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7a)RICORDI

 Era un mattino come gli altri, soffocante e umido. 

Il sole prometteva calore a quantità, quando dalla balaustra dell'albero casa vide alcuni ragazzi Sednor arrampicarsi veloci come scoiattoli lungo i rami degli alberi casa vicino al suo. Ben presto sparirono dalla sua vista. Incuriosito aspettò pensando di vederli tornare da lì a poco e invece quelli non tornarono affatto.

Chiese spiegazioni a Ranuncolo e quello gli spiegò che andavano in cima agli alberi per stare al fresco. Fu una rivelazione.

La cosa gli piacque subito. Una soluzione al suo tormento, una strada verso il paradiso. Senza aspettare oltre si mise a salire anche lui, scalò i grossi rami incurante del Sednor che gli ricordava i suoi doveri come Padre di Tutti. Faceva già troppo caldo per i suoi gusti e se quei ragazzini avevano ragione... <Che aspettino pure tutte le Ratnor> pensò con una scrollata di spalle.

Senza nemmeno voltarsi indietro, saltò dai rami più grossi a quelli più fini. L'arrampicata non fu molto difficile. I muscoli dolevano, ma rispondevano bene. La mente vedeva in anticipo gli appoggi per le mani e i piedi. Saltava e saliva. Si sentiva a meraviglia, come non gli succedeva da molti mesi, ormai.

Da quando erano al villaggio non aveva più preso la birra che Ranuncolo gli aveva dato per troppo tempo e si sentiva finalmente bene. La mente era lucida, il corpo era sano e anche le ultime tracce della lunga malattia erano sparite del tutto. La ferita sul petto non gli doleva più, di lei restavano soltanto una cicatrice rosa e spessa e il ricordo di quei momenti difficili. Senza la droga che ampliava la sua fame di sesso, poteva benissimo passare accanto alle Ratnor senza desiderarle e in effetti la loro bellezza lo lasciava ormai quasi del tutto indifferente. Erano tutte troppo simili le une alle altre per interessarlo ancora. Repliche sempre uguali le une delle altre, erano meschine e egoiste. Le poche differenze che per vezzo le distinguevano, erano così insignificanti che non meritava prenderle in considerazione. Da quando era arrivato, aveva chiesto il loro nome soltanto se ne aveva voglia e quando gli andava di farlo. Dopo le tre settimane passate insieme a Salice che Ride, la compagnia delle Ratnor era come pagaiare su un fiume dopo aver attraversato delle rapide: calmo e sicuro, ma piatto e noioso.

Anche le insistenze di Ranuncolo ormai lo lasciavano indifferente. Anche lui aveva perso molto dello smalto dei primi tempi. L'aura di mistero che inizialmente l'aveva circondato, lasciava il passo all'abitudine. Wal lo ascoltava quando gli andava, per il resto faceva come voleva senza curarsi dei suoi rimbrotti.

Gli mancava Salice che Ride, la sua risata, la sua franca complicità quando si appartavano dagli occhi curiosi delle Ratnor; la capacità che aveva di comprenderlo, facendosi comprendere con pochi gesti e sguardi. Erano stati bene insieme, finalmente liberi anche se per poco, senza rimorsi verso nessuno. Nemmeno nei confronti di Flot cedeva più a quel sentimento. Ora che sapeva molte cose sul conto del suo amico, non si sentiva più in colpa per aver condiviso il letto con sua moglie. Per quanto si fosse dichiarato pentito, come Maestro del Sole aveva troppe colpe nei confronti delle Yaonai; troppe anche verso i Sednor. Ma se queste colpe già erano gravi, l'aver ucciso il padre a sangue freddo, pugnalandolo alle spalle senza dargli la possibilità di difendersi, era inaccettabile. Come Varego e come Sanzara non poteva accettarlo. A lui, che era stato sacrificato dalla sua gente che gli piacesse o meno, il padre aveva insegnato cosa fosse l'onore per un Varego. Era duro, spietato, a tratti violento. Poteva comprendere molte cose, ma non questa.

Per quello che aveva saputo del suo avo, non dubitava che anche suo nonno Aldaberon avesse insegnato a Flot gli stessi valori. Entrambi discendevano dal medesimo ceppo e ne era fiero, ma Flot aveva scelto differentemente. Aveva preferito l'infamia all'onore, il disonore al rispetto, aveva voluto tutto a caro prezzo, quando avrebbe potuto averlo senza fare nulla.

Ricordarlo, immaginarlo mentre compiva l'atto infame, mentre spingeva il ferro nelle carni, lo feriva quasi come se la lama affondasse nel suo corpo e non quello del suo avo.

Quando pensava a quel metallo affilato sentiva l'acciaio  attraversare le ossa fino a raggiungere il cuore, poi spingere ancora, con cattiveria inutile, per essere certo di aver vinto. Era angosciante ogni volta che lo provava. In quei momenti pensava che forse era proprio questo che voleva l'anima del suo avo. Forse suo nonno Aldaberon voleva che non dimenticasse mai perché era giunto fino a lì, facendogli provare quello che a suo tempo provò nella sua carne. Come uomo e come padre.

Affetto tradito, amore strappato dalla sete di potere, delusione. Allora pensava a suo padre e ne sentiva il vuoto, la mancanza.

Come gli mancava Alfons in quei momenti, con la sua forza inesauribile nell'accettare un destino che gli aveva strappato tutto fino a esaurirlo completamente, piuttosto che mancare alla parola data.

Un ricordo, un punto fermo nella sua vita. Ecco cosa era: una luce in mezzo al buio, spenta troppo presto.

Come gli mancavano Neko, Fredrik e Thorball, da quando si erano separati ancora per non destare sospetti nei Ratnor. Come erano sfuggiti in fretta i momenti passati assieme.

Con il suo vecchio maestro aveva avuto un unico, breve momento per parlare da soli, poco prima della partenza. Se lo ricordava bene.

"Maestro, perché ieri hai chiamato in quel modo il mio servitore? Dimmi, chi sei tu? Cos'è questo Grande Vecchio di cui parlavate?" gli domandò concitato e Neko, dopo un momento di smarrimento, gli sorrise e lo prese per le spalle.

"Intendi dire Setmin?" gli disse in una lingua che nessuno degli altri tre comprendesse "Significa Uomo dalle Mani Calde. Capisco il tuo smarrimento, ma hai fiducia in me? Ti prometto che alla prossima luna capirai tutto. Fino ad allora saprai avere ancora un poco di pazienza?". Accettò e si salutarono da buoni amici, prima di tornare dagli altri.

La brigata partì all'alba e viaggiarono insieme fin nei pressi del villaggio di Kimani, poi Neko, Fredrik e Thorball proseguirono verso Sud, con la promessa che si sarebbero rivisti da lì a una luna. Un Sednor li guidava al sicuro e separarsi ancora non fu facile per nessuno dei quattro.

Ai suoi amici non aveva ancora detto che aveva cambiato nome. Non se l'era sentita. Glielo avrebbe detto in un'altra occasione, perché era sicuro che ce ne sarebbero state ancora. Erano troppe le cose da dire e da ascoltare. Nelle ore che trascorsero insieme non ne ebbe il coraggio, più che altro assaporò la loro compagnia e ascoltò.

Dopo aver passato una notte insonne ognuno a raccontarsi gioie e dolori, con responsabilità che pochi anni prima nemmeno avrebbero sognato di dover affrontare, ora che erano nuovamente lontani, gli mancavano.

Uguali eppure diversi, appoggiando a terra i pugnali, le lame sovrapposte in segno di fratellanza, come usava fare tra Compagni di Disgelo, parlarono. Non di giochi, lazzi e scherzi da fare, ma di figli, famiglie e mogli.

Thorball raccontò che aveva lasciato volentieri le due mogli gemelle, Ingrid e Thulid, e i loro sei figli, alle cure della famiglia delle Pigne per andare alla ricerca di Fredrik che era fuggito con la famiglia per portargli le decisioni degli Anziani. Disse quale trauma fosse stato apprendere che il suo amico era scappato dal villaggio. Lo strappo, il vuoto, il senso di abbandono che sentì. La solitudine mai provata, l'angoscia feroce che mordeva l'animo lasciandolo sgomento. Smise di mangiare, di bere, di pensare per giorni interi. Tanto si sentì smarrito e solo, che quando gli chiesero di andarlo a cercare, accettò subito. Gli anziani del Villaggio sembrarono dispiaciuti a chiedergli una cosa simile. Era un'infamia quella che gli chiedevano di fare. Pensavano fosse un torto immenso verso di lui e la Famiglia delle Pigne tutta, ma loro non capivano la sua paura segreta. Nessuno la capiva, nemmeno Ingrid e Thulid.

Erano solo in tre. Prima era partito Aldaberon, perso forse per sempre, poi Fredrik e ora lui si sentiva solo e abbandonato senza Compagni del Disgelo. Senza Aldaberon rimase Fredrik, ma ora anche senza di lui...

Il suo amico d'infanzia gli mancava oltre l'immaginabile e preferiva viaggiare solo nella foresta, piuttosto che restare ancora nel villaggio.

Voleva bene alle mogli e ai figli che gli avevano dato, ma mai avrebbe creduto che potessero diventare così asfissianti ed esigenti nei suoi confronti. Specialmente in quei momenti di nero sconforto e tormento per il suo animo. Erano due e lui era solo.

"Avrebbero finito per consumarmi prima degli inverni del Nord" disse facendo ridere fino alle lacrime gli altri due.

Nonostante fosse sempre stato superstizioso e fosse impaurito dalla solitudine, incapace di dormire una notte, dopo l'incendio della Casa delle Farfalle e la fuga di Fredrik, andò disperato sulle macerie ancora fumanti della Casa delle Farfalle alla ricerca di un po' di sollievo e invece trovò la lastra di Alfons. Pensò subito ad Aldaberon, il suo amico partito verso il nulla. Quasi si scottò nel prenderla, la nascose fino alla partenza e poi la portò con sé. La prese senza nemmeno saperne esattamente il perché. Lo fece e basta, forse nella speranza remota di potergliela un giorno restituire. Era stata del suo amico, era un legame forte anche se lontano. In quei momenti disperati, comprese appieno cosa fosse il Legame del Disgelo e quanta forza emanasse da esso. Allora fu con gioia malcelata che si strappò dalle lacrime di mogli e figli e dagli addii di parenti e amici, che partì solo, promettendo di tornare presto.

Quando Thorball terminò, poi toccò a Fredrik raccontare.

Fredrik che, dopo aver saputo da Vandea quello che aveva sempre sospettato, di Aldaberon, di Thrand e Tholle, dal dolore quasi impazzì e poi, compreso il rischio che correva la sua Casa, fuggì nella notte con le armi, con la famiglia e con la paura del futuro. Portò con sé una moglie che non aveva mai avuto accanto e dei figli che amava anche se non erano suoi. Non avrebbe accettato di perdere nemmeno uno di loro. Mai, per nessun motivo. Non per tradizioni che non poteva più accettare, ma per amore.

Si sentiva un fallito, Fredrik, un vigliacco per essere fuggito in quel modo, per aver strappato la sua famiglia alla sicurezza del villaggio; per non aver saputo affrontare il suo destino fino in fondo.

Ma Wal invidiò il coraggio che aveva avuto. Lui, l'ultimo che avrebbe pensato potesse ribellarsi, sempre ligio agli avi e alle tradizioni. Quando glielo disse, quasi Fredrik si mise a piangere dalla gratitudine. Si asciugò sulla manica la perenne goccia che gli scendeva dal nasone e, incapace di parlare, utilizzò l'alfabeto muto che usavano da bambini.

Si passò un dito dalla spalla al petto, fino al cuore, poi aprì la mano verso Wal e la strinse ancora portandosela alla fronte.

"Come Compagno di Disgelo sei nel mio cuore, ti lascio andare anche se ti porto con me, nei miei pensieri, per sempre".

Questo era il significato di quei gesti.

Profondamente commosso Wal lo ripeté uguale e altrettanto fece Thorball, rinnovandosi a vicenda ancora una volta il giuramento più sacro che un uomo potesse fare nei confronti di un altro. Nessuno dei tre si accorse che Ranuncolo e Neko li stavano guardando, in quel momento.

Poi Fredrik riprese a raccontare, lui, che un mattino, nascondendosi nel folto della foresta con tutta la sua famiglia perché aveva sentito qualcuno avvicinarsi, vide spuntare Thorball, vestito come se dovesse andare alla guerra, che lo cercava per dirgli delle decisioni del Consiglio. Quando lo vide non seppe se mettersi a ridere oppure preoccuparsi più di quello che già era preoccupato. Alla fine l'amicizia ebbe il sopravvento e si mostrò.

Quando seppe cosa doveva fare per essere perdonato dal villaggio, subito venne preso dal disgusto verso la sua gente. Quando guardò i suoi figli e pensò a quello che volevano fargli, lacerò ogni legame con il passato. Soffrì nel farlo, in quel momento comprese anche il tormento della moglie quando non se la sentì di scegliere Aldaberon e la perdonò. Anche lei, comprese, che forse era vittima di tradizioni troppo severe, seppur necessarie.

Parlò a lungo con Vandea, le disse tutto e insieme decisero cosa fare.

"Di tornare indietro non se ne parla, nessuno dei nostri figli è barattabile!" disse con forza Fredrik e per la prima volta dacché si erano uniti in matrimonio, sentì della passione nel bacio che Vandea gli diede per quelle parole.

Avevano tutti e due paura. Del buio, della notte, dell'abbandono delle famiglie, del presente e del futuro, della fame, del freddo, dell'inverno, ma la scelta che dovevano compiere era inaccettabile. La vita era sacra, i figli non si barattavano per la loro sicurezza. Anche di Aldaberon, parlarono.

"Ma mai, nemmeno una volta, per ucciderti" giurò Fredrik a Wal.

L'avrebbero cercato, sì. Assieme avrebbero tentato di riunirsi a lui andando a Sud e poi... Chissà, forse avrebbero proseguito insieme. Per il momento questa era l'unica certezza che avevano. Partire, allontanarsi, andarsene, fuggire. Solo Thorball poteva scegliere, loro no.

Thorball era l'unico che avrebbe potuto tornare sui suoi passi, eppure la libertà di quei giorni di solitudine nella foresta avevano lasciato il segno anche su di lui e voleva assaggiarne ancora un poco, prima di tornare dalle due mogliettine. Ora che aveva ritrovato Fredrik, non voleva lasciarlo ancora. Decise di unirsi a loro per un tratto di strada. Invero solo un poco, un giorno, due al massimo, pronto a tornare indietro non appena si fosse sentito troppo stanco per proseguire. Strinsero il patto e partirono, una strana compagnia di Vareghi: due guerrieri, cinque bambini e una donna. Poco cibo, tanta paura e tanta strada davanti a sé. Verso Sud.

Quando sentì parlare di Vandea, Wal Provò un balzo al cuore, un pugno nello stomaco e un poco di rabbia. Per amore suo Fredrik era riuscito a strappare con le tradizioni della loro gente.

Pensò anche con amarezza che se l'aveva fatto Fredrik, anche lei avrebbe potuto farlo a suo tempo, avrebbe potuto lasciare tutto, scappare via assieme a lui, lasciarsi alle spalle tradizioni e villaggio per andare altrove, invece preferì la menzogna alla verità, restare piuttosto che rischiare. Ma poi, nelle parole di perdono che sentì pronunciare dal suo amico, nella forza che aveva dimostrato quel ragazzo semplice e genuino nell'accettare come un fatto definitivo quello che era successo, intravide l'unica strada possibile per tutti loro per poter continuare a vivere. Se Fredrik era riuscito a perdonare una moglie che sapeva non essere mai stata sua, chi era lui, che allora non aveva nulla da offrire a nessuno, per non perdonare a sua volta? Capirlo lo fece stare meglio.

Infine Fredrik e Thorball raccontarono assieme quello che era successo dopo quei momenti.

Dopo qualche giorno di cammino verso Sud, la strana compagnia venne intercettata da Neko. Senza saperlo erano passati vicino alla sua dimora, nella foresta. Lo riconobbero subito, così come lui riconobbe subito loro.

All'inizio fu stupito di trovarli così lontani dal villaggio, li portò a casa sua, li nutrì e li fece riposare. Appena poté si fece raccontare tutto filo e per segno, perché l'aver visto la donna e i bambini nella foresta gli aveva fatto temere il peggio. Quando poi finalmente capì la gravità di quello che era successo a quei giovani, decise di partire anche lui. Ospitò Vandea e i bambini nella sua casa. Presentò loro sua moglie, Pino Argentato. Lei si sarebbe presa cura della famiglia di Fredrik fino al suo ritorno.

Wal sorrise quando sentì i suoi due amici parlare della moglie di Neko. Una donna, a loro dire, di rara bellezza, simile a sua madre Lilith. Capì subito che si doveva trattare di una Yaonai.

Figlio di una Yaonai, Neko ne aveva sposata un'altra, pensò ammirato. Non male, per una vita sola. Come lui, in fondo e sentì quanto fossero simili i loro destini. Quando poi incrociò lo sguardo con l'anziano maestro che solo apparentemente ascoltava distratto, dal sorriso malizioso che gli fece capì che ancora una volta si erano intesi senza parole.

Thorball, in quei giorni, visse ancora momenti tremendi. Quando vide la piega che stavano prendendo le cose, quando capì a fondo le intenzioni degli altri, rimase sgomento perché ancora una volta non seppe decidersi.

Voleva tornare indietro e voleva restare con Fredrik; avesse potuto avrebbe fatto entrambe le cose, ma non poteva. Doveva scegliere tra la famiglia e il legame del Disgelo e non sapeva come fare. Si sentiva diviso a metà.

Alla fine prevalse il senso del dovere. La famiglia, il villaggio. Profondamente addolorato, affidò la lastra di Alfons a Neko chiedendogli di consegnarla se mai avessero incontrato un giorno Aldaberon.

"È sua, portagliela, ti prego" gli disse triste.

L'anziano Varego accettò di buon grado di portare la piastra, anzi, lo considerò un onore. Prese il bastone da viaggio dietro la porta di casa, si mise in spalla lo zaino vecchio e logoro e si mise in cammino insieme a Fredrik.

Quando Thorball vide i due uomini partire per il Sud, gli vennero le lacrime agli occhi. Li osservò sparire nella foresta rassegnato.

Ma non passò nemmeno mezza giornata prima che i due viandanti lo rivedessero ancora. Li raggiunse sferragliante di metallo, sudato e trafelato per la corsa nella foresta. Temeva di non trovarli più, di aver sbagliato strada, di averli persi per sempre.

Li avrebbe accompagnati solo per un piccolo tratto, disse. Non serviva nemmeno che Neko gli restituisse la piastra, tanto lui sarebbe tornato indietro presto.

Era convinto mentre lo diceva, aveva pensato a lungo prima di parlare.

"Appena sarò stanco, prenderò la mia roba e vi saluterò".

Così disse e i due Vareghi si trovarono d'accordo con lui, ma da allora erano passate più di due lune, era ancora con loro e sorprendentemente non si era lamentato nemmeno una volta durante il viaggio.

Wal conoscendo bene la sua propensione al lamento e la sua scarsa dedizione al movimento inutile, ne fu profondamente toccato quando glielo raccontarono...







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