7a) IL SECCHIO
All'alba, per prime uscivano le donne dalle case, poi i pescatori con le reti, gli artigiani del villaggio e per ultimi, quando già risuonavano i colpi di ascia dei falegnami e i primi colpi di martello sulle incudini dei fabbri, ognuna con un timbro che tutti riconoscevano, i vecchi e i bambini che con il loro vociare allegro e festante riempivano l'aria di giochi. Tutto come sempre, tutto normale.
Un giorno però Aldaberon vide in distanza il padre. Fu un momento importante per entrambi. Alfons si teneva lontano dalla casa del Sanzara, a ridosso dell'ultima casa che poteva permettergli di allontanarsi rapido. Nascosto dietro l'angolo come un ladro rimase lì a lungo, spiando il figlio che sotto la veranda scriveva fingendo di non averlo visto.
Fu un momento di gioia immensa per ambedue, che finalmente potevano rivedersi anche solo per pochi istanti e da lontano. Ma alla gioia subentrò ben presto una profonda tristezza.
Anche da quella distanza Aldaberon vide che Alfons aveva un aspetto trasandato, macilento, la barba più lunga del solito e i capelli scarmigliati. I vestiti erano logori, scoloriti, la figura scarna.
Pareva un vecchio, nonostante avesse poco più di trentadue inverni. Probabilmente quello appena passato doveva essere stato molto difficile per lui, forse ancora più che per il figlio.
Non si scambiarono nemmeno un cenno.
A un certo momento Alfons si dileguò veloce al sopraggiungere di altri abitanti del villaggio e si diresse verso la sua fucina. Aldaberon lo seguì con lo sguardo finché poté. Dopo non molto sentì il risuonare feroce e selvaggio di un martello sopra a una incudine. Forte e disperato attraversava l'aria come un grido. La riconobbe immediatamente, era quella di Alfons. Quante volte da piccolo l'aveva ascoltata mentre giocava, saltando e ballando al suo ritmo con i suoi amici.
Risuonò a lungo quel battere e battere, battere, fino a quando il martello non si sfasciò o il braccio dolorante non poté più alzarlo ancora. Allora anche Aldaberon non ne poté più: si rintanò nella sua capanna e non ne uscì per tutto il resto del giorno.
Neko vide tutto, il padre nascosto e il figlio sotto la veranda, di come si parlarono a distanza con gli occhi, della disperazione che li unì. Poi quel martellare furioso e la fuga del ragazzo e provò compassione per entrambi.
Sapeva cosa si provava e le ferite che lasciava una cosa simile. Però non poteva fare nulla per quei due esseri martoriati dal destino, se non aiutarli ad accettarlo per quello che era. Mesto si mosse per ritirare lo sgabello con la cassetta della sabbia sopra. Immaginava che per quel giorno non sarebbe più servita.
Rimase un momento a guardarla, prima di passare lento la mano per cancellare quello che vi era scritto sopra.
Aldaberon, forse nemmeno rendendosene conto, vi aveva tracciato con il dito un nome sopra:
ŀ ł Ŀ ˥ L ˦ (Alfons)
Il giorno dopo, per quanto fosse difficile per lui, Aldaberon si fece forza e ritornò all'aperto. Per tutto il tempo cercò attorno Alfons, ma questo non si fece più vedere.
Fu un giorno lungo, per lui. E anche per Neko, che non lo abbandonava con lo sguardo per un momento. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma le parole gli mancavano.
Per fortuna, quasi al tramonto, quando il ragazzo stava per ritirare le sue cose per la notte, davanti alla casa del Sanzara passarono Fredrik e Thorball.
Fingevano indifferenza, anche se si vedeva che non erano passati da li per caso.
Nessuno passava per caso davanti a quella casa, adesso che era abitata.
Quando li vide Aldaberon ebbe un tuffo al cuore. Era felice di rivederli, solo che non sapeva come comportarsi con loro. Avrebbe dovuto salutarli, o fingere di non averli visti, come con gli altri.
A toglierlo dall'impiccio ci pensò Thorball, aiutato da Fredrik.
Proprio mentre passavano davanti alla veranda dove si trovava Aldaberon, il ragazzo allampanato si piazzò davanti al ben più corpulento amico, coprendolo alla vista delle case del villaggio. Thorball ebbe così il tempo di inviare un messaggio ad Aldaberon, usando il codice muto che usavano tra loro e che impararono tanti anni prima.
Si portò la mano sinistra al cuore tenendo il mignolo alzato, si toccò il naso con la mano destra, quindi abbassò il mignolo e puntò l'indice davanti a sé. Il tutto si svolse in poco più di un battito di cuore, ma fu sufficiente ad Aldaberon per carpirne il contenuto segreto:
SIAMO CONTENTI DI RIVEDERTI- COSE DA SPIRITI- PORTARE LONTANO.
Questo era il significato di quei tre gesti in sequenza. Non era possibile sbagliare. Non per lui almeno, visto che era stato lui a insegnarglieli, tanti anni prima.
Quante volte avevano riso insieme, scambiandosi messaggi in quel modo alle spalle degli abitanti ignari delle case del villaggio.
Avevano sì e no quattro inverni quando scoprì di saper parlare con le mani e subito lo insegnò ai due compari. Insieme iniziarono poi a combinare i vari gesti fra loro, in modo da ottenere frasi che avessero un senso. E molto spesso lo facevano proprio in quella casa, allora abbandonata da tutti.
Quante ore avevano passato a provare e riprovare, senza parlare se non lo stretto indispensabile per correggersi a vicenda quando facevano degli errori madornali. E allora giù a ridere a crepapelle, attirando l'attenzione di coloro che passavano nei pressi, senza capire cosa stessero ancora combinando quei tre monelli.
No, non sarebbe proprio stato possibile per lui sbagliare a capire.
Il capirlo lo riempì di gioia. Gioia e tristezza.
I suoi amici non l'avevano dimenticato, quindi. Però da quando era diventato Sanzara era pericoloso stare con lui per via degli spiriti inquieti che abitavano in quella capanna.
Come non capirli. In fondo nelle loro condizioni anche lui si sarebbe comportato nello stesso modo. La superstizione faceva parte della tradizione Varega e non poteva fargliene una colpa. Anzi, erano stati coraggiosi, erano venuti, avevano sfidato tutto e tutti per venire a vederlo e di questo gliene era infinitamente grato. Per quanto a suo tempo li avesse condannati come tutti gli altri, ora non si sentiva più di giudicarli male per quello che avevano fatto.
Dopo essersi scambiati quel cenno veloce e un sorriso appena abbozzato, Aldaberon li vide allontanarsi lenti, parlottando e bisticciando tra loro come facevano sempre.
Non c'era modo di farli andare d'accordo quei due, esattamente come non era possibile farli stare lontani uno dall'altro. Li osservò andare via con una malinconia che aveva il sapore di un boccone amaro. Gli mancavano.
Constatarlo così chiaramente nel suo cuore, fu come se un'enorme ondata del mare lo investisse in pieno petto, sbattendolo contro un muro duro e spesso. Rimase dolorosamente senza fiato e schiacciato dalla realtà.
Lui non poteva più giocare con loro, ora e forse mai più. Li aveva persi per sempre e non poteva farci nulla. Ritirò mesto la sua roba, prima di prendere lo sgabello con la scatola di sabbia e ritirarla all'interno della capanna. Quando ebbe terminato Neko lo chiamò a sé.
Aveva visto tutto e aveva capito che era giunto il momento di dire cose che ancora il ragazzo non sapeva. Lo fece sedere accanto a sè e lui, sebbene svogliatamente, lo fece.
"Non temere" gli disse " Diventerete guerrieri insieme, tu e loro. In modo diverso, certo, ma essere un Sanzara non vuol dire rompere il Legame del Disgelo. Quello resterà per sempre, se saprete conservarlo".
A sentirglielo dire, in Aldaberon si risvegliò la speranza. Improvvisamente si fece attento. Era una grande notizia per lui. Non tutto era perduto, allora. Qualcosa della sua vita precedente avrebbe potuto essere mantenuto. Non sarebbe stato come prima, ma sarebbe stato sempre meglio di niente. Sospirò soddisfatto, perché per un ragazzo Varego poche cose contavano di più dei Fratelli del Disgelo.
Il Legame del Disgelo era un qualcosa che andava aldilà della famiglia, della casa di appartenenza, del villaggio e del fatto stesso di essere Vareghi.
Era il legame che veniva a formarsi tra coloro che, nati nello stesso villaggio nello stesso anno, sopravvivevano al primo inverno di vita.
Cosa non così scontata in una terra che in inverni particolarmente rigidi e lunghi, chiedeva spesso un pesante tributo tra i nuovi nati. A coloro che passavano questa prima, durissima prova, veniva fatto un bagno collettivo nella prima acqua scongelata della nuova stagione e da quel momento diventavano Fratelli e Sorelle di Disgelo.
Era un legame fortissimo, che durava tutta la vita.
Se qualche Fratello o Sorella di Disgelo moriva per malattia o altro, i rimanenti si sarebbero presi cura della famiglia del morto come se fosse stata la loro.
Se qualche Fratello o Sorella di Disgelo avesse corso un pericolo, tutti gli altri gli sarebbero stati accanto, sempre, fino alla fine.
Se qualche Fratello o Sorella di Disgelo si fosse allontanato dal villaggio per sposarsi o per commercio o scorrerie, i rimanenti avrebbero pregato per lui o per lei fino al suo ritorno o alla sua morte certa.
Sapere di non aver perso definitivamente questo legame era importante per Aldaberon, che nelle parole del Gangi capì anche altre cose, insperate fino a pochi minuti prima. Comprese per quanto tempo non avrebbero potuto frequentarsi : fino al loro diciassettesimo inverno, quando avrebbero affrontato la prova per diventare guerrieri.
Quello appena passato era stato il quindicesimo, quindi ancora altri due dovevano passare, prima di poter incontrare liberamente sia i suoi due amici che il padre, Alfons.
Era tanto tempo per un ragazzo giovane come lui, ma comprese subito quanto fosse importante avere una speranza lontana piuttosto che non averne alcuna. E avere una speranza lo fece rivivere. Era finalmente una boccata di ossigeno dopo mesi passati a sopravvivere trascinandosi dalla brandina alla scatola di sabbia, era l'alba dopo il buio.
Ma se questi eventi lo portarono poco alla volta a reagire in modo positivo, quello che lo convinse che aveva ancora un posto nel cuore della sua gente accadde alcuni giorni dopo, quando a passare davanti alla casa del Sanzara fu Vandea.
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