4) IL PUGNALE
Quando, a fatica, si slacciarono, lui prese la fiasca e ne bevve avidamente il liquido che conteneva. Era tiepido, molle, sapeva di stantio, però se lo sentì scendere nella gola e nello stomaco come fosse una benedizione. Per un momento si sentì rinascere, poi pensò con sgomento che potesse contenere della droga che gli avrebbe fatto nuovamente perdere la memoria, ma ormai ne aveva ingerito una quantità notevole e non poteva più farci nulla. Forse era stato troppo affrettato, forse avrebbe dovuto ragionare di più, comunque preferì non far parola dei suoi dubbi a Salice che Ride. Non aveva il coraggio di alzare lo sguardo verso di lei, per timore di leggerci l'inganno. Attese per un po' per vedere se capitava qualcosa, trepidante, ma tutto pareva andare bene. Ansimava ancora, per la stanchezza e per la paura di essersi di nuovo sbagliato. Furono attimi eterni, scanditi dal costante tremore nella roccia sotto i suoi piedi, eppure scivolarono via lenti senza che nulla venisse a turbargli la mente ed il corpo. Quando fu certo che nell'acqua non ci fosse nessuna droga, si voltò verso la donna, la prese per le spalle e la fissò a lungo. Gli occhi scuri di lei erano perplessi, eppure lo lasciò fare. La prese per mano e insieme ripercorsero a ritroso la galleria fino a quando non giunsero alla stanza dove si erano amati la prima volta che erano stati sotto il vulcano. Quando vi arrivarono vide che l'interno era pulito e luminoso. Entrarono. I letti erano uniti, le coperte ben tese. Salice che Ride gli rivolse uno sguardo malizioso. Lui la guardò serio. Scosse la testa.
"Mi devi dire molte cose, Salice che Ride. È l'ora della verità".
Lei lo fissò divertita per un momento. Credeva scherzasse. Poi, poco alla volta, si accorse che nulla in lui aveva voglia di scherzare.
Un poco imbarazzata ridivenne di colpo seria.
"Va bene, marito mio" gli disse. Ritrovò il contegno della sacerdotessa.
Wal staccò l'ascia bipenne dalla vita e gliela diede. Nel farlo la Yaonai vide che portava anche il pugnale di Flot infilato nei capelli arrotolati. Sulle prime lo guardò distratta, poi parve riconoscerlo. Si immobilizzò, per un momento rimase a fissarlo, incerta sul da farsi, infine allungò una mano per prenderlo, ma Wal fu più svelto a poggiarci sopra la sua, prima che lei potesse sfilarglielo.
"Lo conosci?" le domandò e lei di rimando:"Dove l'hai trovato?".
"Non lo sai?". Quando glielo chiese sentì un penetrante profumo di caprifoglio nell'aria stantia della galleria che subito svanì. Salice Splendente era comparsa per un istante, ne era certo.
In quel breve istante Wal captò una forte ira giungere dalla sua antenata. Non poteva sbagliarsi. Era furiosa e voleva che lui lo sapesse prima che Salice che Ride rispondesse.
"Non te lo lasceranno tenere" fece la donna, provando ancora a prenderglielo.
Wal si ritrasse:"Chi?":
"I Ratnor non permettono a nessuno di portare armi nei loro villaggi".
"Perché?"
"Temono per la loro incolumità"
Wal ebbe un gesto noncurante, quasi di fastidio. "A questo penseremo poi. Ora voglio delle risposte"
"È mio dovere levartelo" fece ancora, puntando lo sguardo sul pugnale. Wal lo strinse nel pugno "No, non voglio. Piuttosto dimmi quello che sai"
Salice Splendente accettò remissiva.
"Lascia che prima riponga questa... " gli fece "...poi farò come mi chiedi".
Lui le fece un cenno d'assenso. La vide allontanarsi solenne, con l'ascia tenuta tra le due mani come una reliquia. Ben presto la Yaonai sparì oltre la svolta della galleria.
Mentre attendeva il suo ritorno osservò attentamente la stanza. Era semplice, piccola e spoglia, senza nulla di particolare, eppure lo incuriosiva. Se esisteva, doveva aver avuto una parte in tutta questa storia. Se qualcosa vi era successo, quello che conteneva forse poteva dargli delle risposte. Specialmente il tavolo e la sedia rotta riposta sotto a esso attiravano la sua attenzione. Nello stomaco sentiva un piacevole formicolio, caldo e lento, come se Aldaberon fosse contento di saperlo lì. Eppure anche nel suo avo sentiva che c'era qualcosa di più, di indefinito e ambiguo. Non era rabbia, ne era certo. Avrebbe detto che fosse più dispiacere. Rammarico, forse.
Ambedue gli avi erano in subbuglio e ci doveva essere un forte motivo per tutto questo. Quel forte motivo doveva trovarsi lì, dentro a quella stanza.
Sentiva che doveva essere così.
Distratto dalle sue osservazioni si era dimenticato per un momento di Salice che Ride. Ma quando percepì il fruscio del vestito alle sue spalle, seppe che era arrivata. Quando si voltò, Salice che Ride era bellissima. Si sorprese nel trovarla così bella dopo solo pochi attimi di lontananza. Eppure... Forse era per quell'aria un po' imbronciata che le faceva socchiudere leggermente gli occhi, forse quelle fossette sulle guance... oppure era qualcosa d'altro, qualcosa anch'esso indefinito e ambiguo, non avrebbe saputo dire.
Ma il penetrante profumo di caprifoglio che gli saturò le narici subito dopo, gli fece capire con chi avrebbe parlato. Accennò un inchino, visto l'importanza dell'ospite.
In fondo non si stupì di incontrarla ancora.
"Nonna... Salice Splendente" si corresse " sono lieto di..."
Un cenno di lei lo fermò. Non le piacevano quei convenevoli, quando aveva poco tempo da disporre.
"Tu vuoi sapere ed è giusto" gli disse aspra "Però il tempo stringe e Salice che Ride non sa tutta la storia. Perciò ascolta e interrompi solo se necessario. Questa stanza fu fatta da tuo nonno e da me" gli disse senza incertezze "Scavammo insieme questa roccia per mesi interi in gran segreto e divenne il nostro nascondiglio..."
Nonostante l'apparente durezza del suo carattere, la vide percorrere con lo sguardo ogni anfratto della roccia che li circondava, ricordando ogni colpo di piccone dato per frantumarla. A lui tornò in mente il nascondiglio che lui e Vandea scavarono insieme nella neve; di come alla fine furono esausti per il duro lavoro, ma felici.
La ruota del tempo l'aveva ancora raggiunto e capì che nulla di quello che gli stava capitando era solo per un caso. Provò nostalgia di quei momenti. Di Vandea. Della sua casa. Dei suoi amici. Avrebbe voluto riviverli ancora.
Si perse per un attimo nei ricordi, ma la Grande Madre proseguì, interrompendo il loro corso. La cosa l'irritò.
"Prima che arrivasse il Popolo del Sole, solamente noi due ci avventuravamo così avanti nella galleria..."
Adesso fu la volta di lui a fermarla. Lei inarcò le sopracciglia sorpresa. Piegò la testa da un lato in attesa.
"Parlami di questo Popolo del Sole" le disse e lo fece con un tono così autoritario e deciso, che per un momento lei spalancò gli occhi e parve sul punto di esplodere dalla rabbia, invece si controllò e annuì. Un sorriso appena abbozzato le increspò le labbra. Sottilissime rughe le rovinarono la purezza della pelle attorno alla bocca.
"Sei come tuo nonno, vedo. Il suo sangue scorre potente nelle tue vene. Bene, questo potrebbe essere un bene. Me ne ero già accorta, ma non sapevo se fosse lui a guidarti oppure fosse cosa tua". Sollevando un poco le sopracciglia, distrattamente la donna gettò uno sguardo ai letti dietro le spalle di Wal, il quale si sentì imbarazzato. Per lei poteva anche essere soltanto un giovane Varego giunto dal lontano Nord per uno scopo ben preciso, ma per lui tra di loro esisteva una parentela difficile da dimenticare. Arrossì e si sentì a disagio.
Poi pensò che avendo sposato un Varego, anche lei lo sapeva benissimo e, forse, l'aveva fatto sentire a disagio per vendicarsi di qualcosa. In fondo era stata una Grande Madre. La più importante e potente di tutte. Probabilmente voleva solo che lui se ne ricordasse, pensò Wal.
Si sentì improvvisamente molto sciocco e fece il possibile per calmarsi. Uno scontro diretto con lei era l'ultima cosa che avrebbe desiderato, in quel momento.
Si schiarì la voce e le parlò con più gentilezza.
"Parlami del Popolo del Sole, ti prego". Lei parve soddisfatta.
"Tuo nonno e io eravamo uniti nel Matrimonio della Foresta già da alcuni anni" iniziò a dirgli, poi si interruppe e gli indicò i letti alle sue spalle. Lui sentì un nuovo rossore diffondersi sulle guance e lei se ne accorse. La tensione sul volto della Yaonai parve dileguarsi come neve al sole. Sorridendogli dolcemente, aggiunse:
"Sediamoci, Padre di Tutti. Potrebbe volerci un po' di tempo". Lui fu ancora più imbarazzato per averla fraintesa e la seguì docilmente quando lo indirizzò con una mano sulla schiena. La sentiva leggera sul tessuto, eppure anche attraverso il vestito la percepiva fredda.
Dopo che si furono accomodati, la donna proseguì.
"Ma andiamo con ordine. A suo tempo, benché avvisai la Grande Madre del pericolo che correvamo, lei non volle fare nulla. All'inizio potevo ancora raggiungere Gioturna, poi poco alla volta divenne sempre più difficile, fino a diventare impossibile. Hai visto il mostro che si sta accumulando sotto i nostri piedi. A causa sua già allora i muschi morivano per il caldo e io avevo bisogno di qualcuno che andasse a controllare Gioturna al posto mio. Ero bloccata da ogni parte. Terrorizzata dal segreto che mi portavo dentro e dalla responsabilità. Perché, io volevo, DOVEVO! salvarle. Ero disperata e mi sentivo responsabile per le mie sorelle. Cinque dei vostri secoli passarono inutilmente. Gioturna, non più controllata, sentendosi in pericolo allungò i suoi tentacoli ovunque. Bisognava fare qualcosa e presto! Dovevamo fare qualcosa. Ora so che chi mi precedette fu molto più saggia di me, ma allora non me ne resi conto. Mi sembrò solo così stanca e vecchia e... sciocca ad aspettare senza fare nulla. Mi vergogno ad ammetterlo, però desiderai la sua morte più di una volta, vedendo la sua inattività. Ma alla fine ci fu un tremendo incendio e lei morì in un modo orribile. Le Yaonai, le mie sorelle, rimasero sconvolte. Nessuna di noi si aspettava una fine così tremenda e veloce. Io stessa rimasi ferita e con poche altre della nostra famiglia mi salvai. Dopo poco divenni Grande Madre, Maestra della Luna e Guardiana al tempo stesso. Avevo tutto il potere che mi serviva per agire. Mi restava soltanto una cosa da trovare: qualcuno che potesse raggiungere Gioturna al posto mio. Ottenuto quello, avrei potuto fare quello che doveva essere fatto. Questo qualcuno giunse dal Nord al momento giusto. Tuo nonno, Aldaberon. Terminato il suo compito di Padre di Tutti, avrebbe dovuto andarsene e ritornare dalla sua gente, su al Nord. Ma io mi opposi e riuscii a convincere le mie figlie che doveva restare con noi, nonostante fosse vietato. Fu difficile, ma ci riuscii...".
Wal l'ascoltava attentamente, ma il caldo, la stanchezza e la voce melodiosa della Yaonai, lo portarono a intorpidirsi. Era a un passo dall'addormentarsi. Così chiuse gli occhi e cercò di visualizzare quello che la donna gli narrava con tanta pazienza. Lei sul momento non parve accorgersene e continuò come se nulla fosse.
"Mio marito, Aldaberon il Varego, tuo nonno, prese segretamente il mio posto come Guardiano e regolarmente venne a controllare l'Immonda. Condividemmo il terribile segreto a lungo. A quel tempo solamente lui e io sapevamo di Gioturna. Tuo nonno fu il primo uomo presso il nostro popolo dopo migliaia di anni. Per giustificare la sua presenza, lo nominai Maestro della Luna, sconvolgendo tutte le mie figlie, ma tant'è... la maggior parte l'accettarono. Era un momento difficile per il popolo delle Yaonai. Erano in atto cambiamenti che nessuno poteva fermare e molte di loro non capirono, solo che non poterono fare molto. Fu molto doloroso per me combattere contro le mie figlie, spiegare loro le mie scelte, così alle volte fuggivo da tutto e l'accompagnavo qui..." e con la mano fece un cenno a indicare la stanza "... passavamo le nostre giornate a sognare come avrebbe potuto essere il nostro futuro. Eravamo felici nonostante i tremendi pericoli che ci minacciavano. In poche stagioni il matrimonio di interesse divenne un grande amore, anche se eravamo così diversi uno dall'altra e io sapevo che lui era soltanto un uomo. Ma forse fu proprio il pericolo a tenerci uniti. Forse il sapere che tutto poteva finire in un attimo di calore e di lava superava tutte le differenze. Nacquero Flot e Salice che Ride. A quei tempi avevo più di ottocento anelli nel mio albero, mentre tuo nonno era poco più vecchio di te. Era una differenza enorme, eppure lavoravamo, vivevamo, pensavamo insieme. Pensavamo a come portare la mia gente al sicuro, oltre il grande fiume Sardon, lontano, a Sud. Credevamo che fosse la cosa migliore da fare. Terre nuove, lontane, di cui non sapevamo nulla...".
Nel suo stato di dormiveglia, Wal rivide suo nonno e sua nonna ritti sulla riva a guardare oltre al fiume e i loro sguardi carichi di speranza. Poi ricordò anche di quando salì sul vulcano in compagnia di Flot e qualcosa nelle parole della Yaonai gli fece provare disagio. Avvertì un pericolo pungente, sapeva di zolfo.
"Avremmo portato via quelle che avessero voluto seguirmi. Anche subito, se solo avessi potuto farlo. Se solo avessimo saputo per tempo come fare a distruggere quell'Immonda bestia che mi teneva legata a sé! Solo la Grande Madre ha il potere di controllarla; ma ben presto capii che il potere controlla chi deve controllare più di chi è controllato. Non potevo andarmene da queste terre senza abbandonare il controllo su Gioturna. Senza controllo quella bestia avrebbe distrutto tutto e si sarebbe riunita a sua sorella Karahì. Insieme sarebbero tornate invincibili. Un nuovo inverno senza fine avrebbe condannato queste terre al gelo eterno e io non potevo! permetterlo. Dovevo trovare il modo per distruggere Gioturna. Dovevo... e invece... Con tuo nonno pensavamo a quello notte e giorno, luna dopo luna, senza mai arrivare a nulla. Solo alla fine lui capì, ma tardi, troppo tardi. Eravamo disperati, impotenti davanti a un fato che sembrava troppo grande per noi. Passarono ancora anni in cui tutto sembrò restare immobile, in cui la normalità sembrava dare sicurezza, ma naturalmente mi sbagliavo. Anche se tutto sembrava avvenire come sempre, nulla lo era. Flot e Salice che Ride crescevano sotto i nostri occhi, la lava cresceva sotto i nostri piedi e sopratutto a crescere era la mia paura. AHAHH!! Come ero stolta a desiderare di voler cambiare tutto!".
Quell'improvviso scatto di rabbia della Grande Madre fece sobbalzare Wal: il volto della Yaonai era una maschera di dolore. Ma fu solo un attimo, ancora le palpebre divennero pesanti. Pesanti... maledettamente pesanti.
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