6b) REALTA' DIVERSE
Wal lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Un mormorio di voci impastate alle sue spalle gli fece capire che Fredrik e Thorball si stavano svegliando. Erano rumorosi i suoi amici, lo erano sempre stati.
"Non dovresti esserne così sconvolto, ragazzo mio" gli disse Neko in Varego, vedendolo impietrito "Sono per metà Yaonai, come te d'altronde. Pensavo lo sapessi! Che tua madre te lo avesse detto!"
Ritrovando a fatica le parole, il ragazzo fece nella medesima lingua:
"Sapere cosa, maestro, dimmelo!"
"La nostra vita non è come quella degli altri uomini. Dalle nostre madri prendiamo una longevità che è ben superiore alla norma. Questo è il premio per un Matrimonio della Foresta. È anche la nostra maledizione".
La sorpresa fu troppa. Disse la prima cosa che gli venne in mente:
"Alfons, Alfons lo sapeva?" non sapeva perché gli fosse venuto in mente di chiederlo, però era così sconvolto, si sentiva così strano... Alfons, che quando morì non aveva nemmeno raggiunto i quaranta inverni.
"No, nessuno dei Vareghi dei villaggi ne è al corrente".
Un terrore improvviso colse Wal. Si ricordò di Flot, della sua ferita e del sangue che ne sgorgò, lento e denso. Temette di diventare come lui: un uomo con il sangue di un vegetale!!
"Vuoi dire... vuoi dire che faremo la fine dei Ratnor? Di Flot?"
Per un momento Neko parve non capire. Guardò accigliato il giovane che aveva davanti a sé. <Cosa può averlo spaventato tanto?> si domandò, poi parve capire.
Lasciò andare in terra il bastone da viaggio, sfilò il pugnale dalla cinta e, lentamente, fece scorrere il metallo affilato sull'avambraccio. Immediatamente dalla pelle uscì un filo di sangue rosso che, goccia a goccia, cadde in terra.
"Era questo che ti terrorizzava?" disse mostrandogli la ferita "Flot sbagliò a fare quello che fece. Non ne aveva bisogno, anche lui era uno di noi. Se avesse avuto pazienza lo avrebbe scoperto da solo, ma ha avuto fretta. Voleva l'immortalità lui, diventare antico non gli bastava".
Guardare quel sangue scorrere lento ebbe un potere calmante su Wal. Si sentì meglio. Sapere che un giorno non avrebbe avuto anche lui una gelatina verde nelle vene, lo rincuorò. Scoprì allora che l'aver curato il suo amico non l'aveva sconvolto tanto quanto il timore di diventare come lui.
Iniziava a non aver più molta ammirazione per Flot e per i Ratnor. Benché l'avessero salvato da morte certa, l'avevano usato per i loro fini e questo non riusciva più ad accettarlo.
Ranuncolo, anche se non capiva quello che i due Vareghi si dicevano, vedendo che il Gopanda si rilassava, si tranquillizzò a sua volta.
Ancora non credeva possibile il prodigio a cui aveva assistito quel giorno, eppure volle poterci sperare. Vedere scorrere il sangue dalle ferite di quell'uomo che sosteneva di essere il Grande Vecchio voleva dire molto per lui. Per il suo popolo, per la speranza, un giorno, di potergli regalare un futuro migliore, lontano dai pericoli di quella foresta e dai Ratnor. Per sua figlia, che sarebbe rimasta dopo di lui, se il fato così voleva.
La sua gente stava aspettando questo momento da quattro generazioni e lui avrebbe dato qualunque cosa per poter essere sicuro delle parole del vecchio Varego.
Il cuore gli diceva che era tutto vero, che il Grande Vecchio era tornato per portarli via da quei luoghi malsani e guidarli verso una terra nuova come aveva promesso, ma la ragione no, faceva fatica ad accettarlo. Non poteva lasciarsi trascinare soltanto dalle emozioni e dalla speranza che fosse tutto vero, aveva delle responsabilità anche verso tutti gli altri. Voleva avere delle prove, voleva esserne certo, prima che il suo popolo si illudesse inutilmente. E per averle, lo sapeva, aveva bisogno di tempo, altro tempo per osservare, sentire e ascoltare. Doveva passare più tempo con quel vecchio e i suoi due giovani accompagnatori.
Per quanto quei due non fossero molto promettenti, lui sì, lo era. Per quel vecchio meritava di attendere qualche giorno per vedere se era veramente chi diceva di essere. Lui voleva credergli, ma doveva sapere!
Molte cose erano a suo favore.
Conosceva le usanze del Popolo degli Esclusi e aveva nascosto le armi prima che le facesse scomparire lui. Inoltre nelle sue vene scorreva del sangue umano e non linfa gelatinosa!
<Chissà se conosce anche l'antica lingua del Popolo del Sole> si domandò Ranuncolo. Questa era una parlata che ormai pochi sapevano e meritava di essere verificata.
Decise che avrebbe aspettato ancora un po' prima di scegliere se consegnare quegli stranieri ai Ratnor. Intanto avrebbe osservato, ascoltato, appreso.
Inconsapevole dei pensieri del Sednor, nel frattempo Neko pulì e ripose nel fodero il pugnale. Colse da terra alcuni arbusti, foglie e muschi bagnati dal suo stesso sangue, li strofinò insieme nel palmo delle mani fino a farli diventare un impasto morbido e poi l'appoggiò sulla ferita del braccio.
Quasi subito l'emorragia si interruppe.
Ranuncolo rimase impressionato.
"Conosci veramente bene le proprietà delle nostre erbe, vedo, Barba" gli disse in un Tumbà arcaico che Wal fece fatica a capire. Stava mettendo alla prova Neko parlandogli nell'antica lingua del Popolo del Sole. Non erano tanto le parole a essere diverse, quanto il modo di pronunciarle. Suonava strano, antico alle orecchie, dolce e melodioso come il canto di un uccello.
Neko sorrise e annuì.
"Ancora non ti fidi del tutto, vero?" disse al Sednor nella medesima lingua "Bene, ne sono lieto, perché nemmeno io mi fido ancora del tutto di te. Prima ho bisogno di parlare con la vostra Signora. Potresti accompagnarmi da lei?"
Il Sednor fu piacevolmente sorpreso dal sentirlo rispondere senza esitazioni, però rimase all'erta.
"Con tutto il rispetto, ma se sei chi dici di essere, dovresti conoscere il cammino per arrivare fino a lei".
Neko si schernì.
"A Sud fino al fiume Sardon, poi seguire la corrente fino alla grande ansa. Certo che ci posso arrivare, sciocco" aggiunse adirandosi "Ma credi che non ricordi anche come sanno difendersi gli Esclusi? Chi credi abbia insegnato loro a farlo? Solo che non voglio correre il rischio di ferire o essere ferito". Gli dispiacque rispondere in quel modo a Ranuncolo, ma voleva affermare immediatamente la sua autorità sul Sednor. Vedendolo accennare un segno di ossequio dopo la sua sfuriata, egli capì di aver fatto la cosa giusta.
"Come desideri, allora, Barba. Naturalmente solo se il mio signore lo acconsente" disse rivolgendosi a Wal.
Ancora scioccato dalle cose che aveva appreso, il ragazzo fece fatica a capire quello che il Sednor gli chiedeva. Lo ignorò.
Tornò a rivolgersi a Neko in Varego.
"Quindi anche io posso arrivare alla tua età?" gli domandò
"Anche oltre, se il fato lo vorrà" gli rispose benevolo "Ma non sempre è un bene, ricordatelo. Pochi di noi riescono a sopravvivere ai rimorsi".
Troppo preso dall'emozione, Wal non fece caso alla nostalgia che velò gli occhi dell'anziano maestro in quel momento.
"Posso arrivare anche a duecento inverni?" proseguì. Il vecchio lo guardò dolcemente.
Annuendo, Neko rispose:
"Ho conosciuto uno di noi, tanti anni fa. Diceva di averne duecentoquarantadue di inverni, anche se... "
Un improvviso coro di esclamazioni lo bloccarono.
"Cooosaa?!" "Nooo!"
Neko, Wal e Ranuncolo si voltarono di scatto. Erano Fredrik e Thorball, seduti nella radura, ancora con la testa ciondolante per gli ultimi influssi della droga di Ranuncolo. Avevano sentito Neko e Wal e si stavano guardando le vesti.
"Hei, le mie armi!" abbaiò Fredrik in Varego.
"E le mie, allora?" grugnì Thorball strattonandosi il pugnale fissato alla cinta "Cosa sono queste panzane che state raccontando? Nessuno può vivere tanto quanto dite, lo sanno tutti!"
"Oh, oh" fece allibito Neko "Questo è un guaio, ragazzo mio" aggiunse rivolto a Wal in Tumbà "Adesso lo sanno anche loro due".
"Sapere cosa??" chiese in Tumbà Ranuncolo, che si era perso completamente in quello scambio di colpi secchi e rudi che era la lingua degli altri quattro, ma nessuno gli fece caso. Domande e risposte si susseguirono rapide e disordinate provenendo contemporaneamente da più persone.
In breve venne a crearsi una confusione tale in cui lingue Tumbà, Sostnù e Varega si mischiarono in domande e risposte incoerenti e scombinate, in cui nessuno sapeva a chi rispondeva o a quale domanda replicava. Era il caos.
Alla fine fu Wal a riportare l'ordine.
Alzò le braccia, urlando:
"BASTA!!" sia in Tumbà che in Varego e attese.
Ranuncolo fu il primo a zittirsi e lo guardò attentamente. Era stupito.
Wal teneva ancora stretto in mano il fascio di foglie del Libro di Aldaberon, tenuto alto come uno scettro a sovrastare tutti: sembrava più maturo, più sicuro di sé dopo l'incontro con Gioturna.
Forse... disse tra sé e sé il Sednor annuendo piano.
Quando anche Neko fu più calmo, Ranuncolo gli si avvicinò, rivolgendosi a lui in Tumbà, facendo attenzione che il ragazzo non lo potesse sentire.
"Ascolta, Barba. Tu e io non ci fidiamo del tutto l'uno dell'altro, però vedo che il mio giovane signore si fida di te. Ho bisogno che tu mi faccia un favore e ne faccia uno anche a lui".
Intrigato e sorpreso dalla richiesta dell'uomo, Neko si fece attento.
"Cosa mi vuoi chiedere, uomo?"
"Il libro" disse il Sednor fissando il fascio di foglie "Quel libro, il ragazzo non deve leggerlo fino a quando non arriverà al villaggio della Palude. Deve ancora passare la luna di Kimani, prima, capisci?".
"Parli del Semenzaio?"
Ranuncolo annuì.
"Il ragazzo non sa ancora tutto e potrebbe non capire".
"Tu sai cosa c'è scritto su quelle foglie?" gli domandò ancora Neko. Ranuncolo scosse la testa.
"No, è scritto nella lingua degli Antichi Padri e Flot ha proibito a tutti di tramandarla, però potrebbero esserci scritte delle cose su Gioturna".
L'anziano Varego parve stupito.
"Tu come fai a sapere dell'Immonda? I Ratnor non parlavano volentieri con i Sednor delle cose sacre del Popolo del Sole".
"I Sednor hanno imparato molte cose dai loro padroni, a loro insaputa" gli disse con fare complice e il vecchio annuì. Non ne dubitava. Il fare intrigante dell'uomo cominciava a irritarlo, però non poteva permettersi il lusso di fare a meno di lui.
"Cosa vuoi?" gli chiese adirato.
"Lascia che sia io a custodirlo fino ad allora".
Neko grugnì piano il suo disappunto.
Wal, vedendoli accanto uno all'altro a parlarsi fitto fitto, si avvicinò ad ascoltare anche lui. Iniziava a preoccuparsi seriamente della notte imminente e non voleva rimanere in quella radura. Non voleva passare un'altra notte nella foresta. Inoltre Fredrik e Thorball si agitavano e bisognava calmarli.
Neko vedendolo arrivare disse a Ranuncolo, in modo che anche il nuovo arrivato ascoltasse:
"Chiedilo a lui. Se sarà d'accordo, per me va bene".
"Chiedermi cosa?" fece Wal.
Fredrik e Thorball, intanto, vedendo gli altri tre riuniti, fecero alcuni tentativi malfermi per alzarsi: tentennarono, caddero, si sostennero a vicenda e alla fine, lenti e incerti, riuscirono a mettersi in piedi. Ambedue si tennero la testa tra le mani. Dovevano avere un tremenda emicrania. Gemettero dal dolore.
Ciondolando e grugnendo, si avvicinarono senza fretta al gruppetto. Non sembravano avere cattive intenzioni e non dimostravano rabbia. A loro non importava capire quello che gli altri si dicevano, però l'istintivo bisogno di aggregazione dei Vareghi li portava verso il gruppo, all'unione.
Arrivarono fino a Wal e gli si misero alle spalle, un passo indietro, uno sulla sinistra, l'altro sulla destra. Wal ne percepì la presenza e ne fu felice. Ranuncolo e Neko se ne accorsero senza dire nulla. Si guardarono in silenzio. Le cose andavano a posto da sole.
"Chiedermi cosa?" ripeté Wal pressato "Ranuncolo, dobbiamo muoverci, trovare un riparo per la notte e del cibo per i miei ospiti. Non ci tengo a rimanere allo scoperto".
"Certo, Gopanda-Leta. Ma con il tuo permesso, vorrei che mi consegnassi il Libro delle Foglie di tuo nonno Aldaberon"
"Nonno?" esclamò Neko, sorpreso.
Sia Wal che Ranuncolo non badarono al suo stupore.
"Cosa? Vuoi... Dopo che me lo hai già sottratto una volta? Perché dovrei, dopo quello che hai fatto!" gli disse improvvisamente adirato. Il Sednor non parve scomporsi. Aveva ritrovato la sua calma abituale.
"Capisco la tua rabbia, mio signore, ma, credimi, non l'ho sottratto, l'ho custodito per te, perché potessi leggerlo nel momento adatto. Ti ricordo che come Padre di Tutti hai dei doveri da assolvere e non sono ancora terminati".
Wal grugnì. Dopo la festa di Omondi non provava molto desiderio di riprendere il suo posto come Gopanda. Perlomeno non dopo aver trascorso le ultime settimane insieme alla Grande Madre: era come dover trattenere ancora il fiato dopo aver respirato aria pura.
Dopo essere stato assieme a lei le Ratnor avevano perso molto del loro fascino. Non voleva ricominciare, eppure sapeva che il Sednor aveva ragione a richiamarlo ai suoi doveri, se un giorno voleva andarsene via.
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