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4e) GRANDINE E SANGUE


A quel punto, grandine mista a sangue prese a cadere sulla foresta.

Batteva sulle loro teste ed era dura e pesante.

Erano sangue di Sanzara e ghiaccio di Ka-ranta che nella lotta suprema per la vita, morivano assieme.

La battaglia nell'alto dei cieli aveva avuto inizio.

Le orde di Karahì avevano cercato di sfondare la strada del Mondo degli Antichi Padri e migliaia di Sanzara gli contrastavano il passo sul filo delle asce bipenni.

Tutti quei prodi Vareghi vissuti e morti nel passato erano lì per lui, sia gli uni che gli altri pronti a lottare fino alla fine.

Erano giunti tutti quanti con un unico scopo, farla finita una volta per tutte con Karahì, mentre lei, la Regina del Nord, voleva Baliji a tutti i costi e per ottenerlo, era disposta a rischiare il tutto per tutto pur di averlo tra le sue mani, ma essi glielo avrebbero impedito.

Le Yaonai, strette in un cerchio protettivo, udendo tutte quelle urla provenire dall'alto, si guardarono attorno.

Erano disorientate, agitate, impaurite al pari dei due uomini che proteggevano.

Eppure, benché in volto fossero pallide come la morte, restarono salde al loro posto e non si mossero di un passo. Gli scudi vennero slacciati, le trecce presero ben presto a roteare.

La foresta illuminata dai fulmini divenne spettrale e nemica.

Le donne con lo scudo si misero davanti alle sorelle che già soppesavano le ghiande nelle trecce facendole turbinare.

A un certo punto il gruppo udì altre urla.

Queste erano differenti, selvagge e bestiali, provenivano dalla foresta, erano vicine, ovunque attorno a loro, correvano pesanti e minacciose verso la piccola radura ove il cerchio si stringeva compatto.

Arrivavano dal buio oltre la cortina di alberi, stringevano il piccolo gruppo da ogni parte.

Nemmeno i fulmini bastavano per penetrare quell'oscurità così assoluta.

Era il nulla, il vuoto totale. Per quanto si sforzassero, non riuscirono a vedere nulla, se non quei passi pesanti e massicci che veloci si dirigevano verso di loro.

Poi uomini e Yaonai udirono sopraggiungere altre urla ancora, metalliche, legnose, terrose, infuocate, poi botti, tonfi, alberi che si schiantavano a terra spinti da forze sovrumane, rumori di una lotta, spietata, senza tregua e requie.

Non capivano.

Assediati dalla paura, gli occhi divennero fissi verso il nulla, mentre il sangue e la linfa che scorreva nelle vene di uomini e Yaonai, divenne acqua.

Dall'alto non smetteva di grandinare sangue, i tuoni rombavano e i fulmini cadevano in continuazione.

Le Yaonai in prima linea erano determinate a non lasciarsi sorprendere, le fromboliere dietro, guardavano la foresta in attesa che qualcosa succedesse.

Dopo un tempo che parve infinito qualcuna di loro disse chiaramente quello che tutti loro temevano:

Ka-ranta!

Lo disse quasi sottovoce, eppure bastò per giungere a tutto il manipolo.

A udire quella parola, ai due uomini il sangue gelò nelle vene, perché se quelle belve assetate di sangue erano arrivate nella foresta, voleva dire una cosa sola.

Alcuni di loro erano riusciti a passare attraverso le fila dei Sanzara e avevano superato il confine tra i due mondi.

Le Yaonai disposte in cerchio risposero al primo richiamo nella loro lingua.

I due uomini non compresero cosa si dissero, ma le videro annuire compatte.

A Baliji i piedi non smettevano di prudere e la nuca formicolava senza tregua.

Brandì lo spadone deciso a usarlo contro qualunque cosa avesse tentato di afferrarlo.

Al pari degli altri si sforzò di vedere oltre la pioggia e tra le cortine di cespugli e alberi, ma vide soltanto movimenti confusi, corpi enormi che lottavano e si spostavano calcandosi a vicenda con violenza inaudita.

A malapena distinse che alcuni di quei corpi enormi erano chiari come ghiaccio, altri scuri come terra, legno e il metallo, altri ancora brillavano come fossero fatti di fuoco, ma tutti si spingevano, se colpiti cadevano, di questi pochi si rialzavano.

Per quanto facesse fatica a crederci, quelle che a malapena intravedeva lottare a poche decine di passi da lui erano Masse, Zolle, Torce, Schegge, giunte da un passato remoto così lontano da essere ormai dimenticato da tempo, per combattere assieme alle Yaonai contro Karahì e i suoi Ka-ranta.

La battaglia proseguiva in terra e in cielo e loro vi erano proprio in mezzo.

Erano il fulcro, erano l'obiettivo unico e lui, in centro a tutto, il bersaglio di Karahì.

Non avrebbe permesso a uno di quei mostri di ghermirlo una seconda volta.

Scorza era dietro a lui, ne sentiva la schiena premergli contro la sua.

Non sapeva se per proteggerlo o per cercare soccorso, ma in quel momento non gli importava. Sapeva soltanto che gli faceva piacere averlo accanto.

Nessuno più parlava, nessuno fiatava, lo sguardo fisso verso il buio che li circondava.

Udirono dei passi, tonfi profondi nel terreno correre verso di loro, poi altri tonfi a seguirli.

Erano molti, pesanti, determinati a raggiungere il piccolo gruppo di uomini e Yaonai raccolto a cerchio. Urla disumane si alzarono nella foresta.

Altre urla, da più parti, le sovrastarono. Gli stridii degli alberi del bosco divelti a forza si susseguirono al ritmo del rumore dei passi che si avvicinavano veloci.

Poi ancora rumori di lotta, colpi selvaggi portati con ferocia e tonfi di corpi caduti.

Baliji guardò lo spadone di Alfons e si chiese se quella lama sarebbe stata in grado di difenderlo. Gli pareva così fragile, così insignificante in quel momento.

Lo strinse ancora più forte nelle mani. Scorza si appoggiò a lui, erano ancora schiena a schiena.

"Mio signore" mormorò il Tumbà. La voce gli tremava, era terrorizzato e lui gli rispose "Non temere, ce la faremo", ma quanto avrebbe voluto essere certo delle sue parole.

Faggiola urlava frenetici ordini alle sue Yaonai che non si muovevano dal loro posto nonostante fossero terrorizzate quanto gli uomini posti al centro.

Poi Baliji li vide arrivare, tutti li videro, e non avrebbero voluto doverlo fare.

A non più di venti passi da loro vide stagliarsi i corpi bianchi di una decina di Ka-ranta. Erano passati, avevano sfondato in un punto e arrivavano!

Erano più grandi di come li ricordasse.

Erano mostruosi, i piccoli occhi rossi brillanti nel buio.

Alcuni giganti li raggiunsero, gli si buttarono contro, li strattonarono, li fermarono.

I Ka-ranta lottarono selvaggiamente, lanciando pesanti blocchi di ghiaccio verso i giganti che contrastavano loro la strada con enormi mazze di legno, ferro o pietra.

Altri giganti arrivarono, da più parti aggredirono i Ka-ranta.

Alcuni armati di asce bipenni, alcuni di pietre taglienti, altri ancora lanciando masse di materia incandescente contro i Ka-ranta, li circondarono.

Non c'era strategia, non c'era metodo, soltanto corpi contro corpi che si colpivano duramente con tutto quello che avevano.

Urla disumane seguivano ogni colpo giunto a segno e non c'era pietà per i caduti: i feriti venivano schiantati a terra con crudeltà inaudita.

I mostri di ghiaccio erano in svantaggio, accerchiati da tutte le parti tentavano di svincolarsi dalla lotta, il più delle volte inutilmente.

Sembrava non cercassero la battaglia, correvano avanti con un unico scopo.

Fuggivano davanti agli altri giganti.

Appena potevano fare pochi passi verso il gruppo delle Yaonai, abbandonavano tutto e si spostavano di corsa.

Con un lampo di terrore tanto forte da mozzargli il fiato, Baliji finalmente comprese le intenzioni di quei Ka-ranta.

Volevano lui e lui soltanto, tutto il resto non importava.

Baliji lo capì quando incrociò lo sguardo gelido di uno di quei mostri e il contatto che venne stabilito con quelle pupille rosse lo fece rabbrividire.

Quegli occhi lo riconobbero subito e il mostro avvisò gli altri del suo gruppo che ancora restavano in piedi.

I Ka-ranta superstiti raddoppiarono gli sforzi per liberarsi dall'attacco delle Schegge e dei loro alleati. Si compattarono, fecero fronte comune, concentrarono i loro attacchi in un unico punto.

Intanto un altro piccolo gruppo di Ka-ranta riuscì a nascondersi dietro a quelli intenti nella mischia, si allontanarono e dopo aver fatto un mezzo giro, si misero a correre verso il cerchio delle Yaonai. Da quella parte nessuno badava a loro.

Erano cinque, avanzavano a ventaglio schiantando tutto quello che incontravano.

Nelle enormi mani, pronti a essere lanciati, avevano pezzi di ghiaccio affilati e scintillanti; in bocca denti lunghi e taglienti,sfoderati come coltelli, splendevano ai lampi.

Urlavano ebbri di follia mentre i tonfi dei loro passi sprofondavano nel terreno molle della foresta.

Le Yaonai li udirono arrivare, piantarono ben saldi i piedi in terra e alzarono gli scudi a difesa delle altre. Le fromboliere fecero girare le trecce.

Alcune Schegge si accorsero dei cinque fuggitivi e videro che si dirigevano verso il piccolo gruppo riunito a cerchio nella foresta.

Si gettarono all'inseguimento dei fuggiaschi, mentre altri giganti, resosi conto del pericolo che correvano le Yaonai, brandendo minacciosi le asce li strinsero sui fianchi per tagliargli la strada.

Una bipenne roteando sibilò nell'aria e raggiunse la gamba di uno dei cinque Ka-ranta. La tranciò di netto e il mostro di ghiaccio, schiantandosi di botto, si frantumò in terra, andando in mille pezzi.

Rimasero integre soltanto la testa, le spalle e le braccia. Le mani del Ka-ranta abbattuto annasparono disperatamente in cerca di un appiglio qualsiasi per trascinarsi ancora verso Baliji, ma la Massa che l'aveva colpito alle spalle, saltandogli addosso a piedi giunti, con un colpo secco lo schiantò a terra, frantumandolo del tutto.

Soddisfatto il Gigante di Ferro lanciò un urlo selvaggio, cruento e crudele, finché un blocco di ghiaccio lanciato da un Ka-ranta che si trovava vicino al compagno caduto, non lo colpì in pieno alla schiena.

Colpita mortalmente, anche la Massa crollò a terra a sua volta, schiantando due alberi davanti a sé.

Venne schiacciato nel fango dagli ultimi due Ka-ranta fuggitivi di quel gruppo.

Sebbene fossero entrambi feriti, resi furibondi dalla lotta e dalla fine orrenda subita dal loro compagno, si attardarono contro il corpo del nemico caduto nel fango.

Un odio atavico li portò ad accanirsi sul cadavere ormai inerme, colpendolo ripetutamente sebbene gli ordini che avessero ricevuto da Karahì in persona fossero ben altri.

Uno gli calpestò le mani, l'altro la testa e tanto bastò a perderli.

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