8d) CONTATTO
L'anello, la via del ritorno, casa, Mirta, suo figlio... Baliji voleva andarsene di lì, era stanco, stanco di tutta quella follia.
L'anello, l'anello... poteva essere il momento giusto per usarlo, oppure no.
Il tempo passava e l'alba era vicina.
Faggiola, Radice, avevano entrambi ragione a domandargli cosa volesse fare.
Non potevano restare immobili ancora a lungo.
Dovevano agire, andare, fare qualcosa e in fretta.
Dipendeva da lui, solo da lui scegliere il momento giusto per farlo, e anche se non era certo che lo fosse, decise che quel momento fosse giunto.
Proruppe in un urlo lungo e potente, esasperato dalla rabbia e dalla paura.
"Sono qua, Gioturna! Ho io il tuo anello! Vieni a prenderlo se lo vuoi!".
Gli altri si voltarono furtivi a guardarlo senza che ne comprendesse il motivo.
Rimase sorpreso dai loro sguardi incerti, poi capì.
Senza nemmeno rendersene conto aveva parlato in Varego.
La sua lingua madre gli era venuta spontanea alla mente e nemmeno aveva pensato che gli altri non avrebbero compreso una parola di quello che avrebbe detto all'essere che si trovava oltre la curvatura della roccia.
Non importava, tutti quanti sapevano cosa dovevano fare e non aveva bisogno di dirglielo.
Era ostinatamente arrabbiato con quella cosa che si trovava oltre la svolta e gli aveva rovinato tutta la vita.
Ormai era una faccenda tra lui e Gioturna. Solo lui e lei.
Nemmeno si domandò se almeno lei potesse comprenderlo, perché sentiva che quell'essere immondo avrebbe capito la lingua che l'aveva visto crescere.
La sua voce rauca e dura rimbalzò sulla roccia a lungo prima di smorzarsi del tutto e quello che ne seguì fu un rantolo animale che rotolò lungo il pavimento e le pareti di roccia e arrivò diritto ai loro cuori, congelandoli di terrore.
Ricomparve l'aculeo, veloce come una saetta una liana andò a sbattere ancora nella roccia e cadde davanti a Faggiola che indietreggiò appena in tempo per non esserne colpita. Quando Radice si sporse in avanti per colpirla con l'ascia, ancora venne ritirata al volo, ma invece che scomparire dietro l'angolo, rimbalzò nell'aria e scudisciò in pieno volto il ragazzo, facendolo cadere in terra.
Dolorante e sorpreso il Sednor lasciò cadere a terra l'ascia e si portò le mani al viso. L'arma risuonò metallica sulla roccia.
Faggiola gli andò accanto per aiutarlo, tuttavia lui già si rimetteva in piedi.
Di traverso alla faccia, sanguinolenta, una striscia rossa gli segnava fronte e guancia.
Piccole gocce di sangue gli colavano dallo zigomo fin oltre la mascella contratta dalla sofferenza.
Radice rantolava di dolore e rabbia, eppure raccolse l'arma e si mise in attesa del successivo attacco.
Baliji comprese che dovevano andarsene adesso, finché erano in tempo di farlo.
Ormai il contatto era avvenuto, adesso dovevano lentamente riuscire a trascinarla verso l'esterno senza permetterle di tornare nel suo nascondiglio.
Se anche uno solo di loro fosse rimasto ferito in modo serio, gli altri avrebbero potuto fare ben poco per lui e avrebbero dovuto lasciarlo in balia di quel mostro.
Baliji parlando in modo da essere compreso da tutti, disse di indietreggiare piano. Arretrarono compatti, mantenendo la formazione serrata.
Quando si furono allontanati di una decina di passi dal punto in cui vennero attaccati, videro comparire da oltre la roccia un ammasso informe di liane intrecciate da cui spuntavano un braccio e una testa che di umano conservavano soltanto la pietà.
Gioturna! Lei era lì e li fronteggiava! Li seguiva!
Al solo vederla apparire, il sangue degli uomini si congelò nelle vene e la linfa delle Yaonai arrestò il suo corso.
Nessuno ebbe più la forza di dire nulla.
Si strinsero vicini, cercando forza l'uno dall'altro.
Alzarono armi e scudi, in attesa di un attacco che tardò ad arrivare.
Guardarono inorriditi quella cosa immonda, incapaci di qualunque altro sentimento che non fosse provare un terrore folle.
Se Gioturna li avesse attaccati in quel momento li avrebbe sgominati tutti quanti con un sol colpo, eppure il Fato per una volta volle essere clemente, concesse un istante di tregua e di indecisione ad ambo le parti, che divenne prezioso per loro e funesto per lei.
Quando comparve loro davanti, la luce delle bottigliette che tenevano alte investì in pieno quell'essere mostruoso e lo lasciò sgomento per poco più che un battito di ciglia, ma tanto bastò ai sei del piccolo manipolo per imprimersi nella memoria in modo indelebile quello che mai, in seguito, avrebbero saputo più raccontare a essere vivente.
Il volto di Gioturna era un tumultuoso groviglio di bozzi e spine, sorretto da un collo lungo e sottile profondamente ustionato da fiamme e schizzi di lava. Le labbra deturpate erano spaccate e colavano di una materia verde e densa. Le orecchie erano corrose, carbonizzate non erano altro che miseri monconi di cartilagini devastate dalle fiamme. Un occhio era scomparso sotto una escrescenza nodosa e l'altro era piccolo e stretto tra due rami. Una luce malvagia divampava da esso e dalla bocca usciva un rantolo a ogni respiro.
Sotto il corpo informe di liane intrecciate, un tappeto di esse, perennemente in movimento, strisciava sulla roccia portandola dove ella volesse.
Tutto il suo corpo fumava, le foglie erano secche, i rami si spezzavano, pareva un focolare sul punto di avvampare.
Un odore insopportabile si spandeva tutto attorno a lei.
Aveva un solo braccio che pareva umano, mentre l'altro, strappato millenni prima da una Ragacia, al posto di quello mancante, dalla spalla spuntava la liana acuminata che aveva colpito in volto Radice.
Quell'arto mostruoso era agile e mobile, si allungava e si accorciava continuamente, pronto a scagliarsi contro chiunque si fosse avvicinato troppo a lei.
Quando si riprese dalla sorpresa che le aveva provocato il bagliore improvviso, coprendosi l'occhio sano con l'unica mano di cui disponeva, Gioturna urlò in Varego:
"Dammelo! È Mio!".
Contemporaneamente fece schioccare la liana al di sopra di Faggiola e di Radice cercando di colpire Baliji, ma le due Yaonai alzarono in tempo gli scudi e fecero rimbalzare l'aculeo contro la parete.
Radice reagì fulmineo, sfiorò l'arto maledetto con l'ascia mentre Gioturna lo ritirava e Faggiola, sfruttando il momento, lanciò la ghianda mirando all'occhio.
Fu un gesto impulsivo e disperato, imprevedibile per tutti, eppure per poco non funzionò.
La Yaonai mancò di poco il bersaglio, colpì invece la mano che lo schermava: ma fu un tiro rapido, preciso e potente, imprevisto e doloroso più di quanto l'Immonda si aspettasse e forse questo le fece paura.
Con una velocità insospettabile arretrò oltre la roccia e rimase al coperto oltre a essa.
Da là dietro se ne sentì provenire soltanto il rantolo furioso e la puzza.
Baliji venne assalito da un impellente bisogno di sopravvivere, eppure non cedette alla tentazione di voltarsi e fuggire.
Si impose di restare al suo posto e disse agli altri di arretrare passo passo tutti assieme.
Si mossero come un sol uomo e si spostarono oltre la curva che avevano alle spalle. Si arrestarono ancora.
Nel silenzio che seguì percepirono dei fruscii inseguirli: l'essere mostruoso che avevano sfidato era uscito dal suo nascondiglio e li braccava, scivolando sulla massa di liane su cui poggiava il corpo orrendo.
Avanzava piano, era cauta nel muoversi, ma determinata.
Temevano che non si sarebbe più fermata, invece a un certo punto i fruscii cessarono.
Baliji si passò una mano sul volto sudato. Ragionò.
Forse il provvidenziale quanto malaccorto colpo di Faggiola, aveva sortito un effetto insperato.
Forse Gioturna li temeva tanto quanto loro temevano lei.
Con l'alfabeto dei gesti lo fece comprendere ai suoi compagni.
Se così era, l'Immonda stava aspettando una mossa, uno sbaglio qualunque, prima di aggredirli.
Faggiola, Radice, persino le tre Yaonai, lui medesimo, tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Se uomini e Yaonai erano terrorizzati, il colpo della Reverenda Madre aveva preoccupato abbastanza Gioturna da renderla cauta.
Se fossero riusciti a restare al coperto, avessero saputo tenere a bada i suoi aculei, forse avrebbero potuto rallentarla quanto bastava ai loro scopi.
Ora però dovevano continuare a condurla verso l'uscita, sperando di fare in tempo.
Il tempo era tiranno e la Grande madre era stata chiara: all'alba, non prima e non dopo, quello sarebbe stato il momento per combattere contro quell'essere.
Baliji non sapeva perché fosse così importante, ma non poteva che fidarsi di Salice che Ride.
Per ora dovevano continuare a muoversi restando uniti e tenendo sempre una parete di roccia tra loro e Gioturna.
Lentamente alzò il polso a cui teneva legato l'anello e richiamò l'attenzione dei suoi compagni.
Utilizzando l'alfabeto dei segni comunicò agli altri cosa aveva intenzione di fare e quando tutti e cinque gli fecero cenno di avere compreso, azzardò a parlare in Varego:
"Lo senti ? È qui, vieni a prenderlo, se è tuo!" disse a Gioturna per provocarla e lei rantolò a lungo, cupa come un tuono sui monti che rotola a valle.
L'Immondo essere fremette impaziente oltre la roccia, ma il dolore alla mano colpita dalla ghianda della Yaonai, la rese diffidente.
Attese ancora senza fare nulla. Rantolò, grugnì e si tenne nascosta alla loro vista. Vedendo andare a vuoto il suo tentativo di farla uscire allo scoperto, Baliji ebbe un gesto di stizza e nell'agitare il polso, l'anello andò a sbattere contro la spada.
Il suono delicato e argentino prodotto dai metalli risuonò a lungo lungo le pareti di roccia, provocando una reazione inattesa in Gioturna.
Nei ragazzi la speranza si riaccese.
Il Varego rifece il gesto, lo ripeté ancora, più volte, e a ogni eco di tintinnio sulla roccia della parete, dall'altra parte della curva vi era un grugnito e un frusciar di liane.
Proseguì a lungo senza mai fermarsi, eccitando la bestia finché finalmente si mosse. Il fruscio sul pavimento si fece più forte e il gruppo arretrò piano, arrivando fino a oltre la successiva svolta.
Fintanto che la sentirono avvicinarsi, arretrarono.
Quando poi la sentirono fermarsi, Baliji fece tintinnare ancora l'anello sull'acciaio della spada e poi si mise in ascolto.
Proseguirono così, lenti e tesi, di volta in volta sperando che l'inganno funzionasse ancora.
Via via in tal modo, arretrando di svolta in svolta, uomini, Yaonai e la bestia, senza più vedersi se non per brevi attimi, si mossero inseguiti dai propri dubbi.
Per quanto labile, l'equilibrio venutosi a creare tra gli uni e l'altra, nessuno lo voleva spezzare.
Anche Gioturna, per quanto bramasse l'oggetto amato, si comportava cautamente evitando di avanzare più in là dello stretto necessario.
Raramente si scopriva oltre il dovuto e poche erano le volte che sfidava la sorte lanciando a casaccio la liana acuminata addosso al Sednor e alla Grande Madre.
Ma erano sempre tiri incerti, senza potenza e precisione e a ognuno di essi seguiva una replica secca e potente di Faggiola che non si distraeva un istante.
Le sue pigne di metallo scheggiavano appena la roccia, ma il sibilo della treccia roteante faceva molto di più, riempiva di timore la Bestia.
Arretrando, arrivarono all'incisione che Aldaberon scavò nella roccia.
Baliji lo guardò per l'ultima volta. Strinse gli occhi, lo salutò appoggiandosi una mano sul cuore.
Gli dispiacque non aver raggiunto le ossa di suo nonno, però dovette ammettere che Flot aveva avuto ragione.
Non gli aveva mentito questa volta, arrivarci sarebbe stato veramente impossibile per lui: se non fossero stati il caldo e la lava a fermarlo, a impedirgli il passaggio avrebbe provveduto quella bestia immonda che ora li stava seguendo.
Nemmeno volendo avrebbe potuto raggiungerle, però qualcosa almeno l'aveva ottenuta.
Il suo piano funzionava, avevano agganciato Gioturna e la stavano trattenendo.
Però era faticoso camminare a ritroso, snervante quasi quanto cercare di mantenere la formazione compatta. Il terreno saliva lentamente e ogni tanto vibrava di rapide scosse di terremoto.
Per la maggior parte erano scosse deboli, leggeri tremori che smettevano subito, tuttavia erano sufficienti a scuotere le già precarie certezze di tutti.
Dal soffitto cadevano sulle teste improvvisi frammenti di polvere e sabbia che aumentavano i timori che già li tormentavano.
Per quanto tentassero di non farci caso, sapevano che se ci fosse stato un terremoto abbastanza forte, un crollo del soffitto, un cedimento qualsiasi, avrebbero rischiato di restare isolati e nessuno avrebbe mai più saputo nulla di loro.
La paura di restare sepolti vivi era scolpita sui volti di tutti e sei i componenti del manipolo, eppure non si arresero alla tentazione di voltarsi e fuggire.
Sarebbe stato facile, un istante di abbandono e poi sarebbe stato impossibile fermarsi ancora.
Invece rimasero, tutti uniti e compatti, continuando a muoversi in formazione sperando che Gioturna seguitasse a temere le ghiande di Faggiola abbastanza a lungo per arrivare all'esterno.
Tutto sembrava andare per il meglio, eppure... Se solo Baliji avesse saputo quanto mancava all'alba!
Non poteva assolutamente permettersi di sbagliare i tempi.
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