19a) CONTRATTACCO
A ogni passaggio dei Soluni si indebolirono sempre di più, arretrando passo a passo lasciando dietro di sé scie umide che colarono dalle loro membra gocciolanti. Solo i venti del Nord contrastavano ancora i Soluni, però sempre più debolmente. Anche loro, trovandosi a contatto con il Sole, si riscaldarono lentamente contribuendo sempre più allo scioglimento dei Ka-ranta che venivano lambiti dalle loro folate rabbiose. Gli eserciti del Nord parevano non potere nulla contro l'offensiva del Sole e della Luna uniti e, rincuorati da questo successo, i Soluni volarono ancora più in alto. Il Sole si sentiva bene, da una parte irradiava calore e speranza e all'altra terrore e follia. Nell'arco di un mese arrivarono a liberare le terre fino al confine dei Sei Regni. Le Zolle di Tartara, congelate e immobili, tornarono a liberarsi dai ghiacci. Di giorno in giorno l'esercito dei fuggiaschi aumentava di nuovi elementi, ma purtroppo non per tutti fu così. Le Schegge di Querculo restarono dove caddero, marcirono sul posto non potendosi più rialzare. Eppure dalle loro radici spuntarono ovunque teneri virgulti, prontamente raccolti e portati al sicuro dai Giganti di Legno superstiti. Era nuova vita e nuova speranza per tutti loro.
Con la speranza aumentava anche la voglia di intervenire. Fino a quel momento avevano fatto tutto i Soluni, gli altri li avevano solamente seguiti e attendevano il momento opportuno per entrare nella battaglia. Anche Querculo guariva lentamente e con le forze che tornavano non vedeva l'ora di trovarsi di fronte qualche dozzina di Karanta per distruggerli con la sua mazza nodosa. Le terribili ferite al fianco si erano cicatrizzate lasciandolo profondamente deturpato; mai sarebbe tornato a essere quello di un tempo, fiero, potente e temuto, ma la sua voglia di riscatto rimase intatta e divenne un esempio per i suoi. Tutti fremevano, tutti volevano avanzare, però i Soluni dissero di no, di attendere ancora e ancora.
Il Sole voleva dare il massimo e si sforzò a farlo, così da dare la più alta probabilità di successo ai suoi, ma la schiena dolorante, la ferita mai guarita del tutto, lo rallentò. Il dolore crebbe poco alla volta, minando la sua determinazione. Proprio quando le cose sembravano andare per il meglio, un giorno il Sole tornò all'accampamento più stanco del solito e il giorno dopo tardò un poco ad alzarsi, gettando nella costernazione i fuggiaschi. Andò avanti così per tre giorni e ogni volta, nonostante i buoni propositi, parve più affaticato. A malincuore dovette ammettere l'evidenza: aveva fatto tutto quello che era stato in suo potere, ora doveva lasciare spazio agli altri. Il quarto giorno tardò ancora di più ad alzarsi e capì che era giunto il momento. In pieno accordo con la Luna convocò i quattro Signori.
Senza troppi preamboli disse:
"Signori, ora tocca a voi". Quando lo disse, un fremito corse lungo la schiena di chi lo stava ascoltando. Anche la Luna lo guardò eccitata. Era giunto il momento, finalmente.
Venne convenuto che lui avrebbe fatto quello che poteva, ma il suo potere diminuiva di giorno in giorno e doveva riposarsi se voleva continuare.
Così fecero. Passarono il resto del giorno a preparare le truppe per l'assalto del giorno dopo. Sarebbe stato un assalto in massa, violento, audace, pronto a spingersi fino a dove era possibile.
Il carro dei Soluni si sollevò in volo come di consueto e perlustrarono tutto il fronte dei Ka-ranta: anche loro dovevano aspettarsi qualcosa di grosso, perché avevano eretto difese supplementari e aggiungevano costantemente ghiaccio per mantenersi alla giusta temperatura. Nonostante questo dalle loro linee uscivano lenti rivoli d'acqua che scorrevano tortuosi sul terreno fino a scomparire in esso.
Le loro difese si ammorbidivano poco a poco, i loro arti lentamente si fondevano. Vedere i propri compagni sciogliersi sotto i loro sguardi impotenti gettò nello sconforto le truppe delle Regine del Nord. Tra le loro fila prese a serpeggiare il terrore di finire assorbiti dalle odiate Zolle o aspirati dalle radici delle Schegge.
Per loro non ci sarebbe stata più speranza, allora. Sarebbero scomparsi nel nulla totale. Non più acqua, non più mare, non più nuova vita. Il nulla, come gli avevano sempre insegnato. Molti avrebbero voluto fuggire, tornare al Nord freddo e rassicurante del Gelo Eterno. Se non lo facevano era solo per la paura che provavano per la loro Signora, Karahì, ma sopratutto per Gioturna, che sapevano ben più implacabile della sorella maggiore. Allora restavano, non per amore, ma per forza, per forza si preparavano a difendersi sapendo di non poter fare altro, perché le linee del loro esercito erano troppo fradice per resistere a lungo.
Quando il momento giunse, quando Eclissi comparve lontano nel cielo, l'attacco fu portato con la violenza dell'esasperazione e del timore di fallire ancora. I Giganti dei Quattro Regni della Terra, del Legno, del Fuoco e del Ferro, guidati dai loro Signori, andarono incontro alle prime linee nemiche urlando a squarciagola, senza una tattica, senza uno schieramento.
Erano dei disperati che brandivano le armi di cui disponevano, sassi, rami, palle di fuoco e grumi di metallo informe, pronti a morire piuttosto che tornare indietro ancora una volta. Giovani e vecchi tutti assieme, spalla a spalla. Temevano i Ka-ranta che avevano di fronte, ben nascosti dietro le difese di ghiaccio che avevano eretto, ma volevano sfondare, passare, andare oltre, tornare a casa.
Quando arrivarono tanto vicino alle linee nemiche da poter vedere gli occhi rotondi e color del fuoco dei loro avversari, al di sopra del campo di battaglia sfrecciarono i Soluni sul carro trainato dalle Ragace. Zagramarono a lungo, insieme, ognuna sfogando il proprio odio nei confronti dei Ka-ranta che nel sentirle sollevarono i volti spaventati, temendo di esserne vittime.
Era quello che volevano i Soluni.
Il Sole, che fino ad allora si era trattenuto, proprio un momento prima del contatto degli eserciti, rilasciò una vampata di luce talmente forte e improvvisa che accecò chi guardava nella sua direzione.
Infine arrivò il contatto, lo scontro violento e brutale.
Quando le due schiere si toccarono iniziò una battaglia senza tregua e senza quartiere.
La rabbia e la frustrazione dei superstiti dei Quattro Regni era tale che si gettarono contro le difese nemiche, scoprendole molli e fradice nonostante il ghiaccio che i Ka-ranta avevano aggiunto nella notte.
A piene mani le scavarono alle fondamenta, facendole crollare.
Quello che ne seguì fu un massacro inenarrabile che proseguì per due mesi interi. Alla fine di quel periodo gli eserciti dei Quattro Regni si erano riappropriati di tutte le Terre del Sud e per metà delle Terre del Ferro e del Fuoco.
Non poterono proseguire oltre perché il Sole divenne sempre più stanco e affaticato. Ogni giorno splendeva un po' di meno e la salute lo obbligava a stare a letto sempre un po' di più alla mattina.
La Luna, sempre al suo fianco, lo vedeva deperire poco alla volta. La ferita alla schiena riprendeva a dolere e lo bloccava. Provò a lenire i suoi dolori, a sostenerlo come poteva, ma tutto si rivelò inutile. Preoccupata per il consorte e non sapendo che altro fare, andò dai Signori degli elementi e li pregò di fermarsi.
"Amici miei" disse "Il Sole non ce la fa più e senza di lui è una follia continuare ad avanzare. Bisogna attendere che si riprenda".
Tartara e Querculo si dissero immediatamente d'accordo. Avevano due Regni da riorganizzare e iniziavano a essere stanchi della guerra.
Ardente e Bipenne, invece, recalcitrarono; fosse stato per loro l'attacco sarebbe proseguito ancora e ancora fino a cacciare del tutto Karahì e Soffiace nell'estremo Nord, ma sapevano che gli altri avevano ragione.
Ancora ricordavano con terrore la notte in cui vennero assaliti i loro Regni impossibili da difendere; la folle fuga dalle lingue dei ghiacci che li rincorrevano nel buio e le urla dei caduti.
Accettarono di fermarsi, ma prima strinsero un nuovo patto con i Soluni e gli altri Signori come testimoni: giurarono che il Regno del Ferro e del Fuoco non si sarebbero mai più separati l'uno dall'altro. Entusiasti, anche Tartara e Querculo proposero un altro giuramento da stringere tutti e quattro insieme: non sarebbero più esistiti quattro Regni separati, ma uno solo, in cui tutti gli elementi avrebbero vissuto insieme, aiutandosi e rispettandosi reciprocamente.
I Soluni furono felici della soluzione proposta e la appoggiarono immediatamente. Ardente e Bipenne, dopo un lungo momento passato a studiarsi a vicenda, si porsero le mani callose e da quel contatto mai avvenuto prima, gocce di metallo fuso presero a colare dalle dita di Bipenne. Di color bianco e rosso, al contatto della Terra umida sfrigolarono raffreddandosi. Quando furono abbastanza fredde Tartara e Querculo le raccolsero per porgerle a Bipenne che le prese pensieroso. Le impastò assieme, girandole e rigirandole tra le sue mani metalliche fino a renderlo un composto omogeneo. Sotto gli occhi increduli degli altri le modellò in un oggetto che nessuno aveva mai visto prima: parevano due ali, dalle estremità curve e con un manico per afferrarle saldamente.
Tartara chiese a una Zolla di lucidarla e quando quella la ridiede al Signore del Ferro, questi la sollevò in alto e tutti la videro, splendente e meravigliosa.
Tutti compresero che dal patto tra il Fuoco e il Ferro era nata un'arma, nuova, potente ed efficace anche contro i Ka-ranta. In onore a Bipenne le venne dato il suo nome e da quel momento i Giganti di Fuoco e di Ferro si misero assieme a forgiarne altre, infinite altre, in modo che ogni combattente del Regno ne avesse una.
Quella era stata una grande giornata a conclusione di una battaglia lunga e sanguinosa.
Vollero darle un nome, come aveva fatto il Tempo prima di loro. Avevano giocato con le sue regole e avevano vinto. Se lo meritavano, se non altro per tutti coloro che erano caduti ed erano andati incontro alla morte con gioia.
Dopo aver a lungo pensato un nome che potesse andare bene, decisero che se i Ka-ranta avevano avuto la peggio, se i possenti venti del Nord questa volta non li avevano sbaragliati e dispersi come foglie nella burrasca, lo dovevano a uno solo di loro, al calore del Sole.
Decisero così di dedicarla a colui che aveva reso possibile questa vittoria, al Sole.
In suo onore diedero il nome a una seconda stagione, del caldo e della gioia:
la chiamarono la Battaglia del Sole.
Nella lingua degli Antichi, Estate era il suo nome. E con quel nome venne chiamata in seguito.
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