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6c) SCRUTATI

"Ho perso il conto"  gli domandò sconsolato "quante lune ancora mi rimangono?"

"Cinque" disse rapido Ranuncolo e le elencò "Hai già passato le lune di Mandi, di Yasoda, di Hasanti e di Omondi. Ti rimangono ancora quelle di Kimani, di Rasmet, di Noah, di Sankalè e per finire quella di Sitati. Dopodiché il tuo dovere di Padre di Tutti sarà terminato"

Wal contò rapidamente.

"Sono nove lune. Flot mi disse dieci. A proposito, come sta... Il suo braccio è guarito?"

"Non del tutto, ma ha fatto notevoli miglioramenti. Radice lo ha curato attentamente, mi dicono. Nessuno  pare che si sia accorto di nulla"

"Bene" fece Wal soddisfatto. Nonostante tutto voleva ancora bene a Flot, perché con lui era stato buono. Per un attimo gli parve che la treccia di capelli stretta attorno al braccio, si muovesse per ricordargli della sua esistenza. Gli fece piacere.

Anche se sapeva che lo aveva ingannato e non provava più quella venerazione che sentiva all'inizio, comunque non poteva impedirsi di sentire che esisteva un legame tra loro due. Negarlo sarebbe stato ipocrita.

Ma, sopratutto, gli fece piacere sentire parlare di Radice. Si accorse che il suo taciturno amico gli mancava molto più di Flot.

"Dieci compresa la Luna Perduta, mio signore, dopo Kimani " continuò Ranuncolo, distraendolo dai ricordi.

Stava per domandare cosa volesse dire, quando Neko intervenne a fermarlo.

"Sono ancora troppe le cose che non sai, Ald... , Wal " si corresse veloce "Se mi è consentito un parere, faresti bene a darglielo, quel libro. Almeno fino alla Luna Perduta, dopo Kimani "

Wal rimase pensieroso. Non si aspettava di vedere Neko schierato dalla parte di Ranuncolo. Quel libro era prezioso, forse conteneva la risposta a tutti i suoi dubbi. Eppure il maestro sembrava sicuro di quello che diceva.

"Quanto manca per il prossimo villaggio... Kimani, hai detto?" domandò ancora senza allegria a Ranuncolo.

"Domani. Dovremo essere a Kimani domani, prima di sera" rispose il Sednor.

"Ancora una notte, quindi. Niente più droghe, però!" gli fece il ragazzo puntandogli deciso un dito sotto il naso. Non voleva più sentirsi come un vitello portato al mercato.

Ranuncolo guardò Neko.

"Non sarà facile, senza un piccolo aiuto" disse questi e Ranuncolo annuì.

"Va bene, ma solo se te lo chiedo io, d'accordo?" ribatté Wal, agitandogli il dito a un centimetro dal naso. Ranuncolo non si mosse, eppure dai suoi occhi capì che aveva sorriso. Aveva accettato. Nonostante questo, Wal non si sentì meglio.

Non sapeva nemmeno lui perché volesse concedere ancora fiducia al Sednor.

Stava diventando buio e voleva andarsene da quella radura in fretta. Le ombre che si allungavano tra gli alberi gli facevano venire i brividi e da qualche tempo i piedi gli prudevano. Era agitato. Non molto, però abbastanza da voler rimandare a dopo altre discussioni. Prima voleva trovarsi al coperto, con un bel fuoco acceso tra sé e il buio e del buon cibo da dividere con i suoi amici.

"Ancora una cosa, aspetta!" fece vedendo che il Sednor già allungava la mano per prendergli il rotolo "Non mi fido più delle tue droghe, Ranuncolo. Maestro... " disse rivolto verso Neko " Non capisco perché tu sia d'accordo con lui, però di te mi fido. Voglio che mi controlli e se vedrai che diventerò incapace di ragionare o comprendere, dovrai farlo smettere immediatamente di darmi delle droghe. Intesi?"

"Farò tutto quello che mi sarà possibile, te lo prometto" gli rispose serio il vecchio. Parlò in Tumbà, in modo che anche l'altro potesse capire "Però all'interno dei villaggi Ratnor io non posso entrare, non dimenticartelo".

Era vero, non ci aveva pensato. Quindi all'interno del villaggio sarebbe comunque rimasto in balìa di Ranuncolo.

Un po' deluso, Wal non poté che accettare quel poco che gli poteva offrire. Controvoglia porse il libro al Sednor.

"Va bene, allora. Dopo Kimani, però, lo rivoglio. Prendilo"

Ranuncolo accennò a un lieve inchino mentre lo prendeva. Subito andò a raccogliere il pezzo di stoffa in cui lo aveva avvolto mesi prima e lo sistemò accuratamente. Quando lo rimise dentro alla sua sacca: "Grazie, mio signore. Non avrai da pentirtene" gli disse. Poi aggiunse ancora:"Anche quello, mio signore" puntando un dito verso il pugnale di Aldaberon che Wal portava a vita.

"Non ti è consentito portarlo all'interno dei villaggi. Per evitare guai, faresti meglio a consegnarlo a me".

Preso alla sprovvista, Wal coprì l'arma con una mano. Senza si sarebbe sentito nuovamente indifeso, qualcosa di meno di un Varego. Esitò, guardò il maestro.

Seppur controvoglia Neko accennò un gesto di consenso, accompagnato da un grugnito.

"Se non manterrai la parola, uomo, te la dovrai vedere con me, oltre che con lui. Ricordatelo " gli disse serio. Non era una minaccia, era più una promessa e il Sednor lo capì. Lentamente Wal sfilò l'arma e gliela consegnò. Ranuncolo la avvolse in un altro panno e la infilò nella sacca.

"Anche quella la rivoglio, è chiaro?" fece Wal irritato. O forse era solamente spaventato.

"Non temete, signori. Arriverà il momento in cui tutti saremo ansiosi di sapere ciò che è scritto su queste foglie".

"Ora muoviamoci" fece ancora Wal " Dove pensi che potremmo trovare un riparo qui vicino?" fissando le ombre degli alberi che si avvicinavano, stimò che avessero non più di mezz'ora, prima che calassero le tenebre.

"Non molto lontano di qui, mio signore, c'è un posto che la mia gente usa quando si sposta in questa zona. È sicuro, contiene del cibo e sicuramente troverò anche qualcosa per il mal di testa dei tuoi amici" aggiunse in direzione di Fredrik e Thorball.

Wal scambiò un rapido sguardo con Neko, poi accettò. Gli fece piacere che Ranuncolo pensasse anche ai suoi due amici.

"Andiamo, allora. Facci strada" gli disse. Poi rivolto verso Fredrik e Thorball, disse in Varego: " Venite, ragazzi. Tra poco si mangia"

I due annuirono soddisfatti, anche se avevano l'aria abbacchiata. Si scambiarono un'occhiata d'intesa, come per darsi coraggio l'un l'altro, poi Fredrik andò vicino a Wal e gli strinse la mano sulla spalla come usavano fare i Compagni di Disgelo tra di loro. L'altra mano era appoggiata sul pomolo del pugnale. Lo stringeva. Gli sorrideva. La stretta sulla spalla era forte.

Wal temette che volesse approfittare del momento per poter fare ritorno al villaggio con la sua famiglia. In fondo sarebbe stato facile. Per un Varego addestrato alla guerra, un gioco da ragazzi. Un colpo di pugnale diritto al cuore e tutto sarebbe finito in un momento. Aldaberon e lui non sarebbero mai esistiti, estinti come tutta la loro famiglia. La sua anima sarebbe salita nel mondo degli Antichi Padri e si sarebbe unita a quella di Aldaberon per l'eternità, sospesa nel nulla a combattere contro i Ka-Ranta di Karahì. Avrebbe rivisto Aldaberon il Timido e Aldaberon lo Sfrontato e insieme a loro avrebbe vissuto come Sanzara.

In fondo già una volta era quasi morto per un pugnale conficcato nel petto, ne era rinato e aveva avuto una seconda vita a disposizione. Questo era già molto, molto di più di quello che normalmente poteva aspettarsi un uomo dalla vita. Molto di più, pensò, di quello che aveva avuto Alfons e quindi non aveva di che lamentarsi. In fondo lui era nato Sanzara e doveva essere pronto ad affrontare il destino per quello che era, in qualunque modo e in qualunque momento. Inoltre se quello doveva essere il momento, che fosse il benvenuto. Lui l'attendeva da sempre.

Ricambiò il sorriso a Fredrik e scambiò a sua volta il saluto dei Compagni del Disgelo. Era felice di poterlo fare. Stringere la spalla del suo amico come una volta, quando temeva di non poterlo mai più fare. Contro tutto e contro tutti, contro il destino e il fato avverso che li aveva allontanati. Invece erano qui, insieme, reietti e lontani da casa. Ora, qualunque cosa fosse successa, non avrebbe potuto cancellare quel momento. Attese. La tensione lo dilaniava, eppure si costrinse ad aspettare

Fredrik parlava poco, da sempre preferiva ascoltare. Era un ragazzo semplice, di semplici idee e semplici illusioni. Non stupido, no, semplice. Abile guerriero, sincero amico, affidabile padre, non amava mai fare quello che riteneva inutile. Era un uomo, un Varego, un fabbro, un guerriero. Non usava tanto le parole, forse perché le temeva. Quando parlava, soltanto lui sapeva da quanto tempo stava pensando alle cose da dire. Era sempre stato così, fin da quando a fatica si reggevano sulle gambe.

Fu per questo che quando disse:

"Mi sei mancato, fratello" Wal non seppe trattenere le lacrime che gli colmavano gli occhi da troppo tempo e se lo strinse al petto, forte, rude, come solo i guerrieri Vareghi sapevano fare tra di loro: violenti nel darsi pugni sulla schiena, vicini come solo i Compagni del Disgelo potevano essere.

"Anche tu, mi sei mancato, fratello" gli rispose.

Vedendo che Thorball era accanto a loro, silenzioso e altrettanto emozionato, allungò una mano verso di lui e bruscamente l'attirò a sé, coinvolgendolo nell'abbraccio. Lui, il piccolo Thorball che di parole ne usava sempre tante per paura del silenzio, quella volta non disse nulla. Nessuno di loro disse più nulla. Non serviva. Avevano già detto e fatto tutto in quell'abbraccio.

Ranuncolo, colto di sorpresa, vide l'affetto che legava i tre ragazzi e ne rimase colpito.

<Forse> pensò <anche loro possono essere utili>.

Neko era rimasto in disparte, visibilmente emozionato e felice.

A un certo punto allungò il bastone e toccò piano la spalla di Wal.

"Forse sarebbe meglio andare" disse con la voce un poco rotta.

Annuendo Wal fece cenno a Ranuncolo di incamminarsi e quello lo fece, prendendo un sentiero dietro le rocce dalle quali sgorgava la sorgente. Dietro il Sednor si infilò rapido Thorball, poi Wal seguito da Fredrik, infine Neko a chiudere la fila dopo aver indossato la sacca da viaggio.

In breve i cinque uomini sparirono in silenzio dalla radura, camminando in fila indiana.

Dopo non molto, dal sentiero che Wal e Ranuncolo avevano seguito all'arrivo, spuntò una cerva. Camminava lenta, sicura e maestosa, guardava nella direzione che avevano preso gli uomini.

Ogni suo passo era immerso nel silenzio, il freddo che la circondava gelava l'erba che gli zoccoli sfioravano. Era tutta bianca e attorno al collo portava un luccicante medaglione nero che gocciolava senza fondersi. Per ogni goccia che cadeva, l'erba congelava e si spezzava all'istante.

Era bellissima, il suo manto candido risaltava nel verde della foresta. Era stata incauta ad avvicinarsi in quel modo, lo sapeva. La fretta, il desiderio di sapere, di sentire. Per poco uno di quegli uomini la vedeva e sarebbe stato difficile riuscire a nascondersi, per lei, dopo. Avrebbe dovuto ucciderli per non essere uccisa e non era quello che voleva. Non per scrupolo, per necessità.

Karahì guardò nella direzione presa dai cinque uomini, ma tra tutti loro solamente uno le interessava. Il Gopanda-Leta, quello che aveva già incontrato una volta, molte lune prima, più a Nord, nella foresta.

Allora sarebbe stato semplice fermarlo. Un salto, un tocco e l'avrebbe lasciato assiderato alla mercé degli animali della foresta. Sarebbe scomparso nel nulla come tanti prima di lui e nessuno l'avrebbe saputo. Invece non lo aveva considerato un pericolo, sembrava soltanto uno sciocco del suo popolo che voleva tentare la fortuna, attratto dalla fantastica bellezza delle Yaonai. Stolti!

Ma ora le cose erano cambiate.

Lo voleva, doveva riuscire a prenderlo e portarlo con sé al Palazzo di Ghiaccio, al sicuro oltre il Muro. La Grande Madre non avrebbe potuto rifiutare di parlarle, allora.

Anzi, l'avrebbe supplicata di concederle un incontro e lei avrebbe potuto guardarla finalmente con il disprezzo che meritava. Ma prima doveva avere nelle sue mani quel ragazzo.

I suoi Ka-Ranta ci avevano già provato due volte, ma era sempre riuscito a sfuggirgli.

Ambedue le volte era stato aiutato da chi aveva saputo prevedere i suoi attacchi. Maledetti!

Eppure lei, la Regina Karahì, lo voleva, doveva averlo, perché questo non era come i tanti Gopanda-Leta che anno dopo anno l'avevano preceduto: esseri inutili, rapidi a passare, come le foglie sugli alberi di quelle dannate donne pianta. Esseri insulsi, buoni soltanto da essere calpestati e disprezzati. Comparivano e scomparivano senza altro scopo che farsi bruciare inutilmente.

Ma questo no, era diverso. Aveva raggiunto sua sorella, Gioturna. Sapeva dove si trovava e le aveva parlato, l'aveva trattata con disprezzo, derisa e sfidata. Nessuno prima di lui era riuscito ad arrivarle tanto vicino. Lui sapeva, poteva dirle dove si trovava, rivelarle quel segreto che così tenacemente le era stato celato per tanto, troppo tempo. Però poteva anche diventare pericoloso. Se lasciato libero, aveva amici, alleati importanti dalla sua parte. Se li riuniva tutti contro Gioturna poteva anche riuscire a distruggerla. Per lei era imperativo: doveva fermarlo e per farlo era disposta a qualunque cosa, anche a mettere in gioco la sua stessa incolumità.

Per Karahì era pericoloso trasformarsi in quella forma vivente. Se qualcuno l'avesse cacciata, ferita e le avesse strappato il medaglione di ghiaccio, avrebbe potuto soffrire e forse morire, non fare più ritorno alle sue adorate terre ghiacciate. Oltre il mare, oltre il Muro di Ghiaccio, a casa. Ma per sua sorella era disposta a tutto. Ormai troppi millenni erano passati da quando si separarono con la forza.

Ancora troppo forte era il rimorso per essersi lasciata trascinare dalla sua stessa rabbia in una maledizione che le si era ritorta contro, colpendo chi più amava.

Ancora poche lune e sarebbe tornato il freddo anche nelle terre degli alberi. Allora, i suoi fedeli quanto stupidi servitori avrebbero ancora tentato di raggiungere quel ragazzo, ovunque si fosse trovato, ma al momento solamente lei poteva tenerlo d'occhio.

Nel silenzio ovattato della radura, Karahì belò piano, sputò con disprezzo un bolo di erba che stava masticando da troppo tempo e tornò a nascondersi nel folto della foresta: bellissima, silenziosa e letale, in attesa che il momento arrivasse.


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