Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

11a) AGGUATO

Troppo emozionato per parlare seguì il Sednor immerso nei suoi pensieri fino al pasto del mezzogiorno, quando si sedettero sulla riva di un ruscello. Si sedettero accanto uno all'altro e si scambiarono appena poche frasi; mangiarono poco e svelti, desiderosi entrambi di rimettersi presto in cammino.

Lui non sapeva quali fossero i motivi che spingessero il Sednor a essere impaziente di arrivare, ma sapeva i suoi e questo gli bastava. Era ansioso, voleva rivedere i suoi amici e Neko. Parlare assieme a loro e stare un poco con gente che capiva e che, forse, a sua volta lo capiva. Voleva finalmente qualcosa di semplice e genuino, che non fosse mascherato da ipocrisia e secondi fini.

Sopratutto sperava di incontrare sua madre. Sperava ardentemente che Salende gli avesse detto la verità. Sapeva poco di quel villaggio nella palude e l'unico che avrebbe potuto dirgli qualcosa era l'uomo che lo precedeva. Ma con lui da quasi una luna parlava appena. Inoltre sapeva che si stavano dirigendo verso il fiume e vedeva che gradualmente la foresta diventava sempre meno fitta e gli alberi erano meno alti e imponenti. Presto avrebbe visto con i suoi occhi.

Di quando in quando la lussureggiante foresta lasciava spazio a cespugli meno nobili e nell'aria percepiva un odore stantio, di sedimenti abbandonati a deteriorarsi nell'acqua. Del fiume ancora non vi era nessun cenno, eppure quell'odore pungente ritornava a farsi sentire e iniziò a infastidirgli le narici. Poco per volta gli parve familiare e lo riportò indietro nel tempo, a molti mesi prima, più su a Nord, quando nella grande radura paludosa incontrò Lilith, sua madre, travestita da Tumbà. Quando se ne rese conto ebbe un tuffo al cuore: il destino gliela aveva portata a un passo e lui non aveva saputo approfittare dell'occasione. Pensò a come l'avesse avuta a portata di mano e come l'avesse persa ancora mandandola via. Era forse questo il villaggio dove lo invitò a fermarsi?

Ma perché non fu lei a svelargli la sua identità? Perché non si fece riconoscere da lui, dopo tanti anni di lontananza? Forse si vergognava per quello che aveva fatto? Forse il rimorso di aver abbandonato il figlio e il marito le impediva di trovare il coraggio necessario per farsi riconoscere ? Temeva forse che lui l'avrebbe scacciata? Oppure non l'aveva riconosciuto? No, non riusciva a credere che potesse essere così. Per quanto gli anni e le sofferenze lo avessero cambiato, sentiva, sapeva, che non poteva essere una cosa del genere, eppure Lilith non aveva fatto nulla perché potesse riconoscerla sotto quegli indumenti che la ricoprivano dalla testa ai piedi. Quando lui l'aveva allontanata era scomparsa nella foresta e da allora non ne aveva più saputo nulla fino a quando Ranuncolo per primo non ne fece parola. Poi Salende e mai, mai come in quel momento si augurò che la Yaonai avesse detto la verità. In cuor suo voleva illudersi che il fato volesse concedergli ancora una seconda possibilità e, benché si rendesse conto di essere infantile, che tutto questo succedesse presto.

Si perse completamente in questi dolci pensieri, tanto che nemmeno si accorse che il Sednor aumentò l'andatura. Gli andò dietro fiducioso, senza pensare. Come un automa mise un passo dietro l'altro per un lungo tratto. Allungò il passo assecondandolo, visto che in fondo era proprio quello che desiderava. Voleva arrivare presto e non gli interessava sapere per quale motivo Ranuncolo avesse fretta. Poi, sollevando lo sguardo vide il cielo su di sé. Erano di nuovo allo scoperto. Man mano che uscivano dalla foresta più fitta, di quando in quando si inoltravano in zone come quelle, in cui piccoli alberi cespugliosi alti poco più di un uomo crescevano così fitti e folti da impedire il cammino e la visuale. All'inizio gli fece piacere rivedere il colore azzurro del cielo sopra di sé, lo fece sentire meno oppresso e libero di respirare. Ma ben presto rabbrividì e si sentì a disagio come se stesse camminando nudo in un campo di rovi.

Qualcosa lo innervosiva, per quanto non capisse cosa fosse. La temperatura si fece improvvisamente fredda e l'aria si infilò con insistenza sgradevole sotto i leggeri vestiti estivi. Tutto attorno a loro regnava il silenzio. Pesante, greve, ovattato, si posava su qualunque cosa toccasse e l'ammutoliva. Non un solo uccello cantava. Nessun insetto ronzava. L'acqua nel ruscello non gorgogliava e il vento non soffiava. Non riuscì a spiegarselo, eppure il disagio aumentò. A un certo punto percepì un formicolio alla base della nuca, poi un fastidioso prurito sotto la pianta dei piedi. Il messaggio era chiaro: nei paraggi c'era un pericolo. Freneticamente si guardò attorno, in basso, a lato, in alto, verso il cielo aperto. Si immaginò che da un momento all'altro un predatore potesse raggiungerlo da qualunque parte e potesse afferrarlo saldamente, portandoselo via prima che potesse accennare una resistenza.

Sapeva che era una paura irrazionale, che nulla era in vista e il cielo era sgombro fin dove giungeva lo sguardo, però già altre volte aveva avuto sensazioni simili e la sua mente non se ne era scordata. Il silenzio, quel silenzio, identico a molti mesi prima, quando nella foresta scese improvvisamente il gelo e incontrò la cerva bianca. Oppure quell'altra volta ancora, quando sfuggì per un pelo all'agguato dei Ka-ranta inviati da Karahì.

Tuttavia quella volta, lo sapeva, fu fortunato a salvarsi, come lo fu anche quell'altra volta, all'uscita del vulcano sacro, quando Radice e Salice che Ride seppero capire quale pericolo stava correndo. Eppure la fortuna da sola non poteva bastare per sempre. Anche il solo pensare a quegli occhi freddi e spietati che lo fissavano in silenzio; il ricordare le dita dure e implacabili serrate sul suo braccio, fu sufficiente a farlo sentire a disagio.

Allungando il passo si avvicinò al Sednor. In quel momento il Varego che era in lui sentì il bisogno di compagnia e a nulla sarebbe valso cercare di convincersi del contrario. Lui era quello che era ed era proprio in quei momenti che se ne rendeva conto implacabilmente. Mai come in quel momento rimpianse di non avere più con sé le sue armi perdute, perché l'avrebbero fatto sentire meglio. Il duro, freddo contatto dell'acciaio nel suo palmo l'avrebbe tranquillizzato un poco e l'avrebbe fatto sentire meno indifeso. Ma per fortuna quella zona cespugliosa non era molto vasta e Ranuncolo vi si stava allontanando speditamente dirigendosi verso i primi alberi alti e frondosi che vedevano.

Ancora pochi passi e se la sarebbero lasciata alle spalle. Difatti ben presto rientrarono nella foresta e nella rassicurante penombra. Man mano che vi si addentrarono, diminuì anche il disagio. La temperatura risalì velocemente e il formicolio alla nuca divenne un lieve fastidio come il prurito alla pianta dei piedi. Finalmente anche Ranuncolo rallentò l'andatura e si voltò a guardarlo. Ansimava, entrambi avevano il fiato grosso benché il tragitto nella boscaglia non fosse stato molto lungo. Il Sednor lo scrutò attentamente, abbozzando un cenno con la testa al sorriso che il giovane gli indirizzò. Faticava ancora a essere socievole come un tempo, ma a Wal interessava poco. In fondo quasi quasi preferiva che fosse così, piuttosto che servizievole solo per dovere.

Ora erano alla pari, si trattavano con rispetto e timore reciproco. Anche se parlavano molto meno di prima, se non altro quello che dicevano era sincero. Ancora affannati bevvero un sorso d'acqua da una borraccia che Ranuncolo tirò fuori dal suo zaino; prima il Sednor, poi lui. Il liquido era amarognolo, sapeva di erbe ed era tiepido, ma non volle sapere cosa contenesse. Si accontentò del sollievo che quel liquido gli diede e vide che Ranuncolo ne beveva ancora un sorso, offrendoglielo pure a lui. Scosse la testa, non ne voleva più.

"Manca ancora molto?" gli fece invece, per interrompere quel silenzio fastidioso. Non lo sopportava più, doveva farlo finire.

Il Sednor scosse la testa.

"Tra non molto arriveremo al fiume, poi ne scenderemo il corso. Prima di sera saremo al sicuro, non temere. Andiamo, ora" aggiunse, prima di gettarsi lo zaino umido sulla schiena e incamminarsi ancora. Wal annuì, chiedendosi se anche Ranuncolo non avesse percepito qualcosa, là fuori. Avrebbe voluto chiederglielo. In fondo poteva anche essersi sbagliato, poteva essersi immaginato tutto.

Il caldo, la sete, la stanchezza, chi lo sa, forse tutte e tre le cose assieme. Ma non riusciva a capirlo. Il Sednor era diventato imperscrutabile, chiuso in se stesso come il bruco nel suo bozzolo. Scrollando le spalle si guardò ancora una volta indietro, per sicurezza, ma non vide nulla, forse si era veramente sbagliato.

Se solo avesse saputo di essere passato a pochi passi dal rifugio di una cerva bianca con un ciondolo nero appeso al collo che gocciolava come ghiaccio senza fondere mai, forse ora sarebbe stato meno tranquillo.

Se solo avesse visto il grigio, freddo e vuoto sguardo che gli aveva rivolto l'animale mentre lo seguiva silenzioso nel sottobosco, probabilmente avrebbe capito subito che il pericolo non sarebbe giunto dall'alto, ma da lei.

Così candida e pura da apparire innocua, nelle vesti che in quel mondo poteva indossare. Eppure letale, come un serpente nel sottobosco. Karahì lo seguì cauta, silenziosa e leggera, attenta a vedere non vista, udire non udita, pronta a nascondersi non appena il suo manto l'avesse tradita. Ma alla fine, dopo averlo seguito a lungo e averne assaporato il disagio che questo gli dava, dovette ritrarsi ugualmente. Un fastidioso pizzicore alla pelle le fece sollevare i peli. Sentiva che dentro al folto della foresta c'erano altre presenze, altri uomini che si stavano avvicinando velocemente ai due viandanti. Li aspettavano, gli andavano incontro. Erano tanti, agguerriti, ben diversi da quelli dei villaggi, tanto molli e imbelli da essere rivoltanti. Erano troppi. Tutti quanti insieme erano pericolosi per lei, perché già sentiva il calore che scaturiva dai loro corpi. Nonostante la distanza percepiva l'alone luminoso che li circondava e che lei, regina del freddo e del buio, subiva sulla sua pelle come tanti spilli fastidiosi. Anche a quella distanza faticava a sopportare quella sensazione e se li avesse lasciati avvicinare troppo, sapeva che sarebbe diventato un dolore che avrebbe potuto stordirla. A malincuore dovette desistere dal suo macabro gioco, anche se la divertiva tormentare quel giovane uomo. Doveva lasciare che la sua vittima scappasse, perché quello era il suo punto debole, l'unica pecca in un travestimento altrimenti perfetto che la soddisfaceva. Ma purtroppo esisteva e se quegli uomini l'avessero scoperto, per lei sarebbe stato la fine.

Lo sapeva che correva un grave pericolo, ma l'odio che provava per quel Varego l'aveva spinta al limite estremo della prudenza. Poi, in fondo questo era nulla. Sua sorella correva un pericolo ben più grave del suo, perché mai nessuno come quel giovane era giunto così vicino dall'avere in mano tutti i fili che componevano la matassa che lei stessa aveva filato un'era prima e che avevano imprigionato Gioturna in quel mostro che era diventata. In poco più di una luna quel giovane Varego aveva trovato nuovi alleati e, benché ancora ignaro della cosa, aveva appreso ben più di quello che immaginava. Per fortuna non se ne era ancora reso conto, solo che la fortuna non l'avrebbe protetta ancora per molto. Doveva trovare il modo di fermarlo, anche se in quella stagione lei era impotente. Poteva soltanto divertirsi a tormentarlo, metterlo a disagio con il gelo che sapeva fare scendere nei cuori degli uomini, ma nulla più. E adesso le sfuggiva ancora una volta.

Non poteva farci nulla, doveva lasciarlo andare a incontrare i suoi amici, quelli arrivati dal Nord come lui. Erano tre, li conosceva, li aveva seguiti, spiati, ascoltati. Era brava in queste cose, aveva tormentato anche loro una volta, così, tanto per conoscerli. Credeva di averli capiti. Erano dei disperati, come lui. Come lui erano pericolosi animali assetati di sangue, perché non avevano nulla da perdere. L' aveva compreso leggendo nei loro cuori colmi del suo gelo: tutti assieme sarebbero stati un branco temibile, perché l'affetto che li legava andava oltre la paura. Doveva separarli, colpirli uno a uno fino a sterminarli tutti.

Voleva la loro vita, così attraverso loro avrebbe colpito anche lui e forse ne avrebbe minato il coraggio e la determinazione. O almeno così sperava, perché con gli uomini non poteva mai essere certa di nulla. Erano strani, imprevedibili, governati da emozioni a lei estranee.

Forse, non lo sapeva. Così come non aveva mai compreso quale folle istinto spingesse alcuni di loro a partire da quelle terre settentrionali a cui erano così legati, per poi tornare indietro, sempre e caparbiamente, nonostante ogni inverno lei li aggredisse con quello che rimaneva della sua antica forza. Erano soltanto uomini, fragili, deboli, insulsi uomini. Erano anche pochi i Vareghi, eppure testardi e cocciuti continuavano a restare aggrappati a quelle scogliere. Colpa di quelli come lei.

Bipenne, Ardente, Querculo, Tartara, tutti e quattro alleati agli uomini. Ferro, fuoco, legno e cibo, senza i quali gli uomini sarebbero stati sterminati da tempo. Voleva dominarli e loro si erano coalizzati. Voleva dividerli e lei era rimasta sola. Tutti quanti l'avevano abbandonata. Anche Soffiace se ne era andata. Lei, sola, a combattere contro tutti. Ancora e ancora, perché la sua guerra contro coloro che l'avevano derisa e sfidata, non era mai finita. Almeno per lei, per quanto stanca e affranta.

Era una guerra senza vinti o vincitori, interminabile, implacabile quanto vana e inutile. Perché se lei non poteva essere sconfitta dagli uomini, così lei non aveva più abbastanza potere per invadere le loro terre. Al più poteva tenerle per una stagione, quando il veleno che sua sorella aveva usato per infettare il sangue del Sole faceva effetto. Allora li metteva sotto assedio, li stringeva, li stritolava con ghiaccio, freddo e gelo.

Ma tutti gli anni tornava sempre,  il Maledetto. Non bastò separare i Soluni. Nemmeno il Fato che tutto aveva previsto poté nulla.

Gli Dei e gli uomini: il potere e i lupi insieme. Il Sole e la Luna: il desiderio oltre la distanza. Una forza perpetua a ricominciare ancora e sempre. Era troppo, per lei. Andava oltre alla sua comprensione.

Come poteva lei sola, resistere contro una tale ostinazione? Nulla, se non evitare di cedere altro potere all'arroganza dei suoi nemici. Ma se solo Gioturna fosse di nuovo stata con lei; se solo potesse un giorno tornare quella che era un tempo, lei sì che avrebbe saputo come fare. Lo aveva sempre saputo, Gioturna, quello che era meglio fare.

Ci fu un tempo in cui il Sole le donò un anello come pegno e promessa. Poi Sagace le strappò un braccio, l'anello cadde in mano alla Luna e il Sole tornò a lei. La coppia tornò ancora forte, anche se il loro destino era già segnato dal Fato. Quando si separarono definitivamente, la Luna portò l'anello con sé e da allora Karahì lo cercò sempre, perché in esso poteva esserci la soluzione dei suoi problemi.

"... tornerai come prima... ", disse il Sole a sua sorella mentre le infilava l'anello al dito. Era poco, se ne rendeva conto, ma era sempre meglio che niente. Oltretutto era l'unica speranza che aveva per riportare Gioturna a sé.

Se quello che pensava era giusto, quando quell'anello fosse tornato a Gioturna, il suo potere avrebbe sciolto la maledizione. Il Sole avrebbe abbandonato gli uomini per tornare da Gioturna e quei meschini sarebbero caduti in breve tempo in suo potere. Come già una volta successe, tutto sarebbe tornato come una volta e guai ai vinti. Ma non ora, non ancora.

<Vai giovane Varego>  pensò Karahì quando lo vide inoltrarsi nel folto degli alberi <sei un perno attorno al quale gira la vita di molte persone e non lo sai, ma presto o tardi ci incontreremo, non temere>.









Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro