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2b) DOLORE SENZA FINE

Neko, fermo sul molo davanti a Wal, ancora attendeva una sua risposta, quando un leggero tonfo li avvisò dell'arrivo dell'imbarcazione di Thorball.

Wal, sussultando all'impatto con il molo, guardò il Maestro: non sapeva cosa dirgli.

Per togliersi dall'impiccio andò a prendere le gomene che l'equipaggio di Thorballi gli lanciava.

Quando ebbe finito di assicurarle al molo, arrivò anche la barca di Fredrik.

Entrambi i capitani sbarcarono e andarono verso i due Vareghi sul molo.

Si salutarono nella loro lingua, poi Thorball aggiunse, in Tumbà:

"È stata una bella attraversata. Queste barche filano che è un piacere contro vento". La sua parlata era ancora trascinata e fortemente accentuata, ma quasi fluente. Sia lui che il suo amico cominciavano ad apprezzare quella lingua, ora che la conoscevano meglio.

Fredrik annuì.

"Bene, bene" fece Wal, mentre teneva d'occhio l'altra barca, l'ultima, Baliji, che si avvicinava velocemente al molo.

Ancora si stupiva dell'abilità che avevano acquisito Balàn e Arturo nell'approfittare di ogni filo di vento per far spostare dove volevano quel piccolo legno.

Ammainarono una delle due vele e accostarono piano.

Mirta con un'elegante virata l'ormeggiò davanti ai quattro Vareghi che la stavano osservando. Sorrise a tutti loro quando con un leggero tonfo, la sponda di Baliji si appoggiò ai pali di sostegno.

Era diventata abile a farlo e le piaceva che qualcuno ammirasse la sua bravura.

Quando salì sul molo, Wal non poté che ammettere quanto le fosse mancata e quanto fosse diventata bella in quell'ultimo mese. La gravidanza l'aveva resa ancora più tonda e florida di quanto già non fosse e un sorriso raggiante le illuminava il volto.

Si sentiva fortunato in quel momento, fortunato e incredibilmente ricco.

Lei gli andò accanto e gli passò un braccio attorno alla vita.

"Era ora che tornassi " gli fece "Tua madre ha bisogno di parlarti. Subito".

"E tu come fai... " accennò lui, sorpreso della cosa. Avrebbe voluto domandarle come facesse a saperlo lei, che era appena tornata per ultima da una giornata di lavoro, ma già bastarono quelle poche parole per indispettire la ragazza.

Da qualche tempo gli sbalzi d'umore erano all'ordine del giorno ed erano imprevedibili e improvvisi.

Si staccò da lui e si allontanò stizzita.

"Non mi credi?" gli disse, dirigendosi con passo svelto al pontile che conduceva all'Isola della Signora.

Lui non le rispose, scosse la testa e sospirò.

Sapeva che risponderle sarebbe stato inutile, inoltre avrebbe soltanto alimentato una discussione dagli effetti sicuramente ancora più imprevedibili.

La seguì sentendo alle spalle i commenti ironici dei suoi amici.

Non ci fece caso e scrollò le spalle. Tanto a tutti loro era successa una cosa simile, prima o poi.

Dopo pochi passi raggiunse Mirta e camminarono per un po' in silenzio.

Lei guardava verso la laguna, lo ignorava ancora offesa.

Ma non erano giunti a metà del pontile, che gli prese la mano e la strinse nella sua.

Le era già passata, per quanto lui fosse certo che prima di sera si sarebbe sentito rinfacciare quell'episodio come di una colpa che nemmeno sapeva di aver commesso.

"Mi sei mancato" gli disse Mirta senza guardarlo in volto "Ho avuto paura per te, oggi. Ho sempre paura quando vai là fuori".

Lui annuì, quelle parole gli toccarono il cuore e si emozionò.

"Anche tu" le disse piano, poi si schiarì la voce. L'emozione gli aveva fatto salire un groppo in gola.

"Sai di cosa deve parlarmi la Signora?" aggiunse.

Lei scosse la testa, ma indicò davanti a loro, verso la fine del pontile.

"No, ma tra poco te lo dirà lei. Guarda, arriva".

In effetti Lilith, sentendoli arrivare sul molo, era uscita dalla sua capanna.

Abbassò accuratamente la stuoia che occultava l'ingresso e fece verso i due ragazzi un discreto cenno con la mano.

Attese che si avvicinassero prima di parlare.

Quando furono a pochi passi lei chinò la testa per salutarlo.

"Gopanda, ben tornato" gli fece e la cosa insospettì Wal.

Sua madre era sempre composta e quando lo incontrava mai si dimenticava di essere una Yaonai, ma quando con lui si comportava da Signora dei Tumbà, voleva dire che le cose che doveva dirgli erano serie.

"Sì, mia Signora. Mi dicono che volevi parlarmi".

Lei annuì.

"Non io, seguimi" aggiunse solenne.

Wal aggrottò la fronte e fissò sua madre che vedendolo farsi improvvisamente sorpreso, gli sorrise per rassicurarlo.

Dentro vi erano le Yaonai superstiti e da quando erano giunte al Villaggio dei Tumbà, nessuno le aveva viste.

Nemmeno a lui era stato permesso vederle e venire ora invitato a entrare nel loro rifugio, gli fece sospettare che fosse successo qualcosa di grave.

"Non temere. Vieni" gli sussurrò Lilith.

Con un cenno la Signora fece capire a Mirta che solamente lui doveva entrare e andò verso la stuoia che aveva appena abbassato alle sue spalle.

"Sii cauto a dove metti i piedi" gli disse ancora con un sussurro prima di scomparire all'interno.

Sollevata a sua volta la stuoia, una volta scivolato dentro la sentì mormorare qualcosa a qualcuno, parole incomprensibili che ricordavano il frusciare del vento tra le foglie, poi dopo un attimo avvertì la mano della madre sulla sua.

"Seguimi, una persona ti vuole parlare" gli mormorò Lilith con un filo di voce.

Lui annuì, per quanto fosse assolutamente inutile.

Dentro era buio pesto. Nemmeno i beccucci del gas erano accesi.

Anche il foro nel soffitto era stato chiuso con delle canne e non lasciava filtrare nemmeno un filo di luce.

Soltanto la lama di chiarore che si infiltrò nella capanna dall'esterno mentre entrava gli permise di vedere qualcosa, ma prima che potesse abituarsi all'oscurità, Lilith abbassò del tutto la stuoia di giunchi alle sue spalle, sigillandone di nuovo l'ingresso.

Wal si fermò non sapendo cosa fare. La mano della madre l'aveva lasciato e la sua, ormai vuota, brancolava nell'oscurità. Per qualche attimo si sentì smarrito.

In quei primi momenti, gli occhi resi inutili dall'assenza di luce erano ciechi, ma gli altri sensi di cui era dotato gli vennero immediatamente in aiuto.

Non potendo scorgere nulla di quello che vi era all'interno della capanna, ne annusò forte l'aria e una realtà carica di profumi e aromi intensi gli invase il cervello.

Per il suo olfatto allenato, ognuno di quegli odori rappresentava emozioni e sentimenti nelle più svariate sfumature del panico e dello smarrimento.

Era circondato da sgomento e terrore.

Percepì fruscii carichi di apprensione, ansimi, ansia, paura, confusione e comprese subito da chi arrivassero questi sentimenti carichi di angoscia.

Erano le Yaonai.

Quelle creature gentili e nobili, erano terrorizzate dalla sua presenza.

Profumi disordinati di erbe ed essenze vegetali gli si sommarono violenti nelle narici, colpendolo per l'intensità con cui venivano emanati.

I corpi da cui provenivano, appartenevano a esseri disperati, stretti l'uno all'altro dalla paura.

Temevano lui.

Loro, le fiere, forti e un tempo superbe Yaonai, temevano lui che era loro amico.

Ne provò pena, per quello che erano diventate e per come Flot avesse saputo demolire pezzo a pezzo l'orgoglio che le aveva sorrette per millenni.

Nell'aria percepì anche un leggero sentore di putrefazione provenire dal fondo della capanna. Un odore dolciastro di linfa inacidita gli indicava la direzione da cui arrivava.

Probabilmente una di loro era ferita.

Avrebbe voluto aiutare quell'essere sofferente, ma capì che era una cosa che andava al di là delle sue capacità.

A quel pensiero, una sensazione simile a serpenti che aggrovigliandosi gli uni sugli altri si avviluppavano stretti, gli attanagliò lo stomaco e lo riconobbe subito.

Il suo avo, Aldaberon l'Antico, si era risvegliato e lo stava mettendo in guardia.

Per un attimo si stupì. Era già da tempo che non lo faceva, ma la cosa non lo allarmò.

Oramai riconosceva i sintomi.

Lo spirito di suo nonno si muoveva inquieto come quando voleva fargli afferrare qualcosa che ancora non aveva compreso e se lo stava aiutando, allora voleva dire che era una cosa molto seria.

Brancolando nel buio con le mani tese, mosse appena i piedi per timore di inciampare in qualche Yaonai. Avanzò lento.

A un certo punto sentì ancora il freddo contatto della mano di Lilith serrarsi sulla sua. "Vieni" gli sussurrò invitandolo a seguirla.

Essendo una Yaonai, la donna non temeva il buio e si mosse agevolmente nell'oscurità, spostandosi come se volesse evitare di calpestare quello che le si parava davanti.

Lo condusse verso il fondo della capanna.

Poco alla volta anche gli occhi del ragazzo si abituarono all'oscurità e iniziarono a percepire la poca luce che filtrava tra le canne.

Intravide delle figure addossate alle pareti della capanna, appena indefinite, immobili, eppure c'erano, ne era sicuro.

Le sentiva respirare, mormorare simili al vento, ricordandogli come nelle lunghe notti passate in solitudine nella foresta, avesse percepito il respiro delle foglie.

Poi c'erano i profumi, disordinati e intensi, mischiati uno all'altro per la vicinanza di quei corpi addossati e vicini per darsi coraggio a vicenda.

Li annusò uno a uno cercando di separarli, ma non vi riuscì.

Erano tutti nuovi e sconosciuti. Non conosceva nessuna di quelle Yaonai.

Le sentì fremere e gemere al suo passaggio. Avevano paura di lui.

Si chiese se lo vedessero oppure se ne percepissero soltanto la presenza, poi si accorse che non era di lui che avevano paura, era il suo odore quello che temevano. Si diede dell'idiota per non aver pensato prima che impregnato com'era di cenere e sudore acre e forte, portava addosso a sé l'odore della morte della loro foresta.

Non le biasimò se non volessero stargli vicino e si ripromise di lavarsi la prossima volta che avesse dovuto avere contatti con le Yaonai.

Lilith proseguì ancora, andando verso il fondo della capanna dove l'odore di putrefazione era più forte.

A un certo punto si fermò, si sedette e lo spinse a sedersi accanto a lei.

Nella scarsa luce che filtrava dalle pareti, davanti a sé Wal intravide un corpo steso a terra, ne percepì gli intensi aromi della decomposizione e del lento disfacimento.

Era una Yaonai, ne era certo.

Poi nel buio percepì un lieve movimento che sparse nell'aria un profumo che per un istante coprì quello della malattia e del dolore di quella Yaonai.

Lo avvertì forte e chiaro, erano Viole di campo e liquirizia.

Li riconobbe subito e venne colto dal dispiacere e dal dolore:

"No, Reverenda Madre! Faggiola!"

Esclamò e fece per avvicinarsi, ma Lilith lo trattenne.

Una voce calma e serena parlò nel buio.

"Sì, mio signore, Gopanda-Leta" gli disse e per un attimo il ragazzo temette arrivasse dal corpo esanime, poi si accorse che non era così, accanto a questo vi era un'altra Yaonai che al suo arrivo non aveva notato, tanto era rimasta immobile e attenta a non farsi vedere.

Ora che ne aveva localizzato la presenza, Wal tirò un sospiro di sollievo: non era dal corpo di Faggiola che emanava quell'odore di morte.

Non era lei a essere ferita e sbuffò soddisfatto. Faggiola se ne accorse.

"Giorni nefasti attendono le Yaonai, Padre di Tutti, ma il tuo affetto mi è di conforto" gli disse la donna della foresta con un tono di voce sommesso.

Nonostante non fosse ferita nel corpo, la sua voce tradiva le profonde lacerazioni che le dilaniavano l'animo.

Wal si vergognò di aver esultato e si ricompose.

"Dimmi, Reverenda Madre. Mia madre, la Signora dei Tumbà, mi ha detto che volevi parlarmi".

"Non io, mio signore" gli rispose Faggiola.

Wal non capiva.

"Chi allora?".

Una voce flebile, debole, quasi con un soffio di vita gli mormorò:

"Io, mio caro".

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