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"11°: Scontri, ricordi e cure"

Michele
L'espressione di Dora è cambiata radicalmente, e per giunta in maniera molto repentina. Ha i lineamenti del viso tesi al massimo, come le corde del tiro alla fune, e nei suoi occhi leggo puro terrore. Chi diavolo è questo tizio? Cosa le ha fatto? Perché lei lo teme tanto?
"Se ti va invece dell'albero posso scegliere il Mare per farti vedere, o meglio: sentire, quanto sei inutile!"
È un attimo ed io gli sono praticamente addosso e non so chi o cosa mi abbia trattenuto dal colpirlo sul viso dato che ora lo sto tenendo fermo.
"Senti, chiunque tu sia, non hai il diritto di trattarla così!"
"Ah... la ragazzina non sa difendersi da sola e chiama un ragazzo che per lei prova soltanto pietà!"
Non resisto più e gli assesto un pugno sul viso che lo porta a rovesciarsi a terra, ma la cosa non dura a lungo. È la prima volta che faccio a botte e non calcolo bene i tempi, infatti lui fa altrettanto, ma invece di colpirmi sul viso mi tira un pugno allo stomaco ed io crollo a terra. Lo vedo dirigersi verso Dora, sollevarla di peso e, senza un minimo di pietà, lanciarla in acqua.
Non lo dico a caso: l'ha proprio lanciata, come un oggetto d@ cui bisogna disfarsi nel più breve tempo possibile.
Mi alzo di nuovo e vado di fronte a quel tizio.
"Ma chi ti credi di essere?" chiedo.
"Uno sano di mente, che non si crea problemi a dire il fatto suo ad una mocciosa, per giunta..."
"NON CI PROVARE NEMMENO!" gli grido contro.
Lui mi colpisce sul viso, io barcollo e mi aggrappo proprio a lui per non cadere, poi lo lascio dov'è, mi volto e vedo la ragazza che ha gettato in acqua arrancare. Quel mostro l'ha gettata in acqua da uno scoglio e quando vedo che lei nuota a fatica perché si è ferita mi getto in acqua anch'io, la raggiungo e le grido: "PICCOLA, TENDI LE BRACCIA! SONO QUI!"
Il Mare è un po' agitato. Ci si può avvicinare, ma di buttarsi non era il caso, e quel tizio l'ha fatto apposta!
Riesco a prendere le sue mani e, in qualche modo, a riportarla indietro, ma mentre all'inizio lei cercava di aiutarmi, quando arriviamo allo scoglio e dobbiamo arrampicarci mi accorgo del fatto che è crollata improvvisamente.
La tiro su e vedo che ha anche il viso fradicio. Riesco a deporla a terra, mi metto accanto a lei e le prendo una mano.
"Piccola! Ehi, mi senti?" le chiedo.
Dora
Quel tizio mi getta in acqua e lo sento urlare e lottare contro Michele.
Quando atterro urto con una caviglia contro uno scoglio. Le onde sono alte e mi sovrastano.
Cerco di girarmi, ma non riesco a tornare indietro, perché l'acqua che sta entrando nei miei polmoni mi porta a fare fatica.
Improvvisamente sento la voce di Michele, che mi arriva ovattata, ma afferro lo stesso quello cbe vuole dirmi.
Tendo le braccia, lui mi afferra le mani e inizia a trascinarmi. Io cerco di spingere, per rendergli più semplice il percorso, ma quando arriviamo sento che le mie forze vengono meno e svengo.
Michele
Lei non reagisce, quindi raccolgo il suo zaino, me lo carico sulle spalle e la prendo in braccio. Corro verso casa mia e quando ci arrivo mi tocca toglierle gli abiti, bagnati d'acqua gelida, e la metto nella vasca per sciacquarle la ferita quando sarà necessario.
"Piccola, ti prego, svegliati!" le dico, premendole la mano sul petto e tenendo gli occhi chiusi. Lei è completamente esposta, per questo lo faccio. Non voglio che torni ad avere paura di me quando si sveglierà, infatti, per confermarle che non la guardo, ho girato la testa dal lato opposto.
Mentre le premo sul petto la sento tossire e capisco che si sta riprendendo.
"Piccola, mi senti?" le chiedo.
"S-sì... ma..."
"Cosa c'è?"
"Perché sono... n-nuda? Mi hanno fatto qualcosa?"
A quel punto, non essendo ancora capace di muovermi adeguatamente senza guardare, apro gli occhi, recupero i suoi abiti e li metto tra le sue mani.
"Non sono strappati, però sono fradici e dovrei ripulirti la ferita sulla caviglia. Il sale sulle ferite brucia moltissimo, piccola!"
La vedo serrare la mascella e immagino che sia per questo. Tenta di sollevarsi, ma la copro con il braccio.
"Tieni" le dico dandole un asciugamano, in modo che possa coprirsi.
Ammetto che ho avuto e ho ancora la forte tentazione di vederla, ma se un giorno, anche se è fortemente improbabile, dovesse succedere, desidero che avvenga solo se lei lo desidera.
Lei si avvolge l'asciugamano, piuttosto grande, intorno a tutto il corpo e si tira indietro, in modo da darmi la possibilità di lavarle la ferita. La sento sussultare quando la tocco in quel punto, ma lei non si lamenta affatto.
"Se ti faccio male puoi dirmelo" le dico cercando di risultare il più possibile rassicurante.
"Questo non è niente, Michele!" mi dice lei, seria.
"Che significa? Cosa ti hanno fatto?" chiedo.
"Ecco..." dice lei sottovoce, alzando le mani e portandole sul suo viso. Io le prendo e gliele sposto delicatamente da quel punto. È troppo bella, troppo buona per nascondersi da chiunque. Insomma: perché dovrebbe farlo?
"Piccola, non vergognarti!" le dico.
Dora
Come posso spiegargli che quando ero molto piccola sono stata umiliata in modo davvero orribile, come se non fossi un essere umano... come se fossi qualunque altra cosa, ma non quello? Come posso raccontargli questa maledetta storia che, se avessi potuto farlo, avrei seppellito definitivamente?
"Ehi!" Michele toglie le mani dalle mie ferite e le porta sul mio viso. "Dora, ascolta: non vergognarti di nulla, perché qualsiasi cosa ti abbiano fatto... tu non hai colpa, è chiaro? Non hai nessuna colpa!"
Annuisco poiché non ho la forza di dire niente.
"Se non te la senti di parlare va bene, Dora" mi dice, ma non riesco a trattenermi oltre e mi metto a piangere come ultimamente mi succede spesso. Michele mi applica dei cerotti sulle ferite con una mano e con l'altra accarezza il mio viso, asciugando le mie lacrime.
"L-lui... e un altro ragazzo... quando andavo all'asilo mi hanno chiamata con una scusa e mi hanno legata ad un albero per poi mettermi una benda... quando me l'hanno messa sono scoppiati a ridere e mi hanno presa in giro, dicendomi: "Ah, ma a te la benda non serve!", ed hanno iniziato a lanciarmi addosso della terra... poi Gabriele, il tizio della spiaggia, mi ha obbligata a voltare la testa verso di lui ed ha iniziato a strofinarmi la terra negli occhi... mi hanno lasciata là per tre ore e quando mi hanno liberata mi hanno portata in ospedale. Ero ferita perché mi avevano tirato addosso anche degli oggetti e i miei mi hanno detto che per giorni non ho più parlato, perché quei due mi avevano detto che mi avrebbero fatto del male se avessero saputo che avevo detto a qualcuno del loro scherzo..."
Dopo la mia rivelazione, fatta tra singhiozzi e lacrime, Michele mi prende in braccio e mi tiene stretta. Abbiamo ancora entrambi la sabbia addosso e il sale ci porta a tenere appiccicata la nostra pelle, ma a me non importa. Ora come ora ho troppo bisogno di quell'abbraccio.
"Piccola, non è colpa tua: sono loro ad aver sbagliato, e poi tu hai imparato a volerti bene, forse specialmente per i tuoi occhi, e questo fa di te una ragazza con molta forza. Tu per me sei un esempio da seguire, capito? Non lasciarti travolgere da questi ricordi!"
"Mi vergogno tanto di farmi vedere da te in questo stato, ma ti ringrazio per non avermi presa in giro."
Lui mi adagia nuovamente nella vasca e, coprendomi con la tenda della vasca, dice: "Se vuoi ti lascio sola."
"No, non volevo dire questo. E poi sei a casa tua... Iosomma: io..." sussurro coprendomi il viso con le mani.
"Tranquilla, va tutto bene." mi dice. "Ci vediamo dopo. Intanto vado a prepararti qualcosa di caldo, va bene?"
"Non disturbarti, ci penso io." dico.
Lui esce senza dire nulla, io fi lavo velocemente ed asciugo i capelli, poi esco e lo sento armeggiare con qualcosa.
"Che cosa stai facendo?" gli chiedo.
"Quello che ti avevo promesso!"
"Cioè?"
"Una cioccolata calda."
"Non preoccuparti, ci penso io." dico e lui sorride. "Non ti convien_ toglierti quei vestiti di dosso? Io non vorrei rischiare che te lo prenda tu un raffreddore..."
Appena finito di dirlo porto la mano sinistra alla bocca e trattengo a stento uno starnuto.
"Credo che a te sia già venuto il raffreddore!"
"Decisamente." dico sfiorandogli una spalla. La sua maglietta gli si è praticamente appiccicata addosso e a me dispiace tanto.
"In effetti non vedo l'ora di togliermi questa roba di dosso."
Gli sorrido e lui mi ricambia.
Mi metto a girare la cioccolata calda nel pentolino e dopo aver terminato cerco due tazze. Quando le trovo le riempio e le metto sul tavolo, ma subito dopo sono costretta a girare la faccia, perché mi viene da starnutire nuovamente.
Lui esce e mi raggiunge.
"Però! Sei una grande!" mi dice sorridendo.
Ci sediamo vicini e mentre beviamo lui mi chiede: "Come va? Stai un po' meglio?"
"Sì, va meglio" rispondo. "Sei stato veramente tanto gentile!"
"Ma figurati!" mi dice ridendo.
"Vedi... io non ho mai avuto il coraggio di parlarne e..." dico, ma sono costretta a munirmi velocemente di un fazzoletto e lui mi accarezza il viso e mi dice: "Piccola, credo ti convenga metterti a letto, non hai una bella cera!"
"Sei sicuro? Mi dispiace andarmene senza darti una mano!"
"Sono quattro cose, ci penso io!" mi risponde lui.
Ormai conosco abbastanza bene la casa, forse perché mi sono impegnata un bel po' per cercare di memorizzarla nel suo complesso, quindi mi dirigo in quella stanza e mi metto a letto.

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