6) SEGNI SULLA SABBIA
Aldaberon lo vide e parve dispiaciuto. Vedere cancellare il suo nome, così come il villaggio aveva cancellato lui dalla propria vita, lo riportò alla realtà. L'interesse si spense e insieme a quello lo stimolo ad ascoltare altre storie.
Troppo fresche erano le ferite del suo animo; troppo forte era il dolore per aver perso tutte le persone che amava in un solo giorno, perché potessero essere dimenticate così velocemente.
Trascinandosi carponi sul pavimento ritornò verso il suo giaciglio e si adagiò nel suo angolo preferito, quasi al buio. Si rannicchiò alla parete, le braccia attorno alle ginocchia tirate verso il mento.
Rimase in silenzio a lungo. Guardava il vecchio seduto di spalle che aveva ripreso a lisciare la sabbia con gesti lenti e calmi; sembrava sereno e il ragazzo sentì di invidiarlo.
Avrebbe voluto anche lui imparare a vivere così, ma soprattutto avrebbe voluto spegnere il fuoco che gli bruciava nel petto e lo riempiva di disperazione. Sperò che quel vecchio sapesse come farlo e glielo insegnasse. In fondo era la sua unica speranza, come un'àncora in balia delle correnti spera di trovare una buona roccia a cui appigliarsi per non staccarsi più.
Dal suo angolino si fece forza e pronunciò poche parole. Furono le prime dall'arrivo di Neko nella sua capanna.
"Mi insegnerai a scrivere il mio nome?" gli domandò.
Quello che vide fu soltanto il lento muoversi della testa di Neko, ma se si fosse trovato di fronte al vecchio avrebbe visto i suoi lineamenti distendersi al sentirne le parole. Un leggero sorriso gli increspò le guance e gli occhi si chiusero un momento, accompagnati da un silenzioso sospiro. Non disse una parola, ma continuò ad annuire a lungo.
Forse ce l'avrebbe fatta a salvarlo, si disse Neko.
Ormai disperava di riuscirci, quella era l'ultima cosa che poteva provare, altro non avrebbe saputo che fare.
Non si faceva illusioni, i prossimi sarebbero stati mesi difficili per entrambi e molto dolorosi per il ragazzo, però almeno aveva potuto scalfire la corazza in cui si era rinchiuso da giorni. Anche lui sapeva benissimo cosa si provava a essere strappato da tutto, affetti e certezze, senza riguardo e delicatezza da parte di chi amavi.
A suo tempo anche lui era stato un Sanzara ed era tornato come un Gopanda-Leta, Colui che aveva deciso per il Destino, ma non l'avrebbe detto ancora per molto tempo al giovane rannicchiato sul letto.
Sarebbe venuto il momento, si disse, ma non oggi.
Da quel momento i giorni passarono lenti e tristi, la bella stagione finì, arrivarono i primi freddi, infine la neve accompagnò l'inverno cupo e gelido. Aldaberon restò buona parte del tempo sopra al letto, in attesa di qualcosa che non veniva mai.
Passava dalla più cieca disperazione alla rabbia per il destino che si era accanito contro di lui. Sperava, sperava, in silenzio disperatamente sperava. Ma come aveva detto, Alfons non venne mai a trovarlo.
Ormai il ragazzo non lo vedeva da un paio di mesi.
Anche i suoi due amici non erano venuti a cercarlo, così come nessuno altro dal villaggio.
Solo alcune donne arrivavano fin nei pressi della soglia della capanna per lasciare viveri, combustibile e il secchio vuoto dei bisogni corporali al posto di quello pieno.
Per tutti al villaggio era come morto, non esisteva più. Per tutti era un Sanzara. Alfons glielo aveva detto che sarebbe successo, ma viverlo direttamente, sentirselo attaccato addosso come una seconda pelle, era un'altra cosa.
Ci voleva tempo per accettare di essere considerato diverso da tutti. Tempo, forza d'animo e volontà per andare avanti.
Per molte settimane si trascinò all'interno della piccola capanna incerto se voler continuare a vivere o meno, ma ormai iniziava ad accettarlo e la lacerante ferita che gli avevano inflitto iniziava a rimarginarsi. Quello era tutto il suo mondo, la sua nuova realtà.
Il suo unico contatto con il passato era Neko, che il più del tempo lo lasciava stare. Di quando in quando tentava di stimolarlo con storie e aneddoti dei suoi viaggi, ma sempre con scarso successo. Il ragazzo pareva svuotato di energie e di volontà, reagiva a fatica e il più delle volte con scoppi di rabbia improvvisi. Mangiava per sopravvivere e dormiva tormentato da incubi che lo facevano sobbalzare a metà della notte.
Il vecchio Neko cercava di incoraggiarlo a reagire, spiegandogli che erano i suoi fantasmi a tormentarlo, ma lui sembrava cieco, sordo e muto a tutto.
Passarono altre settimane e il tempo, come sempre accade, iniziò a placare il suo dolore.
Fuori era pieno inverno, faceva molto freddo e all'interno della capanna si aveva un po' di tepore solo nei pressi del focolare. Neko passava la maggior parte della giornata al chiuso, con una pesante pelliccia gettata sulle spalle, lisciando la sua sabbia e parlando con il ragazzo che solo poche volte rispondeva.
Era ancora pieno di rabbia e scarse erano le reazioni che provava agli stimoli del vecchio. Però ogni tanto si avvicinava alla scatola della sabbia e ne accarezzava la superficie per qualche minuto, guardandola affascinato. Passava in rassegna i simboli che erano incisi sulle pareti esterne, toccandoli alle volte con le dita, sia quelli conosciuti che quelli sconosciuti.
Pareva cercare qualcosa che non trovava. Vi passava minuti interi a seguirne le volute.
Una volta che Aldaberon vi si trattenne più del solito, Neko gli si avvicinò piano, sedendosi al suo fianco senza dire nulla. Temeva, se lo avesse fatto, di vederlo scappare via e raggiungere il suo nascondiglio, come aveva già fatto altre volte.
Invece il ragazzo rimase dov'era, incurante della sua presenza, a seguire con le dita i segni.
Neko vide la possibilità di un contatto, allora si fece più ardito.
Delicatamente gli chiese:
"Cosa stai cercando?".
Il ragazzo non si volse, seguitò a fare quello che stava facendo.
Il vecchio attese paziente fino a quando sentì una voce fievole.
"Il mio nome" gli disse "Insegnamelo".
Nella capanna faceva molto freddo, ma quelle parole ebbero il potere di scaldare il cuore del vecchio più del tiepido sole di primavera. Erano mesi che aspettava quel momento.
"In quale lingua lo vuoi conoscere?" disse, tentando di mascherare l'emozione che gli serrava la gola.
"La nostra" fu la risposta di Aldaberon.
Delicatamente Neko circondò la mano del giovane con la sua e gli fece incidere sulla sabbia tutte le lettere che lo componevano. Più volte, senza impazienza finché servì farlo. Poi vide il ragazzo provarci da solo, cercando di imitare la sequenza appresa.
Conosceva quelle lettere, i segni che tracciava non erano nulla di nuovo per lui, però l'emozione che lo pervadeva mentre li tracciava era evidente. La mano gli tremava ogni volta che avvicinava il dito alla sabbia: dovette fermarsi e inspirare a fondo prima di continuare.
Lo sguardo paziente di Neko lo lasciò fare, anche quando sbagliò e ricominciò da capo.
Più e più volte dovette cancellare tutto e riprovare, ma alla fine ce la fece.
Sulla sabbia rimasero segnate le lettere del suo nome e lui si sedette accanto alla scatola ad ammirarle.
ŀ ł Ŧ ŀ Ɨ ǁ ǂ ˥ L ( Aldaberon)
Le guardò a lungo, cercando di imprimersele nel cervello.
Solo quello gli rimaneva. Il cuore non ce l'aveva più. Glielo avevano soffocato nel dolore.
Di tutto quello che aveva prima, non gli rimanevano che quelle tracce proibite, un nome, nemmeno suo di diritto. Lui non era nulla, un contenitore vuoto da scartare. Ma ora sapeva come riempire quel contenitore, dargli forma e sostanza.
Ce l'aveva davanti il modo, quelle lettere erano lui, racchiuse in una formula magica che sapeva dargli quello che altri avevano tolto. Pensò al cinismo della sua gente, a quanto facilmente lo avessero sacrificato in nome di un bene superiore.
Al pensiero cancellò tutto con rabbia, facendo ondeggiare paurosamente lo sgabello e rischiando di far cadere la preziosa sabbia di Neko.
Nonostante il pericolo, questi non si mosse, lasciò che la rabbia del ragazzo uscisse dal suo corpo, come a suo tempo uscì dal suo.
Lui capiva il suo stato d'animo, sapeva quanto profondo fosse il dolore e grande la delusione.
Tutti gli anni passati in giro per il mondo non erano bastati a cancellarli del tutto.
Aveva accettato, imparando a tenerli sotto controllo. Aveva appreso come conviverci per non gettare tutto al vento. Lo fece a suo tempo, proprio come avrebbe dovuto fare il suo giovane allievo, se voleva avere una possibilità di vita propria.
Perché non c'era altra via che questa: passare per l'inferno e bruciare nel dolore tutto quanto per ottenere una seconda possibilità. L'unica che avrebbe mai avuto.
Ma questo sarebbe venuto in seguito e sarebbe stato più semplice. Perché il passo più importante era stato compiuto. Sotto ai suoi occhi il ragazzo aveva deciso di tornare a vivere ed egli lo sapeva. Era successo anche a lui. Aveva scelto la vita, per quanto dolorosa e imperfetta fosse, perché era l'unica cosa che ancora gli rimaneva.
Anche se non se ne rendeva ancora conto, Aldaberon aveva scelto di avere un'altra possibilità, altrimenti sarebbe morto di stenti, solo e dimenticato da tutti. Nessuno sarebbe venuto a rialzarlo.
Un piccolo miracolo era avvenuto sotto i suoi occhi e non poté trattenersi dal lasciare che una lacrima silenziosa scorresse sul suo volto rugoso.
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