4c) INCONTRO NELLA FORESTA
La foresta attorno a loro era silenziosa.
Troppo silenziosa e fredda anche per quella stagione.
Da qualche tempo il sole era scomparso, le nuvole si andavano velocemente raccogliendo in cielo e, in lontananza, già si sentivano dei tuoni rombare minacciosi. Di quando in quando, improvviso e rapido, un fulmine saettava nell'aria.
Sia Baliji che il Tumbà, a un certo punto del cammino, se ne accorsero e si misero in allerta, tenendo ben in vista davanti a sé le armi.
Si aspettavano che anche quel giorno piovesse, ma non così presto e così all'improvviso e la cosa l'insospettì.
Avevano camminato a lungo. Da quando erano entrati nella foresta erano passate un paio d'ore e fino ad allora non era successo nulla che potesse nuocere alla loro sicurezza.
All'inizio avanzarono cauti, attenti a ogni passo che facevano e a ogni rumore sospetto attorno a loro, poi poco alla volta, senza nemmeno rendersene conto, vedendo venir meno i pericoli allentarono la tensione che rallentava la loro marcia e camminarono più spediti.
Con un'andatura veloce riuscirono a coprire buona parte della distanza che li separava ancora dal villaggio dei Mandi, tuttavia di quando in quando Baliji captava segnali che gli dicevano che forse non restare all'erta per tutto quel tempo era stato un errore.
Si sentiva osservato, spiato in ogni sua mossa.
Provando degli sgradevoli brividi nella schiena, si sistemò meglio lo scudo sulla schiena e, senza dire nulla al Sednor, si voltò per vedere se qualcuno li seguiva.
Non vide nessuno, non un odore, non un fruscìo, non un'ombra passeggera a dargli conferma ai suoi dubbi.
Nel punto in cui si trovavano, la selva era abbastanza rada da poter vedere in ogni direzione per una certa distanza con una buona visuale, ciononostante non si sentiva tranquillo.
Aveva la netta sensazione di essere seguito e la cosa non gli piaceva.
Il prurito alla nuca e il fastidio ai piedi gli dicevano che lui e il Tumbà non erano soli, eppure voleva arrivare il prima possibile da Mirta al villaggio Ratnor e scelse di tenersi per sé quella percezione, ma a un certo punto, sentendola troppo persistente, ne ebbe abbastanza di ignorarla.
Fece cenno a Scorza di rallentare, di aspettare.
Questi fino a quel momento non si era accorto di nulla, ma quando Baliji lo chiamò, si fece più attento.
Per la prima volta da che erano partiti, il Varego si fece avanti tenendo bene in vista la spada di Alfons.
Il Sednor, quando gli passò accanto lento e cauto, gli mormorò:
"Fai attenzione, Leta" e lui annuì, teso allo spasimo e ansimante, pronto a cogliere ogni minimo segnale di pericolo.
Fece qualche passo verso una zona più in ombra, perché qualcosa di famigliare che aveva avvertito nell'aria gli diceva di andare in quella direzione.
All'improvviso un profumo gli colpì l'olfatto, forte come un pugno sul naso.
Si rilassò non appena lo riconobbe e abbassò lo spadone.
Un sottile aroma di viole di campo e di liquirizia si sparse tutto attorno a lui e sorrise.
Non ebbe dubbi sulla sua provenienza, quello non era tempo né di viole e nemmeno di liquirizia.
Fece cenno a Scorza di abbassare l'arma, si guardò attorno; anche se non vide ancora nessuno, sapeva che non erano in pericolo.
Poi una voce ruppe il silenzio della boscaglia e pronunciò il suo nome.
Dalla penombra della selva si sentì chiamare:
"Baliji, mio signore, eccoti finalmente" gli diceva.
Era una voce di donna, delicata, tanto timida da farsi appena udire, ma lui sapeva che dietro a quella apparente gentile debolezza, si celava una forza ben più grande di quello che poteva apparire a prima vista.
Non ebbe dubbi a identificarla, era Faggiola e da come lo chiamò, pareva sollevata nel vederlo arrivare.
Quando infine il ragazzo la vide comparire da dietro un faggio e farsi avanti a piccoli passi, le fece un cenno con la testa e ripose lo spadone sulla schiena:
"Reverenda Madre, sono lieto di rivederti. Ma come sai il mio nome di cuore?" le domandò stupito.
Lei venne ancora avanti, tenendosi sempre nel lato del bosco dove l'ombra era più scura.
Era bellissima nel suo incedere, incantevole, nell'abbigliamento e nello sguardo, differente dal giorno precedente.
Indossava il mantello Tumbà, slacciato sul davanti e il cappuccio tirato indietro.
Sotto al mantello la Yaonai indossava un abito lungo, color del muschio, semplice e comodo la copriva fino alle caviglie, lasciandole ampio spazio di movimento.
Sul vestito portava una leggera armatura a scaglie di metallo, flessibile e lucente le proteggeva il petto e lo stomaco.
I capelli erano accuratamente acconciati in una lunga treccia e li teneva avvolti e raccolti a vita.
Sul fianco destro, a ogni passo che faceva, le rimbalzava una sacca che dava l'idea di essere pesante. Da essa, il giovane vide spuntare quella che non ebbe difficoltà a identificare come una pigna in metallo.
Baliji comprese subito quello cosa volesse dire quella tenuta: le fiere Yaonai erano dunque scese in guerra contro Karahì e Gioturna.
Si erano armate, avevano intrecciate le chiome e preparato le pigne da lanciare in battaglia.
Faggiola era pronta a combattere e non lo nascondeva più.
Lei stessa non si nascondeva più. Era fiera di essere una donna della foresta e glielo si leggeva negli occhi. Era cambiata, dava l'impressione di essere più determinata e decisa della sera prima.
La penombra della foresta era il suo mondo e lei si sentiva a suo agio in quell'ambiente. Era il luogo in cui era nata, quello in cui era cresciuta e avrebbe fatto qualunque cosa per difenderlo anche a costo della vita.
Era bella, elegante e regale.
Avanzava lenta, sorridendo ai nuovi venuti lieta di incontrarli ancora, benché non fossero passate che poche ore da quando se ne andò di nascosto dalla grotta.
Scorza, riconoscendola, appoggiò subito un ginocchio in terra.
Lei sorrise, imbarazzata da quel gesto.
"Mio signore Leta, sono poche le cose che in questo bosco sfuggono alle Yaonai, se lo vogliono. Di al tuo uomo di alzarsi" fece indicando Scorza "Non merito un così grande onore da parte sua".
"Con tutto il rispetto, diglielo tu stessa, mia signora" le rispose lui "E' un Tumbà, un uomo libero e ha scelto liberamente di farlo. Non sta a me impedirglielo".
Scorza si voltò a guardarlo, piacevolmente sorpreso dalle parole del Varego.
La Yaonai, altrettanto sorpresa, accondiscese.
"Alzati fido Tumbà. Riserva questo onore alla Grande Madre, se vorrai" gli disse benevola.
L'anziano servitore si levò, era smarrito. Un po' a disagio, ma contento di quello che aveva sentito, non disse più una parola.
La Yaonai fece cenno ai due uomini di seguirla.
"Venite, parleremo camminando. Per ora la foresta è sicura, per quanto comunque sia meglio non restare fermi troppo a lungo nello stesso posto".
I due uomini s'incamminarono dietro alla Yaonai e udirono lievi fruscii provenire dalla foresta, sia sulla loro sinistra che sulla loro destra.
Fugaci ombre passavano veloci da un albero all'altro, intravedendosi appena prima di scomparire ancora.
"Reverenda Madre, abbiamo compagnia" le disse Baliji e lei gli sorrise.
"Non temere, sono le mie sorelle. Ormai siamo in guerra e non è prudente muoversi da soli nella foresta. Gioturna è bloccata nella sua tana e ancora non riesce a scappare. Nonostante sia allo stremo delle forze, la Grande Madre riesce ancora a bloccarla, tuttavia non si può mai sapere. Nelle sue condizioni... tutto è possibile".
Un ombra di dolore passò negli occhi della Yaonai e la obbligò ad abbassare lo sguardo.
Baliji comprese quello che Faggiola voleva intendere: Salice che Ride stava per morire.
"Come sta la Grande Madre?" fece mesto. La Yaonai scosse la testa.
"Migliora lentamente, ma le ferite sono profonde. Ranuncolo fa quello che può, se non altro con i suoi unguenti tenta di calmarle il dolore. La vita di nostra Sorella è nelle mani di Nostra Madre Celeste".
"Saperlo mi addolora profondamente. Potessi fare qualcosa per aiutarla... ".
"La tua presenza qui è già un grande sollievo per lei, poi c'è la tua donna che... ".
"Mirta!" esclamò Baliji all'improvviso.
A sentire quel nome a lungo desiderato, l'ansia che fino ad allora aveva saputo tenere a freno, proruppe incontenibile:" Che ne è di lei! Come sta?" fece concitato.
Il suo slancio fu così preoccupato e sincero che la Yaonai, invece di offendersi e incupirsi come avrebbe fatto fino a poco tempo prima, ritrovò il sorriso e lo rassicurò.
"Non temere, sta bene e sa che sei arrivato. Come tutti i tuoi amici ha corso un grave pericolo, ma ora sono entrambi in salvo".
Baliji sbuffò di sollievo.
"La Grande Madre ha simpatia verso quella ragazza" aggiunse ancora Faggiola "La tiene accanto a sé tutto il tempo e non la lascia uscire dalla sua stanza. Credo che la voglia proteggere, lei e vostro figlio".
"Cosa mi dici di Flot, Faggiola?" domandò ancora Baliji e la Yaonai, questa volta, s'irrigidì. Fissò diritto davanti a lei e si impettì. Trasse un profondo respiro. Il volto le divenne indecifrabile e minaccioso.
Si prese un momento prima di rispondere.
Lo sguardo le vagò lontano accompagnato da un lungo sospiro, prima di farlo.
Nonostante l'evidente fastidio che quel nome le aveva provocato, Faggiola fece il possibile per non darlo a vedere.
"Soffre" disse, con malcelato piacere sebbene tentasse di rimanere imperturbabile.
"La sua ferita marcisce, il dolore che lo corrode da dentro per tutto il male che ha fatto, lo sta uccidendo poco a poco. Resta accanto a sua moglie tutto il tempo e Ranuncolo cura entrambi come può, ma ormai Flot non conta più nulla, il suo regno è finito, la sua gente, morta o dispersa che sia, gli ha girato le spalle. Anche Gioturna lo ha abbandonato, dopo che ha tentato di fermarla per salvare quei pochi Sednor che ancora vivevano".
"Capisco" fece Baliji. Annuì, sembrava dispiaciuto per il suo vecchio amico, però gli fece piacere sapere che aveva mantenuto la parola datagli come Prim Amis.
Accanto a lui Scorza non perdeva una parola e dentro di lui, segretamente gioiva.
A sentire la Yaonai gli occhi del vecchio Tumbà brillarono e un sorriso soddisfatto gli increspò le rughe del volto.
Quelle parole erano come un balsamo a lungo atteso per lenire il dolore della ferita sulla fronte e man mano che le udiva, se le gustava una a una, dolci come il miele.
Aveva avuto la sua vendetta.
Una parte almeno, per adesso, ma al momento questo bastava.
"Non dispiacerti per lui, mio Signore, non se lo merita" lo interruppe Faggiola. Era diventata fredda e determinata. Come nel Tumbà, neanche in lei non vi era traccia di afflizione per il destino di Flot.
"Ma non è di lui che mi preoccupo, ora. Piuttosto temo i servitori di Karahì. Potrebbero essercene in giro ed è meglio restare in guardia. Anche la Regina del Nord sa che sei arrivato e a causa tua teme per la vita della sorella. Non si sa cosa sarebbe disposta a fare, è disperata, potrebbe tentare di rapirti con una sortita attraverso il Mondo degli Antichi Padri e non possiamo permetterci di rischiare. Per questo dobbiamo affrettarci, mio Signore. Dobbiamo arrivare al villaggio prima che scenda la notte e metterti al sicuro".
Colto di sorpresa, Baliji provò un brivido di terrore al pensiero di incontrare ancora quelle bestie di ghiaccio che già una volta avevano tentato di rapirlo.
Non ci aveva pensato, eppure la Yaonai aveva ragione.
Si guardò attorno. Non era un caso se la temperatura era calata di colpo.
Il freddo, la stagione invernale anticipata, la neve copiosa della sera prima, il rischio che tutto questo fosse opera di Karahì c'era e nemmeno così remoto da essere sottovalutato.
Senza riflettere sfilò nuovamente lo spadone dalla schiena e lo stesso fece il Tumbà con il coltellaccio.
Il movimento gli venne naturale, spontaneo e fluido come doveva saper fare un Varego.
Sebbene avesse passato anni ad allenarsi per essere perfetto nei movimenti, sentire ancora il lento scorrere metallico della lama nella custodia gli fece impressione. Era strano, era come se una cosa appartenuta al passato, all'improvviso tornasse a essere nuova.
Era famigliare e al tempo stesso sconosciuta.
Quel sibilo affilato lo portò lontano, al tempo quando giurò a sé stesso che avrebbe usato le armi soltanto per difendere la sua vita e si domandò se quel giuramento fosse ancora valido.
Strinse forte l'impugnatura nelle mani e la sentì dura, fredda e pesante, dava sicurezza soltanto a toccarla.
La sentiva sua, era una parte di sé; un prolungamento delle sue braccia, un'unghia letale contro le dita fredde dei giganti di Karahì.
Questa volta, se i Ka-ranta l'avessero aggredito, sarebbe stato diverso. Questa volta non era inerme e avere quella superba lama con sé lo faceva sentire bene.
La fece ondeggiare avanti e indietro per sentirne la forza e la lama scintillò alla luce dei fulmini che si erano fatti più intensi.
Per un momento vide i simboli Yaonai che Alfons vi aveva inciso sopra e li recitò a memoria uno a uno.
Erano lui, erano quella lama, erano suoi, era il suo nome, la spada e l'uomo erano un tutt'uno l'una con l'altro.
Lui e la spada, la spada come un braccio lungo e potente contro Karahì e le sue belve.
Aveva promesso a sé stesso di non usarla più per uccidere, però ora le cose erano diverse; molte, molte cose erano cambiate da quando si fece quella promessa solenne a Vinland.
Quella terra era lontana, Karahì e Gioturna, no.
Allora era giovane, impreparato, quello non era ancora il suo tempo, ora sì.
L'innocenza strappata per errore in quella terra lontana a una giovane ragazza dagli occhi chiari, era ben altra cosa dalla brutale violenza che quei mostri di ghiaccio che lo volevano uccidere potevano dimostrargli se l'avessero avuto nelle loro grinfie.
Anche se il Fato aveva già tracciato le sue imperscrutabili vie, che gli piacesse o meno, lui era il Gopanda-Leta della sua gente, l'uomo che aveva deciso per il destino e come tale doveva comportarsi in ogni frangente.
Non poteva resistere ancora al destino, al Fato, alla vita che l'aspettava assieme a Mirta.
Se l'occasione l'avesse richiesto, questa volta avrebbe agito, avrebbe reagito anche a costo di rimetterci la pelle.
Anche se il Fato avesse già deciso che in quel giorno il suo tempo fosse giunto al termine, questa volta non si sarebbe tirato indietro.
Comunque, si disse per farsi coraggio, non tutto era stato stabilito e non tutto era ancora stato detto.
Faggiola ancora non sapeva dell'incontro che lui aveva avuto con Aldaberon la notte prima.
Neppure sapeva che i Sanzara avrebbero lottato al loro fianco e che la strada che attraversava il Mondo degli Antichi Padri, per Karahì e per i suoi servi era sbarrata da quei prodi.
Lui si fidava di loro, si fidava del suo avo, di suo padre, e avrebbe fatto in modo che potessero essere fieri di lui.
"Ascolta, Faggiola" le fece osservando la lama della spada "Non siamo soli".
Lei lo fissò perplessa. Non capiva.
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