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8a) BOZZOLI

Incuriosito ed eccitato a un tempo, si guardò attorno. Alberi, cespugli, erba. Un po' deluso lì per lì non vide nulla, ma quando seguì la donna oltre a un albero, andò a sbattere in qualche cosa che non avrebbe saputo dire se fosse duro o morbido, peloso o fibroso, caldo o freddo, bagnato o asciutto. Era pesante e quando lo colpì sbattendoci contro con il viso si spostò, arretrò al contatto e avanzò seguendolo. Quando cercò di afferrarlo al volo, gli sfuggì dalla presa.

Era viscido eppure le mani erano rimaste asciutte. Preso alla sprovvista fece un balzo indietro, ma la cosa lo seguì veloce ritornando a sbattergli in faccia. Dal suo interno sentì provenire un lamento, quasi un gemito che gli fece accapponare la pelle. Spaventato arretrò andando a sbattere contro a un altro di quei cosi che rimbalzò lontano prima di tornargli subito contro. Quando lo colpì alla schiena, anche da quello udì uscire dei gemiti. Un terrore improvviso gli strinse il petto, il cuore perse un colpo. Stava per perdere il controllo. Se non ci fosse stata Salende avrebbe urlato.

Ma lei era lì, gli andò incontro veloce e gli mise le mani sul petto ansimante.

"Calmati, mio signore" gli disse con la sua voce dolce, ma più che il suono delle sue parole a calmarlo poté il suo profumo.

Chiuse gli occhi, lo inalò forte, come fosse l'ultimo respiro. Lo sentì scendere nei polmoni, nel sangue, nel cervello, riprese il controllo dei muscoli, dei gesti. Sentiva il tocco leggero della mano di Salende sul petto. Incominciò a respirare a fondo, riaprì gli occhi. Con una mano ancora sul suo petto, Salende, facendole rimbalzare, con l'altra teneva a distanza i due oggetti contro cui era andato a sbattere. Ancora si muovevano avanti e indietro, a destra e a sinistra, avvicinandosi e allontanandosi ogni volta che sbattevano contro la mano della Ratnor. Sempre meno, fino a quando restarono ferme, ondeggiando appena, sospese a mezz'aria davanti e dietro a loro. Il suo cuore si quietò, il respiro riprese a scorrere normale.

Quando la situazione tornò tranquilla, Salende andò a controllare i due oggetti che Wal aveva involontariamente spinto. Sembravano dei sacchi fatti di finissima fibra, leggermente rigonfi in basso, verdi come le foglie degli alberi, quasi invisibili quando fermi, alti come un uomo e grandi abbastanza da essere abbracciati da un adulto. Pendevano da grossi e bassi rami, ognuno di essi tenuto a mezz'aria da una corda di fibre intrecciate che spuntava dai rami stessi degli alberi. Quando erano colpiti da un raggio di sole brillavano come se si accendessero, mentre nella penombra della foresta restavano inerti e scuri, confondendosi alla perfezione con la vegetazione. Sembravano enormi frutti che ondeggiavano piano sospinti dal vento, sfiorando quasi il terreno, frusciando impercettibilmente a ogni movimento. La Ratnor verificò, tastò, girò tutto attorno, mosse quasi fibra a fibra alla ricerca di strappi e lacerazioni. Sembrava non esserci nulla di rotto. Dopo un primo momento, man mano che si accertava che non vi erano danni visibili, si tranquillizzò.

"Cosa sono quelli? " domandò Wal, esterrefatto.

Salende gli lanciò uno dei suoi sorrisi, divertita dal suo stupore.

"Sono figli tuoi, Gopanda. Sono il frutto del tuo impegno come Padre di Tutti".

"Cosa? Che cosa stai dicendo?" fece incredulo.

"Questi due provengono dal villaggio di Yasoda " aggiunse accarezzandoli piano, uno dopo l'altro. Dal loro interno Wal ebbe l'impressione di sentire uscire dei gorgoglii "Sono quasi maturi, a breve nasceranno".

Leggermente imbarazzato, incominciò a comprendere.

"Questi due?" disse "Perché, ce ne sono altri?".

Salende lo prese per mano senza parlare e lo condusse poco distante. Di quando in quando incontrarono altre donne. Ratnor e Sednor lavoravano insieme, come alla radura. Ognuna badava a uno di quei cosi sospesi. Molte osservavano stupite il Gopanda passare per mano a Salende e lo salutavano prima di tornare alle loro occupazioni.

La donna indicò gli alberi che avevano attorno .

"Ecco, mio signore, guarda" gli disse "Questi sono tutti figli tuoi".

Wal era senza parole. Guardandosi attorno vide decine, centinaia di quei cosi appesi agli alberi. Da ogni albero ne pendevano due o tre, alle volte quattro. Alcuni erano gonfi come i primi e sfioravano il terreno, altri erano piccoli, sospesi ancora in alto e di colori leggermente più tenui. Attorno a loro si affaccendavano le donne controllandoli, tastandoli, disponendo meglio le fibre che si erano spostate. Lavoravano veloci, caute e in silenzio. Efficienti, passavano da un sacco all'altro senza sosta, senza mai incrociarsi l'una con l'altra. Ancora una volta Wal dovette ammirare la loro organizzazione.

Vedendolo visibilmente sbigottito, Salende lo accompagnò verso alcuni dei contenitori più piccoli. Le arrivavano poco al di sotto dell'altezza del petto.

"Questo è il dono che la Grande Madre fa a noi Ratnor" disse la donna, spostando delicatamente alcune fibre e facendo cadere ramoscelli e foglie secche che vi si erano posati sopra.

"Questi sono arrivati da Omondi" aggiunse osservandolo maliziosa "Come vedi il tuo impegno ha dato molti frutti".

Sentendosi arrossire, Wal si guardò attorno e vide che c'erano molti contenitori delle medesime dimensioni. Erano decine e decine.

"Quelli laggiù arrivano da Hasanti" fece ancora Salende, indicando dei sacchi un po' più grossi "Tra breve inizieranno ad arrivare quelli del nostro villaggio. Il numero, dipenderà dal tuo impegno, naturalmente".

Wal si rese conto che per la donna la cosa era perfettamente normale e non le creava nessun impaccio parlarne. Lui invece era imbarazzato.

"Cosa intendi dire,  per dono della Grande Madre?" domandò infine alla Ratnor, tanto per cambiare discorso.

Lei gli rivolse uno dei suoi infiniti sorrisi.

"Noi Ratnor concepiamo dal Gopanda i nostri figli. Dopo quindici giorni possiamo decidere se portarli nel nostro grembo oppure affidarli alla Grande Madre, qui, nel Semenzaio".

"Ti prego, Salende, spiegami meglio. Non comprendo. È tutto così strano per me".

"La Grande Madre ci dona la vita. Se vogliamo, affidiamo a lei la cura di far nascere i nostri figli. Lei crea queste placente e nutre i feti con la linfa delle piante. Infonde loro vita e forza e qui dentro i nostri figli si trasformano".

La donna andò verso uno di quei contenitori che sembrava avere un difetto sulla superficie. Lisciò accuratamente le fibre, quasi le accarezzasse. Poi tenne il sacco tra le mani, delicatamente, senza premere.

"Qui dentro" proseguì mostrandolo a Wal "C'è un bimbo, figlio tuo e di una Ratnor. Rimarrà qua dentro ancora per due lune, poi strapperà la placenta e uscirà. Cresce, come fa un bruco prima di diventare farfalla e volare via".

Wal si sentì a disagio. Qualcosa aveva risvegliato in lui un ricordo sfuggevole già sparito. Pensava di aver ricordato tutto del suo passato, ma evidentemente non era così, si sbagliava. Qualcosa gli restava ancora celato, allora.

Improvvisamente sul volto della Ratnor comparve una smorfia di dolore. Salende ebbe un momento di malessere.

Vedendo la donna accasciarsi tenendosi il ventre con le mani, Wal dimenticò tutto e le fu accanto. La sorresse per un braccio. La sentì docile al suo tocco e volentieri si appoggiò a lui.

"Forse è meglio se ti siedi un poco, mia signora" le disse indicandole un tronco a pochi passi "Ti sei già affaticata molto oggi" . La donna annuì e accettò volentieri di farsi accompagnare a sedersi.

"È gentile da parte tua prenderti cura di me, Padre di Tutti. Non sono molti quelli che lo fanno" gli disse e lui non seppe che sorriderle.

"Chi sono quelle donne?" le domandò, indicando le Ratnor e le Sednor che si avvicendavano attorno alle placente "Sono le madri?".

Un poco si vergognava a domandarlo, perché avrebbe dovuto ricordarsene, però così non era. Erano tutte troppo uguali per ricordarsele.

Si attendeva di vederla divertita dalla sua ingenuità, invece un sorriso amaro le distorse il volto. Per la prima volta la vide abbassare gli occhi. C'era dell'amarezza nella sua voce quando gli rispose.

"No, Leta. Questi bambini non vedranno mai le madri. Nemmeno sapranno quale donna li ha portati al Semenzaio. Le donne Ratnor non allevano i loro figli, hanno altro da fare".

Wal ne rimase colpito. Profondamente. Non capiva come potesse essere possibile una cosa del genere. Per lui, proveniente da un popolo in cui i bambini erano una questione di tutto un villaggio, era incomprensibile e inaccettabile. Ammutolito, l'ascoltò ancora parlare.

"Quelle sono Sednor del villaggio di Kimani. Le altre sono come me, Postulanti. Ci occupiamo noi che tutto vada per il meglio".

Vedendola sofferente con una mano sul ventre, istintivamente posò anche la sua su quella della donna. Immediatamente il feto sobbalzò, facendogli allontanare la mano allarmato "Ti ho forse fatto del male?" le disse e lei gli sorrise ancora, paziente per la sua ingenuità. Era tornata serena, come sempre. Per poco non le comparivano le lacrime agli occhi per la gioia. Fu lei a prendergli e posargli ancora la mano sulla sua.

"È un grande onore per mio figlio, se il Padre di Tutti si degna di benedirlo. Grazie, Leta ".

Lusingato dal complimento le rivolse un inchino, anche se la lusinga poco poteva per attenuare l'indignazione e il disgusto che provava in bocca. Non per lei o per le Postulanti, ma per quello che erano divenute le Ratnor. Sbottò. C'era in lui una rabbia antica, forse nemmeno totalmente sua.

"Non erano così le antiche tradizioni, vero?" disse irato.

"Oramai rimanete soltanto voi a seguirle!".

Sospettò che dietro a quelle parole ci fosse suo nonno, però l'indignazione era genuina, era tutta sua.

La donna sospirò, annuì pesantemente. Aveva l'aria stanca e abbattuta:"Mi ferisce sentirtelo dire, mio signore, però siamo sempre meno, noi Sorelle della Vita. Non era così un tempo, vero. Non era così che voleva Walpurgis".

A sentire quel nome, Wal si fece più attento. Voleva saperne di più.

"Quel nome, mia signora, cosa ne sai? Dimmelo, ti prego. Sarebbe un grande onore, per me, ascoltare la vostra storia ".

Lei si allontanò, offrendogli solo un diniego. Ancora una volta gli sfuggiva la verità dalle mani.

Già lui temeva un secco rifiuto, quando lei aggiunse, affranta:

"Un giorno, prima della fine della luna, sarò onorata di farti conoscere la nostra origine, ma non oggi. Sono troppo stanca e tuo figlio non smette di scalciare".

C'era una speranza allora. Sollevato, disse :"È un maschio? "

I loro occhi si incrociarono, lei arrossì : "Non so, forse, credo di sì, Leta".

Soddisfatto lui si alzò.

"Come vuoi. Tornerò ancora a trovarti appena potrò, Salende. Così potrai dirmi tutto".

"Come il Padre di Tutti desidera, ma adesso vai. È già troppo tempo che sei qui e ormai saranno informati" gli disse alzandosi faticosamente dal tronco. Si portò le mani sulle reni e inarcò la schiena dolorante, mettendo ancora più in risalto il ventre.

"Chi dovrebbe già essere informato?".

"I Puri" disse soltanto Salende, abbassando la voce quasi temesse di farsi sentire. Nel dirlo portò le mani sul ventre a proteggerlo. Temeva forse per il piccolo? Wal se ne accorse e sentì salire la rabbia dentro.

"Marsal!" esclamò piano e vide che la donna annuiva.

Senza dire altro, salutò Salende e se ne andò.






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