2b) LA FESTA DI OMONDI
Quando scese dall'albero casa e mise piede sull'erba della foresta, sentì la forza della terra attraverso i piedi e a ogni passo sentiva di poter dare amore a tutte coloro che glielo avessero chiesto. Altre volte aveva già avuto sensazioni simili, ma mai intense come in quel momento. Sentiva che qualcosa di importante doveva succedergli e si sentiva pronto per affrontarlo. Un raggio di sole filtrò tra le foglie e arrivò sul suo volto. Era caldo, potente e vigoroso. Erano vicini al culmine dell'anno, quando tutto pareva possibile e ogni desiderio poteva essere esaudito. Il Sole suo padre era quasi al massimo del suo splendore per quel viaggio intrapreso tre lune prima con la grande Madre. Con quel raggio lo chiamava alla vita con la sua luce inesauribile. Anche lui diceva di portare a tutti il suo calore e il suo potere rigenerante.
Wal camminava nella foresta cullato dai raggi del sole che filtravano attraverso lo spesso fogliame e sentiva che la terra e il sole si univano dentro di lui, sommando le immense forze sotto forma umana. Era una sensazione incredibile. Potentissima, esuberante, inestinguibile.
A quell'ora del giorno c'erano poche Ratnor in giro, eppure di quelle poche volle sapere immediatamente il nome. Nessuna glielo negò.
Se non avesse distribuito amore alla svelta sarebbe esploso. Sentiva di avere l'energia necessaria per soddisfare l'intero villaggio in una notte sola. La Terra, la foresta e il Sole l'avrebbero sostenuto all'infinito e lui avrebbe distribuito potenza a tutte coloro che l'avessero desiderato. A tutte, a tutte coloro che avessero voluto essere benedette dal loro Dio, lui non si sarebbe sottratto. Non provava fame, sete o stanchezza per il viaggio nella foresta. Tornò nella sua stanza e si rase, si lavò e profumò. Poi attese, fremente.
Quella notte non dormì per nulla, talmente era carico di energia. Non dormì nemmeno per il giorno e la notte successiva. Non si concesse riposo nemmeno per i due giorni e le due notti che seguirono ancora. Perse il conto delle Ratnor che passarono nel suo letto e mai come in quelle ore le confuse una all'altra tanto le vedeva uguali: tutte ugualmente bellissime, visi cesellati da maestri su corpi scolpiti con perizia sopraffina, con lunghissimi capelli biondi che lasciavano scendere lungo i loro corpi quando si spogliavano per ricevere l'omaggio del Dio. E quando lo accoglievano dentro di sé, immancabilmente lo ringraziavano per il prezioso dono che gli aveva fatto. Nessuna di loro rimase delusa.
Quando se ne andavano, tra una e l'altra Ranuncolo gli portava da bere un boccale di birra e tutta la fatica e la spossatezza svanivano per incanto, per riempirlo di nuovo vigore da distribuire ancora. Non si nutrì che di birra per tre giorni interi. Non toccò cibo e non bevve altro che la birra che portava Ranuncolo. Non uscì dalla sua stanza per tutto quel tempo e non pensò ad altro che a distribuire amore, l'amore del Dio suo padre e la forza della Dea sua madre alle fedeli. Lui stesso era un Dio nel suo santuario e non poteva sottrarsi alla processione di coloro le quali chiedevano la sua intercessione con chi li sovrastava tutti.
Alla fine del terzo giorno la processione parve rallentare, poi con il calar del sole cessò del tutto. Seduto nel letto in attesa della prossima Ratnor, Wal vide entrare Ranuncolo nella stanza, solo, portando un vassoio tra le mani. Quando volle saperne il motivo, questi gli disse che aveva esaudito i desideri di suo padre il Sole e che la Festa di Omondi, la stagione felice, era terminata.
"Hai superato la prova, mio signore" gli disse il Sednor, con un sorriso che gli parve sincero. La cosa lo sorprese. Alla fine si ricordò di essere nudo. Si coprì con una coperta leggera per un improvviso pudore.
Ranuncolo si avvicinò e gli posò il vassoio sulle gambe. Era colmo di cibo cotto, caldo e fragrante. Verdure, carne arrostita e pane ancora caldo. Un delizioso profumo si spandeva dal vassoio fino a lui e non si trattenne oltre. La fame che sembrava scomparsa nei giorni passati tornò improvvisa.
Si era quasi dimenticato che il cibo potesse avere un così buon sapore.
Una volta sazio disse al Sednor che avrebbe riposato per qualche minuto e si stese. La droga assunta incessantemente per tre giorni cessò lentamente il suo influsso e la stanchezza accumulata fu tale da farlo ben presto assopire. Anche il suo fisico, per quanto giovane e forte, alla fine crollò.
Si risvegliò tre giorni dopo e non fu un bel risveglio.
Si sentì completamente indolenzito. Ogni arto era dolorante, in più provò un fastidioso bruciore all'inguine, quasi avesse ricevuto un calcio.
Non si era ripreso ancora completamente. La testa gli doleva e sentiva il desiderio di dormire ancora. Vagava in un mondo ovattato, in cui l'unica sensazione preponderante era il desiderio di risvegliarsi, anche se ogni volta che ci provava gli effetti della droga lo riportavano in uno stato di semi incoscienza, dove tutto era indifferenza.
Ricordava vagamente i volti di tutte le Ratnor che erano venute a cercarlo e ripensò con un brivido a tutto quello che aveva fatto nei giorni trascorsi nella Festa di Omondi. Nei rari momenti in cui la sua coscienza stava quasi per risvegliarsi, la mente le passava in rassegna una alla volta evidenziando piccole differenze tra una e l'altra che a lui sul momento erano sfuggite, sommandole poi assieme, sovrapponendole una sull'altra come tante immagini che alla fine ne diedero una sola. Un volto bellissimo di donna. Sapeva di aver già visto quel volto, ma nel sonno la domanda restò sospesa, svanendo nella stanchezza.
Quella volta, però, benché ancora confuso, il suo risveglio sembrò più persistente delle altre volte e l'immagine di quel volto gli rimase stampato nella mente. A occhi aperti lo vide davanti a sé, impresso nella parete della stanza quasi vi fosse scolpito sopra, inciso nel legno con maestria.
Era quello di una bellissima donna triste, nel massimo splendore delle sue fattezze, che, come un fiore, un attimo prima di essere troppo matura, dava il meglio della sua meraviglia al mondo. Non avrebbe mai più potuto essere più bella di così. Ed era questo, pensava lui, a renderla triste.
Ma qualcosa venne a interromperlo.
Un leggerissimo fruscio alle sue spalle lo allontanò un momento dal suo sogno a occhi aperti. Un delizioso profumo di linfa fresca lo avvisò che non era solo, in quella stanza. Un sogno svanì dalla sua mente e un altro giunse ai suoi occhi.
Non ebbe bisogno di altro per sapere chi fosse arrivato.
Si voltò lentamente e, seduta in fondo al suo letto, vide che c'era la Grande Madre. Lo fissava serena, con un leggero sorriso triste che non faceva altro che esaltare la sua bellezza matura. Wal capì immediatamente che il volto che aveva sognato poco prima immaginandolo a occhi aperti, era il suo.
"Salice che Ride... " le disse ricambiandole il sorriso, poi fu assalito da un timore improvviso. Per un attimo si rese conto che aveva già vissuto una scena simile mesi prima: si rivide immobile nel letto e la Grande Madre seduta a fissarlo benevola. Ne ebbe paura, temette da avere sognato per tutto quel tempo. Temette di essere ancora steso nel letto, malato. Si mise a sedere nel letto di scatto, venendosi a trovare a poca distanza dal volto di lei.
Come era bella, si ritrovò a pensare, dimenticando all'istante le sue paure.
Eppure guardandola da vicino vide che delle leggere increspature le muovevano i bordi degli occhi. Non erano ancora rughe, soltanto lievi morbidi avvallamenti, ma la pelle non aveva più la rosea freschezza che ricordava dall'ultima volta che si erano incontrati.
Quando era stato?
Prima di Omondi, prima di Hasanti, prima di Yasoda. Prima ancora di Mandi, nel vulcano al Centro del Mondo. Poco più di tre lune erano passate da allora, poco più che un battito d'ali per la vita di una Yaonai, eppure Wal si trovò sorpreso nel vederla invecchiata. Le passò delicatamente una mano sul volto, dal bordo delle sopracciglia fino allo zigomo. Si domandò se anche lui fosse cambiato così tanto in quei mesi. La donna rimase immobile, lo lasciò fare totalmente assorbita da quel tocco gentile.
Mentre lo faceva, gli occhi di lei lo scrutavano incuriositi, quanto i suoi scrutavano attenti il viso di lei.
"Grande Madre... " le fece ancora, colto da un improvviso moto di deferenza e di imbarazzo quando se ne accorse. Si era finalmente svegliato del tutto. Sapeva dove si trovava e con chi era. Si rendeva conto di essere nel letto, nudo, con nient'altro che una fine coperta a coprirlo. Passandosi la mano sul volto, si sentì ispido. Le guance erano irte della barba di giorni e giorni e i capelli gli ricadevano in una lunga treccia ormai mezzo disfatta. Il timore di essere ancora confinato in quel letto per la malattia che l'aveva bloccato per lunghi mesi era passata, ma al tempo stesso si sentiva a disagio. Voleva scendere, radersi, lavarsi, vestirsi.
"Come sono contento di rivederti, mia signora" aggiunse confidenziale, sperando fosse possibile ritrovare quella complicità che avevano condiviso in una notte di tre lune prima. Le prese una mano nella sua e la strinse delicatamente. Era fredda e morbida, piccola in confronto alla sua. Lei accettò. Non la tolse.
"Salute a te, mio signore e marito" gli disse soave "Ranuncolo mi ha detto che hai superato brillantemente la Festa di Omondi".
Improvvisamente, rendendosi conto di quello che significava, arrossì:
"Spero che la cosa non ti dispiaccia" le disse e lei scosse la testa. La lunga coda di capelli le ondeggiò graziosamente sulla spalla. Lui si rese conto di desiderarla.
"Non temere, hai fatto solo il tuo dovere di Padre di Tutti. Pare che nessuna Ratnor sia rimasta delusa, fino ad ora. Ti faccio i miei complimenti".
Colto da un improvviso ardore, Wal abbassò lo sguardo. Si ritrovò a fissare le loro mani allacciate. Lei lo stava accarezzando.
"Veramente una c'è stata" disse tornando a fissare il volto della donna. Lei gli si era fatta più vicina, approssimandosi lenta come può fare una pianta al sole. Occhi negli occhi.
"Ho saputo. Marsal, vero? Non temere, avrebbe trovato comunque qualcosa di cui lamentarsi. Pare goda a mettere in difficoltà i Gopanda-Leta".
Lui sentì l'alito di lei sul volto. Sapeva di menta fresca, sfregata sulle dita. Il desiderio verso di lei ebbe un'improvviso sussulto sotto la fine coperta che gli ricopriva l'inguine. Era così bella, profumata, desiderabile. Si chiese se anche lui avesse il medesimo aspetto gradevole. Senza capire come, se la trovò a pochi centimetri dal volto. I nasi quasi si sfioravano e lei iniziò a sfregare delicatamente il suo su quello di Wal. La sua bocca era socchiusa, quella di lei anche. Il sapore di menta che saliva dalla sua gola lo attirava a sé, spingendolo ad andarle ancora più vicino, fino a quando le loro labbra si toccarono. Un bacio, leggero e fugace. Un altro, un altro ancora. Leggeri e casti.
"Grande Madre, mia signora... " le disse tra uno sfioramento e l'altro.
"Mio signore e padrone... " rispose lei e slacciò lentamente la sua mano da quella di lui, facendola scivolare sulla coperta. Quando arrivò all'erezione del ragazzo la palpò attraverso il tessuto, stringendola nel pugno e massaggiandola piano. Lui non seppe trattenere un fremito. Non sentì più la potenza del sole e della natura scorrergli imperiose nelle vene come quando arrivò in quel villaggio, aveva il pieno possesso delle sue facoltà e quello che provava ora era desiderio puro. Era suo, di nessun altro. Non c'era più la droga a guidarlo, ora. Dopo lune intere passate come un sogno, ricominciava a sentirsi vivo. Lentamente, sotto la mano sapiente della donna, riprendeva il pieno controllo del suo corpo e della sua mente. I ricordi, non più frenati da alcunché, a loro volta ripresero a fluire liberi.
Aldaberon seguitava a tacere, l'Infame era scomparso. Flot non si era più fatto vedere da quell'ultimo, disastroso incontro e sembrava che fosse scomparso dalla sua vita. Sotto l'influenza della birra di Ranuncolo solo raramente si era ricordato di lui in quei mesi, però non sentiva più di essergli in debito, ora. Forse il suo amico era guarito dalla ferita del braccio o forse no, comunque lui aveva fatto tutto quello che aveva potuto per aiutarlo. Se di una vita gli era stato debitore, una vita gli aveva ripagato.
Non aveva scelto lui di diventare Walpurgis dei Mandi e nemmeno di sposare quella meravigliosa donna che un tempo fu anche la sua.
Altri avevano scelto per lui. Altri avevano segnato il suo cammino, quando era steso immobile in un letto. Ora invece camminava con le sue gambe.
Il desiderio che sentiva verso quel corpo di donna lo attirava incredibilmente a liberarsi anche delle ultime briciole di remore nei confronti del suo passato marito. Al contrario delle Ratnor, con le quali aveva atteggiamenti meccanici; alle quali dava sesso senza emozioni, i delicati contatti con la pelle fredda di Salice che Ride gli trasmettevano sensazioni che gli piacevano, che lo portavano a ricambiarle con la medesima delicatezza. Lentamente sollevò una mano e gliela posò su di un seno. Lo sentì pieno e sodo sotto le sue dita, più gonfio di come se lo ricordava. La schiena di lei si inarcò per il piacere e inspirò a fondo. Attraverso il tessuto di foglie poté sentirne il capezzolo inturgidito. Scostò le foglie che lo ricoprivano e lo strinse piano tra due dita. Lei ansimò, stringendo con maggiore forza la mano che ancora teneva la coperta. Lui sentì aumentare la stretta. Gli procurava dolore, ma non le disse nulla. Non voleva che smettesse. Le stropicciò piano il capezzolo con le dita, lei ansimò.
Colto da un improvviso timore, Wal si voltò verso l'ingresso della stanza. Da un momento all'altro si aspettava che comparisse Ranuncolo a portargli la birra alle erbe, ma contro ogni sua previsione il Sednor non comparve.
La Grande Madre, intuendo i suoi pensieri gli voltò il viso con una mano.
"Ranuncolo non verrà. L'ho avvertito del mio arrivo" gli disse sottovoce, sussurrandoglielo all'orecchio benché fossero soli.
I loro volti erano guancia a guancia, quello di lui rasposo e ispido, quello di lei morbido e liscio.
"Mia signora, non vorrei graffiarti".
"Non temere, non sono così fragile".
Con il cervello in ebollizione per la marea di emozioni che lo stavano assalendo, in un angolo remoto della sua memoria si ricordò del loro ultimo incontro nel vulcano. Si ricordò di come il suo avo gli avesse chiesto di farsi da parte per potersi incontrare con la sua amata. Gli sorse un dubbio.
"Chi sei, mia signora?" le domandò, mentre le accarezzava un fianco, salendo piano lungo la schiena.
"Sono tua moglie".
"E Flot?" le fece ancora, in un ultimo sussulto di rimorso.
"È lontano" fu la risposta di lei, dopodiché gli tappò la bocca con la sua in un bacio appassionato. Lentamente lui si sentì spingere indietro dal peso di lei. Se la ritrovò stesa sopra, con soltanto la coperta a dividerli. La desiderava quanto non aveva mai desiderato un'altra donna. Forse solo con Vandea aveva provato sensazioni simili, ma Vandea era lontana, troppo lontana da lui per essere stretta dalle sue braccia.
La passò le mani lungo le natiche, cercando di sollevarle il vestito di foglie. Lei si mosse perché potesse farlo risalire fino ai fianchi, mettendo in mostra i glutei e il solco che li separava. Lui li accarezzò lento, poi ne prese uno per mano e li allargò, tirando piano, facendola gemere di piacere. Lei prese a muovere il bacino avanti e indietro sulla sua erezione, scivolando sulla coperta ruvida. Se non fosse stato per quel sottile strato di tessuto che ancora li separava, lui le sarebbe scivolato dentro senza fatica, avrebbe iniziato a muoversi nel suo corpo seguendo la danza della fantasia. La desiderava. La voleva. Ora. Non poteva più attendere oltre. Cercò di spostare la coperta, ma il corpo di lei glielo impediva. Era incastrata. Tirò forte per strapparla. Uno strattone violento che però non ottenne il risultato desiderato. Lei smise di baciarlo e lo guardò con sguardo complice. Prese la coperta dall'altra parte dei loro corpi, allargò le gambe sopra di lui e poi sorridendogli, tirò la coperta. Intuendo il momento esatto lui fece la medesima cosa nell'altro senso e la coperta si lacerò sotto il corpo della donna. Il pene di lui scoperto, le gambe di lei aperte e la vagina pronta ad accoglierlo, furono un unico movimento fluido che si concluse in un attimo. E dopo fu il paradiso...
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