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25a) LA MALEDIZIONE

La terribile maledizione ebbe subito effetto, le Yaonai si fusero nelle Schegge,  carne e legno si unirono,  divenendo un unico essere. Gli uomini e le donne si allontanarono inorriditi da quel prodigio e fuggirono, disperdendosi con il germe del sospetto nei loro cuori. Oramai era terminato il tempo in cui gli uomini si riconoscevano tra di loro.

L'unico a restare saldo fu il popolo dei Vareghi e vide ciò che le superbe donne divennero.

Videro dai piedi uscire radici che penetrarono in profondità nel terreno e rami dalle braccia protendersi verso il cielo. Foglie  presero il posto dei capelli e dai rami penzolarono piccoli frutti, cadendo in terra al minimo alito di vento.

Tutte loro si trasformarono in piante, sotto gli occhi inorriditi della Grande Madre che, ultima nel seguirne il medesimo destino, urlò impotente vedendone lo scempio.

Gli scudi che  la  protessero  caddero ai piedi dell'albero che era diventata e in essi Karahì trionfante poté vedere la sconfitta delle Yaonai.

La Regina del Nord era soddisfatta, aveva finalmente ottenuto la vendetta a lungo sperata.

Si pavoneggiava nel sentirsi l'unica a essere rimasta, colei che aveva vinto tutto e ora governava su tutto.

Mentre si gustava l'effetto della maledizione che aveva lanciato  sulle Yaonai si specchiò soddisfatta in uno degli scudi caduti in terra ai piedi della Grande Madre, ma il suo compiacimento fu breve, perchè riflessa alle sue spalle comparve anche l'immagine di Gioturna e in quell'istante comprese di essere stata giocata.

Si ritrasse spaventata quando vide sua sorella. Un orrore tale la colse, che la bocca divenne muta. Troppo tardi capì il suo errore!

Si voltò, impotente. Troppo tardi cercò di fermare ciò che lei stessa aveva messo in moto con la sua maledizione!

Il Tempo aveva ragione, doveva fare attenzione a chiedere il male, perché avrebbe potuto venire soddisfatta. E così fu.

Anche Gioturna colpì un Dio, a tradimento aveva punto il Sole con una spina e la medesima maledizione che colpì le Yaonai, cadde su di lei.

Karahì non potè che assistere impotente a quello che lei stessa aveva provocato con il suo odio.

Dal braccio monco della sorella spuntò un rampicante spinoso che avviluppò completamente il corpo di Gioturna che con un ultimo sguardo terrorizzato pareva chiederle aiuto. Fu l'ultima immagine che Karahì conservò di lei, perché il Sole si sollevò più in alto, cancellando il suo riflesso dallo scudo. Disperata, la Regina del Ghiaccio, cercando affetto per la prima volta nella sua eterna vita di gelo, tentò di toccare le spire verdi che avvolgevano ormai del tutto la sorella, ma lunghe spine appuntite la punsero, respingendola.

Improvvisamente sentì che tutto le crollava attorno. Aveva tutto, aveva vinto, era rimasta l'unica, la più potente tra tutti i Signori e ora, per l'ira e la fretta, si era rovinata con le sue stesse mani. Incapace di reggere oltre alla vista del mostro in cui si era trasformata Gioturna, Karahì scappò via lasciandola sola sulla spiaggia. Fuggì al Nord, nel disperato tentativo di dimenticare tutto.

Ma purtroppo le sue maledizioni rimasero.

Gli uomini si separarono dagli uomini, le tribù dalle tribù, i Clan dai Clan. Ogni nazione si allontanò dalle altre, seguendo ognuna vessilli in cui riconoscersi. La discordia regnò ovunque.

Le Yaonai, divenute ora una cosa sola con le loro adorate Schegge, divincolate le radici per l'ultima volta dal terreno, scomparvero alla vista del mondo inoltrandosi nel profondo della foresta. La Grande Madre le guidava, trascinando dietro di sé un informe groviglio di rampicanti spinosi. Era Gioturna. Soggiogata dalla maledizione della sorella, era inerme nelle sue mani; incapace di reagire, seguiva docile colei che ne sarebbe stata la carceriera.

Toccava a lei quel pesante fardello. Doveva nasconderla, segregarla dove non avrebbe mai più potuto essere ritrovata. Gioturna e la Grande Madre ormai erano legate una all'altra in modo indissolubile. Karahì le aveva condannate ed entrambe sarebbero rimaste prigioniere di una maledizione terribile fino alla fine del tempo.

Solo i Vareghi videro quella tragedia compiersi. Furono gli unici testimoni e tra gli uomini solo loro seppero la verità. Questo fu un segreto che condivisero per millenni con le Yaonai, per quanto mai vennero a conoscenza del definitivo nascondiglio di Gioturna. La Grande Madre preferì non esporli a rischi inutili, perché un'altra persona sapeva tutto e il suo nome era Karahì.

Di lei non si seppe più nulla per moltissimo tempo. Nessuno sapeva dove si fosse rintanata. Scomparve nel nulla e dopo poche generazioni degli uomini, di lei non rimase che il ricordo del suo nome. Pronunciato alla sera, quel nome divenne buono solo per spaventare d'inverno i bambini, poi, lentamente, come assorbito nella sabbia del tempo, scomparve del tutto. Gli uomini dimenticarono in fretta, o forse vivevano troppo poco per potersi permettere il lusso di ricordare.

Solo i Vareghi, in parte, ricordarono.

Nel tempo impararono a navigare sulle acque del mare e si avventurarono in lontani paesi prima di tutti gli altri. Da Bipenne e Ardente avevano appreso l'arte del fuoco e del ferro e non se ne dimenticarono. Sapendo leggere e scrivere divennero valenti marinai e ottimi commercianti. I loro villaggi diventarono potenti, il loro nome temuto. Toccarono i punti estremi del mare, arrivarono dove altri non avrebbero saputo andare, ma mai dimenticarono il legame che li univa alle Yaonai. All'inizio rimasero sconcertati da quello che avevano visto, ma poco alla volta impararono ad accettare la nuova condizione in cui si vennero a trovare e la medesima cosa fecero le Yaonai.

Le fiere donne della foresta, seppero risorgere: quella che sembrava una prigione dalla quale non sarebbero mai più fuggite, si rivelò invece un nuovo inizio.

Questa, marito mio è la storia del mio popolo. Potemmo vivere unite alle nostre amate Schegge, sempre e comunque. Due in uno, fuse insieme, noi anima, loro forza vitale. La Scheggia cresceva anno dopo anno, anello dopo anello; accumulava sapere e ricordi, rinnovando la vita in quella stagione che era stata chiamata Primavera.  Noi, seguendone i cicli vitali, ci rinnovavamo con loro.

Così, come a ogni primavera le foglie nuove spuntavano di anno in anno sui rami, così noi rimanevamo sempre giovani. Questo imparammo con il passare delle stagioni e il nostro tempo divenne più lungo di quello degli uomini. Questo ci divise e ci allontanò ancor di più da voi. Diventammo un mito per i vostri giovani. Tra loro i più desiderosi di fama partivano per cercarci, ma noi raramente ci facevamo vedere.

Dovevamo serbare nascosto il segreto di Gioturna, intrappolata dalla stessa maledizione che la sorella le aveva gettato addosso... "

A queste parole, Wal non si trattenne oltre. La sua curiosità lo spinse a sapere.

"Esiste per davvero?" domandò sconcertato. Aveva creduto che fosse solamente una leggenda tramandata di generazione in generazione, invece improvvisamente veniva a sapere che non era così. Il suo interesse si risvegliò, in attesa che Salice che ride gli rispondesse.

 "Sì, marito mio, esiste. L'hai già anche incontrata, pur non sapendolo. È la Guardiana che circonda il Palo della Vita e il Villaggio dei Mandi". Gli disse infine lei. Un sorriso dolce le incurvò le labbra, vedendo l'effetto delle sue parole sul ragazzo, il quale, non sapendo se sorriderle o rimanere incredulo, tacque.

La testa prese a girargli, tutto gli parve via via più incredibile e fantastico.

Ancora non capiva come quella storia complicata e bizzarra potesse aiutarlo a ricuperare la memoria, però qualcosa iniziava a prendere forma, anche se in modo confuso e indefinito. Vedendolo sconvolto, Salice che Ride gli si fece accanto, premurosa. Gli appoggiò una mano sulla sua e attirò la sua attenzione.

"Va tutto bene?" gli chiese un po' preoccupata. Come gli aveva detto, l'amnesia avrebbe potuto portarlo ancora più lontano e, questa volta, avrebbe potuto essere per sempre. Nemmeno lei sapeva quale effetto potessero avere le sue parole. Attese ansiosa, fino a quando sul viso di lui non comparve un'increspatura ai bordi delle labbra simile a un sorriso.

Un leggero cenno della testa e anche lei si rilassò, tirando un sospiro di sollievo.

<Forse per questa notte può bastare>  pensò dandogli delle veloci pacche d'incoraggiamento sulla mano.

"Ormai non manca molto all'alba" aggiunse, alzandosi dal letto. Lui la seguì docilmente, senza opporre resistenza" Il nostro tempo sta per scadere e io devo tornare. Tu puoi restare, se vuoi. Tornerai con Radice, più tardi, Gopanda Leta, marito mio".

"Già, Radice!" esclamò, Wal.

Si era completamente dimenticato di lui. Le ore erano scorse rapide e serene e gli dispiaceva che la giovane donna se ne andasse. Gli avrebbe fatto piacere restare ancora un poco con lei. Solo che sapeva che doveva succedere. I loro patti erano chiari: solo fino al mattino e il tempo maligno era passato. Il sentirsi poi chiamare Padre di Tutti, lo riportò a malincuore al suo dovere.

Come per il suo antenato, Aldaberon, il tempo era volato via e non poteva fare altro che accettarlo a malincuore.

Emise un sospiro rassegnato. Annuì. Dovevano dimenticare quello che era successo in quelle poche ore, il piacere di stare insieme, la libertà, perché il dovere li chiamava entrambi.

"Posso accompagnarti per un tratto, mia Signora?" le disse cercando di non apparire ridicolo. Molto seriamente, gentile ma distaccata, lei accennò che sì, poteva. Lo precedette fuori della stanza e si incamminò lungo al corridoio, rifacendo il percorso che avevano fatto all'andata.

La luce pulsante che li avvolgeva gli era ormai familiare, lo cullava dandogli l'impressione di vivere ancora dentro a un sogno che non comprendeva a fondo. Era sconcertato e stordito da quello che aveva sentito, incredulo che ciò che era stato narrato potesse in qualche modo essere vero. La testa gli girava. Si sentiva strano. Sbandava a ogni passo che faceva, seguendo la forma sinuosa della Grande Madre che lo precedeva con incedere elegante e sicuro. Cosa centrava lui con tutto questo? Quale era il collegamento tra quel passato lontanissimo con lui?

A un certo momento sbandò. Per non cadere si appoggiò alla parete della galleria e quando sfiorò quei misteriosi vegetali che emettevano luce, sentì un fremito percorrergli tutto il corpo. Dalla testa ai piedi un'energia luminosa gli attraversò tutte le cellule del corpo facendole accendere e spegnere con il ritmo calmo e rilassante della luce. La pace lo invase dandogli un momento di tregua dall'ansia che gli stringeva il petto.

Le cose che aveva udito gli pesavano sull'anima, lo facevano sentire male, gli davano la nausea e una gran voglia di vomitare. Non era certo che quelle sensazioni fossero sue, però le stava vivendo con un'intensità tale da sentirne paura. Provò un improvviso odio verso quella donna malvagia che lo voleva perdere con ridicole storie di Signori, Giganti e uomini. Avvertì forte il desiderio di aggredire la donna che ancheggiava conturbante davanti a lui, incosciente di quello che stava succedendo alla sue spalle.

Avesse avuto un'arma l'avrebbe trafitta all'istante. Dentro di lui la luce azzurrina si accendeva e si spegneva lenta, dandogli calma quando era accesa, lasciandolo nel caos quando si spegneva. Pensieri sconnessi e affannosi si susseguivano frenetici e all'improvviso capì di essere vittima dell'Infame: era lui che voleva che aggredisse la Grande Madre. Non voleva permetterglielo! Doveva pensare ad altro, distogliere la mente da quei messaggi nefasti.

Doveva trovare un modo per fermarlo!

Doveva calmarsi e riprendere il controllo del suo corpo. Chiuse gli occhi e seguì l'alternanza chiaro scura che si susseguiva ininterrottamente dentro di sé. Si sentì portare in alto e in basso da quella luce e poco alla volta immaginò di essere nel mare. In alto mare. Ne sentì la salsedine sulle labbra, gli spruzzi sul volto, il profumo addosso. La luce, come le onde, saliva e scendeva attorno a lui.

Vide una spiaggia a poche bracciate di distanza. Prese a nuotare vigorosamente e quando pose piede sulla sabbia umida della riva si sentì meglio, la mente sgombra di dubbi e ansie. Aprì gli occhi e si rese conto che tutto si era svolto in pochi secondi. Davanti a sé vide Salice che Ride precederlo di pochi passi, ignara di quello che gli era successo.

Allungò il passo, la raggiunse smuovendo dei ciottoli sul pavimento. Lei si voltò e lo fissò per un momento. Non si era accorta di nulla.


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