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Capitolo 6

Quando ripresi conoscenza, mi ritrovai con un camice bianco in un letto d'ospedale, il ginocchio destro fasciato e in scarico. I miei genitori erano accanto a me, coccolandomi con carezze piene di amore e tenerezza. Notai subito lo sguardo di mio padre. Era diverso, aveva gli occhi lucidi, come se avesse appena pianto. Lo guardai e gli chiesi, con un filo di voce: "Abbiamo perso, vero?"

Lui, con un sorriso beffardo, mi rispose: "Ani, c'è una brutta notizia. Più grave della sconfitta che avete subito. Hai avuto un gravissimo infortunio al ginocchio."

Cercai di rincuorarlo con un sorriso e un tentativo di speranza: "Recupererò, papà. E andrò a prendermi quello scudetto! Te lo prometto!"

Lui non rispose, ma proprio nel momento in cui stava per dire qualcosa, entrarono in stanza il dottore e il team manager del Ravenna Volley. Il dottore prese la parola con la voce strozzata, come se fosse difficile per lui pronunciare quelle parole: "Anita, hai avuto un terribile infortunio. Non ti dirò bugie: non potrai più giocare a pallavolo, né a qualsiasi altro sport in cui il tuo ginocchio destro possa subire sforzi. Mi dispiace."

Cercai di incrociare gli sguardi delle persone presenti, ma tutti avevano il capo chino tranne mia madre. Come avrei voluto, in quel momento, vedere il pugnetto incitatore di mio padre, ma lui rimase immobile, la mano lunga lungo il fianco.

Per due giorni alternai pianti, brevi sonnellini e una marea di pensieri. Non solo avevo perso la mia finale, ma avevo perso ogni possibilità di realizzare il mio sogno.

Ricevetti tanti messaggi di incoraggiamento, tante visite da amiche e compagne, e, incredibilmente, la Gruen fu ripresa da Ravenna per cercare di vincere lo scudetto. Che beffa.

Dopo sei mesi di riabilitazione, cominciai a camminare decentemente. Ogni giorno, con il calar del sole, mi rivolgevo al dottore e gli chiedevo: "Posso tornare a giocare?". La risposta era sempre la stessa, dolorosa: "Mi dispiace, Ani, è impossibile."

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