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1c) HASANTI

Anche nelle donne Sednor aveva iniziato a vedere delle differenze, sia nello distinguerle l'una dall'altra che dalle Ratnor.

Se queste ultime lo guardavano con occhiate desiderose di compiacerlo, nelle donne Sednor immancabilmente leggeva rispetto e affetto. Alle volte simpatia, raramente civetteria nei suoi confronti, ma comunque sempre con grande dignità riservata. Sapevano di non poterselo permettere, perché lui apparteneva alle loro padrone. Azzardarsi a contenderglielo poteva essere molto pericoloso per una serva Sednor.

"Le donne del mio popolo sanno cosa è meglio per loro" gli disse una volta Ranuncolo.

Quello che, solo due lune prima, gli era parso come un popolo omogeneo e ben amalgamato, ora gli appariva come una evidente stratificazione su due livelli, in cui padroni e servi erano molto ben distinti tra loro.

Erano due popoli che non volevano assomigliarsi, anche se provenivano dal medesimo ceppo comune.

Il momento saliente della divisione avveniva dopo la Scelta, perché prima tutti i giovani, ragazzi e ragazze indifferentemente, vivevano e pensavano al medesimo modo. Erano tutti Sednor e come tali si comportavano. Lavoravano tutti al servizio dei Ratnor che prima o poi avrebbero rimarcato la differenza che li divideva, invogliandoli a diventare come loro.

 A Wal questo non piaceva. Pensava che un popolo che si divide, prima o poi scompare. Così gli avevano insegnato su al Nord. Ma lui non era arrivato a quel villaggio per pensare. Non doveva perdere tempo a porsi domande inutili, non era quello che i Ratnor si aspettavano da lui. Così, quando faceva troppe domande a Ranuncolo, questi gli portava la sua birra medicata. La droga lo riportava ben presto al suo compito, facendogli dimenticare tutto il resto.

Per tutta la durata di quella luna si applicò con attenzione al proprio dovere di Gopanda-Leta. Dal giorno che arrivò, non fece altro. Molte, molte donne Ratnor furono liete di fargli conoscere il proprio nome e molte furono quelle a cui lui lo fece chiedere da Ranuncolo. Tutto sembrava andare per il meglio e lui continuava a sentirsi bene, potente come un toro infuriato che non si lasciava fermare da nulla e forte come un albero della foresta.

La birra che Ranuncolo gli portava lo rinvigoriva fin dalla prima mattina e lo sorreggeva per tutto il resto del giorno, lasciando ben poco spazio per altro.

Da quando avevano lasciato il villaggio centrale non aveva più pensato ai suoi due amici, ad Aldaberon o al suo Libro delle Foglie. Anche quello restava seppellito in qualche recesso del cervello e nemmeno si ricordava della sua esistenza, se non in alcuni rari momenti della notte in cui la coscienza si permetteva di sognare. Era totalmente immerso nel personaggio che i Ratnor volevano che fosse e tutto andava come doveva. A parte brevi momenti in cui si lasciava andare a considerazioni personali, lui stava vivendo in paradiso e si godeva in pieno la sua condizione privilegiata. Quindi tutto andava per il meglio. Lui era felice, i Ratnor erano contenti e i Sednor erano tranquilli.

Arrivò anche l'ultimo quarto di luna senza che nulla venisse a interrompere i suoi doveri di Gopanda-Leta. Ma la calma spesso precede il disastro. Improvviso e letale, tutto successe una mattina. Dopo aver passato una notte agitata insieme a una Ratnor che aveva avuto il privilegio di dormire con lui, si svegliò di soprassalto. Era da poco spuntata l'alba quando spalancò gli occhi e si ritrovò seduto nel letto, ansimante e spaventato, a passarsi le mani sul volto sudato per allontanare le immagini che l'avevano sconvolto. La Ratnor che gli era stesa al fianco si svegliò anch'essa di soprassalto e dallo spavento iniziò a urlare. Lei non capiva cosa fosse successo e lo fissava impaurita. Lui si sforzava di ricordare e nemmeno si curava di lei. Era l'ultima cosa che gli importava. Doveva prima pensare a riprendere fiato. Aveva solo sognato.

Quando riconobbe la stanza in cui si trovava capì di aver avuto soltanto un incubo. Nulla di quello che l'aveva turbato era presente: se non nella sua mente, tutto il resto era normale. Il passato era ancora tornato da lui. All'improvviso, come sempre, tormentato e violento l'aveva aggredito nel sonno. Respirò a fondo per calmarsi, sforzandosi di mettere a fuoco le immagini del sogno. Anche se lo terrorizzava, non voleva perderle di nuovo. Come era?

Tutto era iniziato quando nel sonno lui aprì gli occhi e spuntò da sotto una coperta. Era solo, disperato, chiuso in una capanna di legno grezzo. Davanti al suo giaciglio vedeva una porta. Negli spiragli tra un asse e l'altro filtrava la luce del sole e lui la fissava terrorizzato. Incapace di muoversi, vedeva una figura umana delinearsi nella luce che passava nelle fessure. Si muoveva, si avvicinava, sfiorava la porta. Aveva sentito un colpo forte sull'assito, era quello che l'aveva spinto a spuntare da sotto la coperta. Tremava, aveva una paura che non aveva mai provato. Con gli occhi sbarrati dal terrore udì la porta scricchiolare quando iniziò a ruotare sui cardini. Improvvisamente si ricordò di aver già vissuto quella scena e ricordò chi doveva spuntare da dietro quella porta: NEKO!! Il suo Maestro!

La paura divenne sollievo quando la porta si aprì ancora. Sapeva cosa doveva succedere, non c'era nulla di cui temere. Ma quando la porta si spalancò del tutto non comparve la figura conosciuta e amata. Nella luce del sole vide stagliarsi una figura sgraziata, alla quale mancava qualcosa. La luce del sole gli feriva gli occhi e faceva fatica a guardarla. Dovette pararsi il volto con una mano per attenuare il riverbero. La persona si mosse, con passo malfermo si avvicinò. Vacillava. Si trascinò all'interno, portandosi dietro odori immondi e liquidi vermigli in cui immergeva i piedi.

Una giovane donna comparve davanti a lui, con la testa mozzata sotto il braccio e il sangue che colava dal collo reciso con un taglio netto. Tutto il vestito ne era intriso, i piedi zuppi ne lasciavano impronte sull'assito. I lunghi capelli biondi pendevano dalla testa lordi di sangue e gli spenti occhi chiari lo fissavano. Il corpo della giovane stramazzò in terra e la testa rotolò ai piedi del letto di Aldaberon, schizzandogli il volto di sangue. Gli occhi spenti della donna si posarono ancora su di lui, implacabili gli chiesero senza fine:"Perché?".

Fu in quel momento che Wal si svegliò ansimante. Trattenendo a stento un urlo nel vedere la Ratnor terrorizzata accanto a sé, si guardò attorno alla ricerca del cadavere, ma non ne vide traccia. Di sangue neppure. Si rese conto di aver avuto un incubo: il suo incubo.

Era tornato. Sotto una veste diversa, ma era lui, lo sapeva. Non ancora del tutto lucido cercò a tentoni di impugnare lo spadone, ma la sua mano incontrò l'aria. Non aveva più le sue armi!

"Neko!". Urlò quel nome scendendo dal letto, senza nemmeno rendersene conto. Il suo incubo l'aveva ritrovato, infine. Ora se lo ricordava, anche se era stato diverso. Molto diverso. Mai l'aveva cercato nella Casa del Sanzara, però gli aveva riportato Neko, il suo caro vecchio amico Neko.

"Dove sei? Maestro, amico mio" si chiese. Come gli mancava, ora che l'aveva ritrovato.

L'aveva ritrovato nello spavento e ne era felice. Terrorizzato, ma felice. Ansimava ancora, fece cenno alla Ratnor di stare zitta. Non la sopportava con i suoi gridolini isterici. Avrebbe voluto che se ne andasse. In silenzio e subito, lasciandolo solo.

In quel momento arrivò di corsa Ranuncolo. Si parò davanti alla porta illuminata dai raggi del sole. Aveva il volto sconvolto dalla paura. Non capiva cosa fosse successo. Il suo sguardo angosciato si posò su Wal. Questi, ancora scosso, lo confuse con il suo vecchio amico e lo chiamò per nome.

"Neko! Neko!" chiamò speranzoso un paio di volte, prima di rendersi conto della verità. Non era lui, non era il suo maestro, era Ranuncolo, eppure qualcosa lo aveva ricondotto a Neko. Non capiva, poi incrociò i suoi occhi.

Il suo sguardo, lo sguardo del Sednor, era quello che gli aveva ricordato Neko. La stessa intensità, la stessa preoccupazione per lui. Ranuncolo non comprese, però non parve dispiaciuto per essere stato scambiato per un altro. Piuttosto sembrò preoccupato per la Ratnor quando si accorse della sua presenza terrorizzata. Si allontanò veloce e ritornò poco dopo con due boccali di birra. Uno lo porse a Wal che lo prese riluttante e lo bevve con mani tremanti, l'altro alla Ratnor che ancora rattrappita sulle lenzuola si copriva con le coperte. Con delicatezza si fece riconoscere e le porse il boccale. Le sue parole calme e rassicuranti la tranquillizzarono abbastanza da permetterle di prendere il boccale e sorseggiarne il liquido. Subito si sentì meglio. Le grida e i gemiti smisero, i lineamenti del volto si distesero. Anche Wal sembrò più padrone dei suoi gesti. La crisi passò.

"Che cosa è successo, mio signore?" gli domandò il Sednor quando gli parve che potesse parlare in modo coerente. A fatica Wal glielo disse. Rigirava nervosamente tra le mani il boccale ormai vuoto di birra. Aveva bisogno di sfogarsi, di fare qualunque cosa per calmarsi.

Mentre ascoltava il racconto del ragazzo, Ranuncolo continuò a stare accanto alla Ratnor che ormai aveva ripreso il controllo. Anche lei stava ascoltando il Gopanda-Leta che le dava le spalle, seduto sul bordo del letto. Il suo boccale era vuoto, lo ridiede a Ranuncolo che la osservò con occhio esperto. La birra medicata aveva fatto effetto anche su di lei. Ne fu lieto. Una dose leggera di droga, giusto un poco per calmarla.

In fondo era sempre una Ratnor, non doveva rendersi conto di essere stata manovrata. Gentilmente la invitò a scendere dal letto e le porse i suoi vestiti. Quando fu pronta per uscire, l'accompagnò alla porta. Wal, ancora agitato, non la degnò di uno sguardo per tutto il tempo. Seguitava a fissare il boccale che rigirava nelle mani.

Prima di uscire lei ringraziò il Padre di Tutti e Wal le fece un gesto distratto in cambio. Alzò lo sguardo un attimo dal boccale, notò che portava i capelli arrotolati in modo strano attorno alla vita. Era stato quello che aveva attirato la sua attenzione su di lei il giorno prima, il modo in cui li annodava su di un fianco, tanto per distinguersi dalle altre Ratnor. Il congedo era ultimato. Non se ne ricordava il nome, ma quella mattina non gli importava di nulla. Lei parve indignata. Rimase a bocca aperta, incapace di accettare un affronto del genere. Poteva essere un'altra Marsal, ma lui non se ne curò. Aveva ritrovato Neko, che gli importava di più di quella stupida donna.

Ranuncolo se ne accorse in tempo, pensò lui a metterci una pezza prima che fosse troppo tardi. Non poteva lasciare che quella Ratnor se ne andasse offesa.

"Il mio signore ha avuto un incubo, Notame, mia signora. Sono certo che per farsi perdonare accetterà di condividere ancora con te il suo letto" le disse. La donna si fece attenta e lo fissò perplessa, però parve calmarsi immediatamente. Probabilmente non si aspettava un risarcimento così cospicuo.

Era un raro onore giacere con il medesimo Gopanda-Leta per due volte consecutive e lei era giovane, ambiziosa, aveva voglia di arrivare in alto in fretta. Questo sarebbe stato decisivo per entrare nella gerarchia del villaggio.

In poco tempo un'occasione simile l'avrebbe posta in una condizione di assoluto privilegio e non appena si fosse saputo tra i Ratnor, sarebbero state in molte a invidiarla. Non poteva assolutamente lasciarsela sfuggire. Deglutì per l'emozione. Attese un momento prima di rispondere per darsi un contegno. Quando lo fece, volle porre ancora una condizione. Voleva vedere fino a dove poteva arrivare. Con sostenuta degnazione accettò, purché fosse stato quel pomeriggio stesso, altrimenti non se ne faceva niente.

Ranuncolo trasalì, parve titubante. Wal li guardava incredulo.

Quel mattino l'effetto della droga era stato meno veloce del solito. Forse la paura, forse la tensione dell'incubo, per un po' avevano agito da antidoto. Era intontito, ma capiva quello che veniva detto. Faticava ad accettare che stessero parlando di lui come se fosse un capo di bestiame da portare al macello. Ricordava di aver già assistito a una scena simile, molti anni prima quand'era ragazzo. Un Varego del suo villaggio cercava di risarcire un altro Varego di un villaggio vicino per un danno subìto. Un vitello ucciso forse, o una capra smarrita, non aveva importanza. Il primo Varego offrì un vitello come risarcimento e l'altro accettò. Non aveva mai pensato a cosa avesse sentito il vitello in quei momenti. Ora lo sapeva. Li sentiva mercanteggiare i suoi favori, senza che lui potesse dire se era d'accordo o meno. Avrebbe voluto dire che tra la sua gente, su al Nord, una cosa del genere era inaudita, ma la droga raggiunse definitivamente il cervello e lo ottuse, rimbalzò veloce nei suoi lombi e il vitello risarcitorio tornò a sentirsi un toro. Si mise in piedi e si avvicinò alla donna. Lasciò cadere il boccale, il rumore fece trasalire l'uomo e la donna.

"Notame!" disse con una decisione che interruppe i due che contrattavano sulla porta "Ti aspetto oggi, subito dopo il pranzo. Anzi, no. Dividi la tavola con me, mia signora" . Lo sguardo che fissò su di lei dovette essere abbastanza esplicito per la Ratnor, tanto che cessò di dare importanza al Sednor e si rivolse solo più a lui. Deglutì nuovamente. Questo voleva dire...

Lentamente le si formò nella mente la portata di quel gesto da parte del Gopanda-Leta e perse qualunque tracotanza. Le mani, le labbra le tremavano dall'emozione.

Attese ancora a rispondere per un tempo che giudicava conveniente a una Ratnor, poi accettò volentieri. Si voltò, uscì lasciando dietro di sé una scia di profumo d'ortica. Era fresco e piacevole, sapeva di appena colto, eppure Wal la vide andarsene volentieri. Non la sopportava più.

Ranuncolo era allibito.

"Mio signore... " iniziò a dire, ma si interruppe quando Wal si voltò a guardarlo. La droga l'aveva soggiogato, eppure il ragazzo stava ancora lottando per resisterle. Nei suoi occhi il Sednor vi lesse molta rabbia nei suoi confronti. Ne ebbe soggezione per un momento, poi si riprese.

"Mio signore, il Tedundui, le avete concesso un grandissimo onore" gli fece.

Wal nemmeno l'ascoltò.

"Un vitello" gli ribatté, prima di cedere completamente agli effetti della droga. Dopodiché diventò docile come sempre. La testa gli si schiarì dai pensieri negativi e si preparò a vivere un altro giorno in paradiso. Il Sednor non capì a cosa si riferisse parlando del vitello, però il Padre di Tutti era di nuovo soggiogato e lasciò perdere. Con un sospiro di sollievo si attivò per mettere in ordine la camera, preparò il necessario per la toeletta mattutina e la colazione per il suo signore.

Tutto riprese a scorrere come prima, tutto come ogni giorno, anche se in fondo in fondo sentiva che la cosa iniziava a sfuggirgli di mano.


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