiche puoi guarire... ma quelle del cuore sono più difficili da curare. A volte è persino inutile tentare.
Il catenaccio della mia cella, perché ormai ho quasi la certezza matematica che resterò qui fino alla fine dei miei giorni, viene tolto, e vedo Giorgio di fronte a me. Con mio grande sollievo è in perfetta salute.
"We, Michè!" ["Ehi, Michele!"] mi saluta semplicemente.
Dato che dopo ieri Mattia mi ha legato di nuovo al letto con le catene riesco solo ad alzare la testa.
"Mi dispiace, ma non posso accoglierti come si deve. Purtroppo ho le mani legate..."
"Come si chiama quella cosa? Black Omar?"
"Eh?"
"Black Omar?"
"Ah, Black Humor. Umore nero." gli rispondo. Sto diventando un interprete, a quanto pare. Prima il Migliaio verde e adesso questo.
In fondo il carcere serve a qualcosa di diverso dall'arrovellarsi nel districare matasse assurde fatte di pensieri letteralmente aggrovigliati tra loro come fili.
"Sono venuto a ringraziarti" mi dice improvvisamente.
"Ringraziarmi?"
"E certo! Prima di tutto: mi hai salvato la vita, e poi oggi mi faranno uscire di qua e solo se sbaglierò un'altra volta potrò tornarci."
"Non sbagliare, amico. Credimi: non ti conviene, perché con la fortuna che hai il tuo carceriere sarà mio fratello..."
"Ma io mi chiedo... come fai a sopportare tutte queste cose se sai che alla fine non ti porteranno a un bel niente?"
"Se lo faccio è per lui... e per una ragazza molto speciale."
"La tua storia circola sui giornali e ti confesso che quando ho visto la tua foto con sotto il nome e il cognome di uno che si pensava che fosse un criminale sono scoppiato a ridere, lo sai?"
"Ah, allora potrei avere un futuro come pagliaccio se non fossi bloccato qua..."
"Mica per questo! Però... uno come te: un criminale che ha cercato di... Ja, ti prego!"
["Dai, ti prego!"]
"Esistono persone con una bella faccia e un animo cattivo."
"E tu sei l'eccezione alla regola."
"Buono a sapersi."
"Va beh... io me ne vado, ma prima ti faccio una promessa. Tu mi hai salvato la vita, no? E io salverò la tua!"
"Grazie." è l'unica cosa che riesco a rispondergli. Caro Giorgio, purtroppo per me non c'è scampo.
Lui esce dalla cella, lasciando la porta aperta, come per incitarmi a scappare, anche se sa che ora non potrei farlo comunque visto che sono legato.
Vedo entrare qualcun'altro. Il collega di Romano. Quello che mi ha tanto gentilmente fatto cadere quando sono arrivato. Quello che, insieme a Romano, mi ha trascinato qui e mi ha deriso.
"Tieni, ragazzo" dice liberandomi le mani e dandomi un bicchiere d'acqua e un piattino sul quale c'è giusto un pezzo di pane che sembra abbastanza duro.
Stanno riducendo le razioni, giorno dopo giorno, ma almeno la quantità d'acqua non me la stanno razionando. Ho capito che cosa vogliono fare: indebolirmi, ma senza uccidermi.
Non fin quando non arriverà il giorno. Il fatidico giorno.
Il mio problema, però, non è questo. Non ho dimenticato che, quando abbiamo perso tutto, per giorni potevamo permetterci a stento un po' d'acqua. La fame non mi spaventa di certo, ma credo proprio che Mattia l'abbia dimenticato e non sarò io a ricordarglielo. Che faccia quello che vuole... opmai sono arrivato al punto in cui non m'interessa.
"Sei pallido." mi dice l'uomo.
"E da quando tu ti preoccupi per me?" chiedo.
"Non abbiamo iniziato con il piede giusto, ma non sono cattivo come sembro" risponde lui.
"No. Forse sei ancora peggio."
"Michele, io... io ieri ho visto..."
"Hai visto! Hai visto quanto quella ragazza mi abbia reso felice! Tanto in carcere i segreti e la vita privata sono concetti astratti, vero?"
Il mio tono viene fuori più duro di quanto io non volessi, ma questo posto, anche se non lo dirò mai davanti ad un poliziotto che non sia il commissario, mi sta opprimendo.
"Michele, non volevo dire..."
È lui stesso a fermarsi. L'ha fatto anche prima. A me non piace interrompere le persone. L'unica persona con la quale lo faccio è il mio gemello, quello per il quale sono finito qua.
"Che importa? Tanto a breve mi diranno in quale giorno mi metteranno la corda al collo e un proiettile avvelenato in qualche punto del corpo, magari partendo dal più innocuo, per prolungare il dolore... perché io, in fondo, sono solo un delinquente. Un delinquente che ha cercato di approfittare di una ragazza!"
Appena pronuncio quelle parole, però, il mio cuore sembra fermarsi.
Perde un colpo.
Mi sembra di sentire quella voce dolcissima.
È ferita. Lei è ferita, perché io sto ripetendo quelle parole cattive.
"Michele, ti prego! Non dire questo!" sussurra quella voce dolce e melodiosa, che farebbe invidia ad un usignolo. Non è più la voce rude di quel poliziotto quella che si sta rivolgendo a me... o meglio: per un attimo è questo che mi sembra... poi mi riprendo. Ho appena avuto un'allucinazione uditiva, se quello che mi è successo si può chiamare in questo modo. Stare qui dentro, forse, mi porterà a perdere il senno molto prima dell'esecuzione.
"Michele! Michele!" mi richiama il poliziotto, agitando una mano davanti ai miei occhi, ed è allora che mi rendo completamente conto di cosa è appena successo.
Scoppio in lacrime, perché non resisto più.
Mi sento debole, incapace di continuare a lottare, ma non posso arrendermi. L'ho promesso a lei che non sarei crollato. Non prima dell'esecuzione.
"Michele, cerca di calmarti" mi dice il poliziotto. "Andrà tutto bene."
"No..." è l'unica cosa che riesco a dire, in un sussurro debole come un soffio di vento.
Non potrà mai andare bene fino a quando avrò mio fratello intorno, a piede libero, che può fare del male a quella ragazza in ogni momento.
Mi avvento sul bicchiere d'acqua come se fosse l'ultimo esistente sulla Terra, ma lascio cadere il pane sul piatto che ho ancora in mano e continuo a piangere con tutta la disperazione che mi è possibile.
Tutta la disperazione che le mie forze mi permettono di manifestare a livello fisico.
Perdonami, amore mio... io non ce la faccio più, non posso continuare così.
Dora
Non so perché, ma decido di andare al bar di quel giorno di alcuni mesi fa. Quello in cui Michele fece credere di essere il mio ragazzo per proteggermi da qualcuno che mi stava guardando.
Quella persona, purtroppo, era proprio Mattia.
Ricordo dove si trova quel posto, perché a volte, quando andavamo a pulire casa sua, ci fermavamo a quel bar per prendere qualcosa per poi andare al negozio del signor Ciro. Anche lui è parecchio rammaricato dalla sorte che è toccata al povero Michele.
E quel giudice, a quanto ne so, non gli farà nemmeno uno straccio di processo! Ma come ha fatto a diventare giudice? Come ci è arrivato se poi si comporta in questo modo?
Prendo un taxi che mi porta davanti a quel bar, pago e scendo senza esitare. Trovo il cameriere di quella volta, che mi riconosce e mi accompagna ad un tavolo libero.
"Cosa prendi?" chiede gentilmente.
"Un... milkshake." dico in un sussurro.
Ho bisogno di qualcosa di dolce, perché le mie giornate di per sé sono diventate amare.
Lui ci mette un po' ad arrivare poiché c'è abbastanza gente. Quando arriva, però, mi dice: "Ho saputo di Michele. Mi dispiace tanto."
Divento di ghiaccio quando lui pronuncia quelle parole.
"In che senso?"
"Insomma, io... io non riesco a credere che lui abbia potuto... ecco... cercare di farti una cosa come quella..." balbetta imbarazzato e sinceramente dispiaciuto. Non devo arrabbiarmi. In fondo lui conosce la versione che gli è stata raccontata, cioè quella secondo la quale è stato Michele a farmi del male. Povero amore mio... per quanto tempo dovrai ancora sentirti chiamare "delinquente", anche se in modo più delicato?
"Ma non devi essere dispiaciuto per me, anche perché a dirla tutta non è neanche stato Michele."
Lui non mi dice nulla. Lo sento semplicemente allontanarsi.
Io, dal canto mio, mi chino sul bicchiere di vetro e mando giù la bevanda dolce, piano piano. Resto con la mano sinistra sospesa a mezz'aria, come se quella mano me la stringesse lui: il mio Michele!
Intanto, alla radio, passano canzoni romantiche, una dietro l'altra. Una in particolare, però, mi colpisce come un secchio d'acqua gelida tirato dritto in testa.
Si chiama: "In assenza di te".
Ascolto le parole di quella canzone, una per una, e sento gli occhi iniziare a pizzicarmi, preannunciando un imminente pianto isterico.
Sull'ultimo ritornello, più precisamente sulla frase: "Vivo in assenza di te perché non c'è più vita in me", però, non reggo più. Alzo velocemente la mano per chiedere il conto e sento lo sguardo di quel cameriere addosso... forse perché sono già scoppiata in lacrime. Per fortuna trovo subito i soldi, glieli lascio e mi alzo velocemente. Quella canzone risuona nella mia testa, unita al ricordo del mio incubo ricorrente: quello in cui viene eseguita la condanna di Michele, davanti a me, ed io non posso fare niente per impedire che accada. Corro senza smettere di piangere. Devo sembrare completamente matta, e forse lo sono, ma sinceramente non me ne importa. Io sento che anche lui sta soffrendo. Lo sento ripetere la frase: "Sono un volgare delinquente.", e ogni volta che la sento rimbombare nella mia testa è come se mi venisse piantata una freccia nel petto. Forse siamo collegati, perché io ho la sensazione che anche lui stia piangendo. Perché le cose devono essere tanto difficili?
Cerco di concentrarmi, di fermarmi da qualche parte, perché ora non so dove mi trovo, ma non riesco a farlo. Il dolore è eccessivo anche per fare questo.
Alla fine crollo a terra, in un angolo tra un muretto e l'entrata di un negozio, lascio cadere il mio bastone vicino a me e mi prendo il viso tra le mani. I singhiozzi mi scuotono interamente il corpo e in questo momento vorrei solo essere accanto a lui, perché so con certezza che sta soffrendo, anche più di me.
Sento la testa dolere terribilmente e le mani tremare.
Anzi: forse farei molto meglio a dire che mi tremano tutte le membra.
"Michele... Michele, perdonami... io non ce la faccio più. Non resisto più..." sono le ultime parole che riesco a dire con un filo di voce, prima di perdere i sensi.
Giorgio
Sto tornando a casa mia quando qualcosa mi blocca. Una ragazza è inginocchiata a terra, con il volto fra le mani, e piange disperatamente, come se avesse perso qualcuno di molto importante per lei. Non so che fare. Non so se avvicinarmi. Potrebbe scambiarmi per un malintenzionato.
Non voglio tornare in carcere. È vero, ho sbagliato, ma l'ho fatto per una ragazza che ha rischiato grosso a causa di una bestia. A dire il vero non la conoscevo nemmeno, ma non avrei sopportato l'idea di assistere ad una violenza come quella senza intervenire. È per questo che sono finito dentro, e nonostante gli sforzi di quella ragazza ho rischiato comunque la vita. Se non avessi incontrato Michele, forse, ora non sarei qui per poterlo raccontare.
Poi qualcosa mi attrae. Lei pronuncia un nome... proprio il nome al quale stavo pensando.
Per ben due volte! Lei dice: "Michele! Michele, perdonami... io non ce la faccio più. Non resisto più...", e subito dopo crolla a terra, priva di sensi. È a quel punto che mi avvicino.
Michele! Ha detto Michele! Chissà se parlava del mio stesso Michele?
Chissà se si rivolgeva a lui?
Mi avvicino per osservarla meglio. Non c'erano sue foto sul giornale in cui si parlava di Michele, ma c'era il suo nome. Quando controllo se ha documenti e tiro fuori la sua carta d'identità per poco non svengo anche io.
Dora De Luca!
Dev'essere lei!
Michele mi ha salvato la vita, quindi io in qualche modo devo ricambiare.
Prendo in braccio la ragazza e quando la tocco sento che è bollente. Raccolgo anche il suo bastone e i suoi averi e decido di portarla a casa.
Cercherò di curarla io, e se non dovessi riuscirci la porterò subito in ospedale perché abbia le cure necessarie.

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