Capitolo 2
"La pallavolo è uno sport meraviglioso. Da sole non si vince e da sole non si perde. È un gioco di squadra in cui bisogna saper leggere ogni momento, rimanere sempre concentrati, osservare le mosse dell'avversario e, allo stesso tempo, guardare negli occhi le compagne per capire se vanno aiutate. È uno sport che può essere molto duro. Se il vostro avversario capisce che siete in difficoltà, vi tartasserà. Non c'è pietà. Il volley vi farà piangere, e lo farà tante volte, ma se resterete umili, disposte a sacrifici e avrete voglia di imparare, vi porterà lontano. Siete pronte a tutto questo?"
Ricordo sempre con piacere il primo discorso dell'allenatore nella nuova squadra. Tutte noi accettammo di far parte di quel progetto, ma capimmo subito, soprattutto, la parte del discorso che parlava di sacrificio. Gli allenamenti erano durissimi. Ci facevano fare esercizi che sembravano inutili, molti senza palla, e soprattutto si giocava poco, quasi mai. Ma nonostante tutto, non ero dispiaciuta. Mi piaceva giocare, ma con il passare del tempo i miei obiettivi cambiarono. Cominciai a desiderare, più di ogni altra cosa al mondo, di diventare una giocatrice professionista e vincere uno scudetto. Le mie compagne avevano quasi tutte lo stesso sogno, in particolare Giorgia, la palleggiatrice, con cui mi trovavo benissimo. Io però non avevo ancora un ruolo definito: il mister mi allenava in modo totale e mi provava praticamente in ogni posizione. Lo fece per tutto l'anno. Durante le partite, ero quasi sempre in panchina e venivo chiamata in causa raramente. Questo mi dava molto fastidio, ma capivo da sola che ero chiaramente la ragazza meno brava della squadra. Da ragazzine, però, non sempre si reagisce nel modo giusto, e dopo una sconfitta in cui non mi fece salire nemmeno un punto, presi la mia borsa e me ne tornai a casa, con il pensiero di abbandonare la squadra e il volley. Mio padre non reagì bene e mi obbligò a presentarmi all'allenamento successivo per comunicare la mia decisione a tutte le compagne e all'allenatore. Non era facile per una ragazzina di dieci anni, ma la rabbia era troppo forte, così mi presentai all'allenamento, convinta della mia scelta.
Il mister arrivò nello spogliatoio, dove le mie compagne stavano iniziando a cambiarsi. Io non avevo nemmeno portato la borsa, ma nessuno se ne accorse.
"Ragazze, oggi volevo parlarvi un attimo qui, nello spogliatoio, prima dell'allenamento. E voglio parlarvi di una di voi che si sta comportando in modo esemplare: sempre presente agli allenamenti, sempre puntuale, che sta mettendo l'anima per imparare e raggiungere il vostro livello, una ragazza che, nonostante le numerose panchine, non si è mai arresa e mai ha protestato. Sto parlando di Anita, che ha fatto passi da gigante in questo anno ed è ormai pronta per ritagliarsi qualche spazio in più. Per premiarla per la sua pazienza, alla prossima partita sarà titolare per la prima volta e capitana!"
Gli occhi di tutte iniziarono a brillare e io mi sentii una scema totale. Tutte le compagne mi guardarono felici e aspettarono una mia parola.
"Grazie. Ho dimenticato la borsa a casa. Datemi dieci minuti e sarò in campo cambiata!"
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