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7b) SALENDE

Un brusco movimento del ramo su cui era seduto, lo richiamò dai suoi pensieri risvegliandolo di colpo. Si era lasciato dondolare dal vento che correva sulle cime degli alberi e per poco non si addormentava in quella posizione precaria. Era così bello e dolce lasciarsi cullare da quella brezza, che avrebbe desiderato potesse continuare per sempre. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto scendere, perché una decisione importante lo attendeva.

Sapeva che da qualche parte doveva iniziare. Prima o poi avrebbe dovuto dire a qualcuno quello che intendeva fare e quel giorno avrebbe di nuovo incontrato Salende. Insieme sarebbero andati al Semenzaio e sarebbe stata un'ottima occasione, eppure non si risolveva a fare il primo passo. Temeva di allontanarla prima che gli raccontasse la storia di Walpurgis e lui era curioso di saperla.

Navigava nel dubbio di come avrebbe reagito la Ratnor e il terrore di doverla lasciare indietro il giorno della partenza lo assillava.

Averla rivista in avanzato stato di gravidanza di un figlio suo, l'aveva profondamente toccato. Due lune ancora e sarebbe nato. Incontrare ancora Salende e scoprirla incinta di lui l'aveva emozionato oltre l'immaginabile. Non avrebbe saputo spiegarlo, però per lui da quel giorno le cose erano nuovamente cambiate. Lei era stata la prima Ratnor con cui aveva giaciuto dopo Salice che Ride. Erano al villaggio di Yasoda, se ne ricordava bene. Quattro lune erano passate da allora e non ne aveva saputo più nulla fino a quando non l'aveva rivista. Di lei, come d'altronde per tutte le altre, si era curato ben poco delle conseguenze dei loro incontri.

Certamente sapeva che quello era il suo compito. Da Koikai non aveva fatto altro che accoppiarsi tutti i giorni con donne Ratnor. Si fermava una luna intera in un villaggio, si accompagnava con più femmine possibili e poi se ne andava. Era logico che succedesse. Anzi, era quello che i Ratnor si aspettavano da lui come Gopanda-Leta, il Padre di Tutti. Lo sapeva, lo sapevano tutti, però non si era mai soffermato a pensare a quello che lasciava dietro di sé ogni volta che terminava la sua permanenza in un villaggio. Semplicemente se ne andava, ebbro di droga e di desiderio nel ricominciare a fecondare altre femmine come quelle che aveva lasciato alle sue spalle. Mai aveva pensato che il tempo stava scorrendo, luna dopo luna, seguendo il viaggio del sole nel cielo. Mai si era domandato che cosa ne sarebbe stato del suo seme in quei corpi favolosi. Lui agiva come un toro, come un albero, come la foresta, fecondava tutto quello che incontrava perché questo era ciò che volevano da lui.

Al contrario di quasi tutte le altre, di Salende aveva conservato un piacevole ricordo: di lei rammentava la voce calda, la profonda dignità e gli occhi calmi, però non avrebbe saputo distinguerla tra le altre Ratnor. Era come tutte loro, bellissima nei lineamenti e nel corpo, ma anche lei uguale a tutte e in mezzo a un campo di rose, una rosa è soltanto una rosa.

Però, nonostante questo, quando la rivide non ebbe dubbi. La riconobbe subito. Il suo profumo glielo disse.

Se ne ricordava bene.

Lui e Ranuncolo erano arrivati da un giorno appena. Era mattina e girovagava svogliatamente per il villaggio di Kimani. Da solo, immerso nei suoi pensieri. Era di malumore. Ce l'aveva con il servo, con il caldo, con le zanzare, con i Ratnor e con tutto quello che vedeva. Il villaggio era identico agli altri ed avrebbe saputo tornare al suo albero senza problemi, perché era esattamente come i suoi abitanti: senza fantasia. Senza la droga a stimolare in modo innaturale i suoi ormoni, Wal riceveva gli omaggi delle Ratnor senza scomporsi. Cortesemente le salutava una a una e poi passava oltre, lasciandole stupite e sbigottite a parlottare fra di loro. Sapeva che stavano parlando male di lui e non gli importava. Che facessero pure. Sebbene Ranuncolo avesse cercato di richiamarlo ai suoi doveri di Gopanda-Leta, i suoi pensieri erano altrove, lontano, seguivano i passi dei suoi amici che avevano dovuto lasciarlo per la sicurezza di tutti loro.

Il Sednor aveva fatto accompagnare Fredrik e Thorball dove aveva chiesto Neko. Aveva avuto rassicurazioni che si sarebbero incontrati terminata la luna di Kimani, poche settimane, eppure a lui sembravano tantissime. Un traguardo lontano, pieno di caldo e zanzare. Ma, sopratutto, di nostalgia, perché dopo aver passato del tempo con Fredrik e Thorball, con i suoi amici di sempre, sapeva di essere nel posto sbagliato. Ormai si sentiva prigioniero in un ruolo che faticava ad accettare.

Ancora una volta era obbligato ad accettare un compito che non aveva scelto. Ancora una volta non era che una pedina, circondato da ipocrisia ovunque guardasse. Quello che all'inizio era un grande onore, ora lo sentiva come un peso difficile da portare. Ancor più del destino da Sanzara, questo compito gli risultava sgradito.

Quella gente che aveva attorno, non era la sua gente. L'avevano salvato, è vero, l'avevano curato, nutrito e gli avevano dato un nuovo nome, però tutto quello che gli veniva dato, a suo tempo gli sarebbe stato tolto. Quel nome che all'inizio lo aveva reso così orgoglioso e felice, non era suo. Ogni anno un uomo come lui lo portava, ignaro del proprio destino. Sapeva di essere usato e questa consapevolezza toglieva ogni attrazione a sorrisi che sapeva falsi. Forse la droga di Ranuncolo serviva a offuscare la mente del prescelto per non pensare a quello che stava diventando in mano a quella gente, eppure, nonostante la delusione che provava, era contento di non volerla più assumere.

Aver passato del tempo assieme a sua moglie, aver incontrato Gioturna, aver compreso chi fosse veramente Flot di Yasoda gli aveva aperto gli occhi e quello che vedeva dietro la cortesia non gli piaceva. Scorgeva solo gente gretta, meschina, calcolatrice, avida di vita e di potere senza curarsi degli altri e dei loro bisogni. Aver parlato con i suoi Compagni di Disgelo gli aveva fatto rivivere valori e sentimenti che tra quella gente erano scomparsi da tempo.

Per quanto le tradizioni Vareghe fossero crudeli e spietate e non avessero esitato a sacrificarlo senza pietà, avevano lo scopo di difendere un popolo intero. Giuste o sbagliate che fossero, non difendevano l'interesse di un solo uomo, ma di tutti. Qui, no. Per i Ratnor contava l'individualità, gli altri erano soltanto un mezzo, non un fine. Ovunque non scorgeva che ipocrisia.

Inoltre credeva che ci fosse di più. Da quando aveva incontrato Gioturna, un'idea aveva preso a frullargli per la testa e non riusciva a togliersela dalla mente.

Ancora non ne aveva la certezza, comunque in lui si stava facendo strada il sospetto che il Rammarico dei Vareghi e l'esistenza di Gioturna avessero un legame più profondo di quello che avesse mai creduto la sua gente. Nessun Varego ricordava esattamente quando fossero nate le usanze del Matrimonio della Foresta e del Rammarico che gravavano su di loro come un macigno sulla testa. Semplicemente le accettavano perché tramandate dagli antenati. In fondo per loro, lassù al Nord estremo, la vita era già abbastanza dura per aver tempo di scoprire la verità su queste cose.

Erano troppo impegnati a sopravvivere per occuparsene.

Inoltre, quei pochi che riuscivano, come Alfons, a ottenere l'onore di unirsi a una Yaonai, vivevano troppo poco per pensare ad altro.

Per quello che ne sapeva, Neko era uno dei pochi Sanzara che fossero mai riusciti a tornare vivi dal proprio Rammarico e comunque non ne parlava mai volentieri. Nemmeno con lui ne aveva fatto parola, se non per incoraggiarlo. Doveva parlarne con il suo maestro, doveva sapere tutto quello che poteva su ciò che aveva maledetto la sua gente da troppo tempo, ormai. Voleva capire, esserne certo, perché se i suoi sospetti erano fondati, avrebbe avuto una ragione in più per distruggere Gioturna. Ma Neko era lontano, ormai. Avrebbe dovuto aspettare prima di potergli parlare e l'attesa era lunga e sfibrante


Perso nei suoi pensieri camminò a lungo, fino a quando si trovò in un punto del villaggio che non riconobbe. Sapeva di essere lontano dal centro. Voleva arrivare fino alla siepe di protezione, prima di tornare indietro. Magari arrivare al passaggio che la Guardiana a quell'ora avrebbe certamente aperto ed andare un poco a zonzo nella foresta. Invece si era perso. Ma non era solo.

Gli alberi casa erano addobbati con ghirlande di foglie e fiori e attorno passavano Sednor indaffarati che lo salutavano frettolosamente prima di allontanarsi. Nell'erba vi erano cespugli di fiori coltivati e alcuni Sednor strappavano con cura erbacce e rampicanti. Non vide Ratnor. A pensarci bene era da un po' che non vedeva uomini con i capelli rasati. Solo Sednor e donne Ratnor.

Attorno a sé, le Ratnor lo guardavano più con curiosità che con interesse. Quando lo salutavano gli andavano più vicino del normale e alcune di esse quasi lo sfioravano nel camminargli accanto. Non mostravano alcun timore superstizioso delle Ratnor a cui si era ormai abituato. I loro sguardi erano attenti, sereni, i loro sorrisi leggiadri.

Avanzò incuriosito tra quegli alberi casa e a un certo punto sentì dei richiami, delle grida acute e cristalline arrivare da poco lontano e subito comprese a chi appartenessero. Non poté crederci.

Sulle prime rimase stupito, poi ricordò le parole di Mirta, la figlia di Ranuncolo:

"Non ce ne sono nel villaggio. I Ratnor non li vogliono vicini perché li disturbano"

Incuriosito, seguì quelle voci. Arrivò nei pressi di una radura tondeggiante di una cinquantina di passi un poco nascosta alla vista e vide un gruppo di bambini con lunghi capelli biondi a coda di cavallo giocare sereni. Erano piccoli, alcuni di loro appena in grado di mantenersi ritti sulle gambe. I più grandi avranno avuto quattro, cinque inverni. A guardia attorno alla radura, donne Ratnor e Sednor distanziate pochi passi una dall'altra.

Quando la più vicina delle donne lo scorse gli andò incontro, modulando un fischio con le labbra. Un avvertimento per tutte le altre. Lo salutò gentilmente e gli si parò davanti. Le altre rimbalzarono il segnale e quando tutte furono avvisate, ogni due una lasciò il suo posto e raggiunse quella che aveva avvistato l'intruso. In breve Wal si trovò circondato. Nessuna lo toccò, nessuna fece nulla di minaccioso nei suoi confronti, eppure ebbe la chiara consapevolezza che, anche volendo, non avrebbe potuto fare un altro passo in avanti senza il loro consenso. Si ricordò di Ranuncolo, quando gli si parò davanti con la medesima ferma determinazione che vedeva negli occhi di quelle donne. Non stavano giocando in quel momento.

Queste facevano sul serio. Preferì stare fermo e attendere. Alle loro spalle, quaranta o più bambini, maschi e femmine, giocavano ignari. Nemmeno si erano accorti del suo arrivo. Era la prima volta che vedeva delle donne di quel popolo comportarsi in quella maniera e ne rimase colpito.

"Salute a voi" disse rivolto a nessuna in particolare. Attorno a sé aveva una ventina di Ratnor e Sednor, tutte bellissime e fiere, riunite come mai aveva visto prima. Non avevano armi. Lo fissavano in silenzio, senza dare mostra di avere fretta o agitazione, strette spalla a spalla le une alle altre per impedirgli di passare.

Dai loro corpi saliva un profumo di pulito, di menta e alloro, di lavanda e ginestra.

Gli piaceva, gli era piaciuto da subito. Non aveva paura, però sentiva che non doveva sottovalutarle.

Nelle sue terre aveva visto dei branchi di lupi. Anche loro cacciavano in gruppo, anche loro fissavano in silenzio la preda, circondandola prima di colpire tutti assieme.

Ecco, quello gli parevano, per quanto quelle donne non dessero l'impressione di volerlo aggredire, sembravano proprio delle lupe.

Risposero gentilmente al suo saluto, tornando al posto che avevano lasciato vuoto sul limitare della radura. Lentamente una per una si allontanarono, fino a lasciarlo completamente solo e stupito, sommerso dalle urla e dagli strepiti dei bambini che giocavano incuranti della sua presenza. Iniziava a capire dove fosse finito.

Com'è che lo aveva chiamato, Mirta? Semenzaio, forse?

Ancora non si era ripreso dallo stupore, quando alle sue spalle sentì una voce calda e gentile salutarlo:

"Salute a te, mio signore. E' un onore, poterti incontrare ancora".

Voltandosi si trovò davanti una Ratnor in avanzato stato di gravidanza, con il volto illuminato da un sorriso colmo di felicità.

"Salute a te, mia signora" rispose lui perplesso. Per quanto preso alla sprovvista ricambiò il sorriso:

"Anche per me è un gran piacere incontrarti ancora", fece per mascherare la sua perplessità, perché in verità non aveva idea di chi fosse quella donna. A prima vista non era che una Ratnor incinta, poi qualcosa lo colpì. La calma dignità con cui gli si era presentata, la serenità nel suo sguardo e l'odore. Ricordò di averlo già percepito, quell'odore. Il sorriso di circostanza si trasformò in un sorriso franco e sincero. Quell'odore che sapeva di buono lo condusse a ricordare, perché quella donna a suo tempo lo colpì.

Com'è che l'aveva definita Ranuncolo, una Postulante?

"Salende... di Kimani" aggiunse e vide il volto della Ratnor imporporarsi. Per un momento i loro sguardi si abbassarono sul ventre prominente della donna ed entrambi tacquero.

Nel medesimo istante la donna si convinse di essere stata riconosciuta e lui seppe di essere il padre di quel bambino. Un calore improvviso gli salì alla testa e sentì le guance in fiamme. Vergognandosene accennò un brusco saluto alla Ratnor, si voltò e si allontanò velocemente, tornando sui suoi passi. Alle spalle sentì la voce calma di Salende dirgli:

"Torna quando vuoi, mio signore. Per noi sarà sempre un onore ricevere il Gopanda-Leta".




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