14) IL POZZO
Rimase a lungo tra la vita e la morte, passando da uno stato di incoscienza a brevi spazi di lucidità.
Il tempo passò. Non avrebbe saputo dire quanto. Sognò spesso. Si rivide bambino, la sua infanzia. Pezzo a pezzo ritrovò tutta la sua vita, scandita tra una immagine e l'altra da un pozzo nero in cui cadeva continuamente. Fredrik! Thorball! Anni felici e spensierati. O almeno così aveva creduto. Finto, era tutto finto. Ogni cosa era falsa.
Perfino sua madre. Aldaberon lo capì: perfino sua madre non era quello che pensava. La rivide con gli occhi velati di lacrime prima della partenza. Piangeva per lui. Gli disse che era felice. Allora lui le aveva creduto, perché era sua madre e perché era giovane e impaurito. Le aveva creduto. Allora non poteva sapere che quelle lacrime erano quello che lei, nel suo cuore di donna, sapeva o aveva intuito. Ora Aldaberon, rivedendo quegli occhi, comprendeva che sua madre sapeva di aver partorito un uomo morto ancora prima di aver iniziato a vivere; non una persona importante aveva portato nel ventre, ma un figlio perduto prima ancora di averlo visto tra le braccia. Chissà quante volte sua madre aveva pianto da sola, sfogando la rabbia e l'impotenza per quel figlio che un giorno sarebbe partito per non tornare più. Tutto questo gli era stato tenuto nascosto: tutti sapevano a eccezione di lui.
Era cresciuto convinto di avere affetto, invece era lui desideroso di un affetto e una considerazione che gli veniva dato solo per timore delle tradizioni e di un Rammarico non appagato.
Sua madre no, non gli rimase accanto per questo, non lo fece per rispetto delle tradizioni, ma un giorno se ne andò gettando lui e il padre in un pozzo scuro di disperazione.
Un pozzo scuro come quello in cui si trovava ora. Eppure Aldaberon ritrovava ogni volta la voglia di risalirlo con le unghie e i denti per poter rivedere ancora gli anni della sua infanzia.
All'inizio, rivedersi lo spaventò.
Non appena compariva una scena perduta nel tempo, subito un pensiero, un nome, un luogo non conosciuto prendeva il sopravvento facendolo ricadere nel pozzo nero. Eppure la curiosità sempre ebbe il sopravvento. La voglia di rivedersi divenne tale, da fargli ritrovare un filo tenue di consapevolezza tra immagini disordinate e sconosciute. Non fu facile e nemmeno piacevole. Sebbene Aldaberon lo desiderasse, vedere quanta falsità, quanta finta complicità esisteva tra la gente che aveva amato, feriva la sua ingenuità di fanciullo. Tutto questo per un ricordo, un astio, un fallimento non suo.
Questo sarebbe il mio privilegio? Si domandò a un certo punto Aldaberon, in una delle tante volte che riemerse dal pozzo nero.
Solo che quella volta, nell'istante in cui si sentì trascinare in basso dall'incoscienza, percepì un ansimo di soddisfazione attorno a sé, quasi che a vederlo cadere qualcuno si sentisse meglio. Prima di sparire ancora nell'oscurità del pozzo per l'ennesima volta, per un istante vide che alle sue spalle vi era la sua gente, vi erano i Vareghi con cui era cresciuto, aveva mangiato, riso e avuto paura. Erano stati essi a scaraventarlo di sotto sospirando di sollievo vedendolo cadere al posto loro. L'avevano allevato appositamente per questo, l'avevano curato, accudito con tanto amore per non perdere la vittima che li avrebbe salvati tutti quanti. Cosa importava chi lui fosse, tanto non era nessuno, non aveva nemmeno un nome per cui venire ricordato. E nell'istante in cui rivide i volti di tutti i Vareghi, solamente pochi erano dispiaciuti.
Una era sua madre, l'unica che piangeva per quello che le avevano tolto senza domandarle nulla.
Il secondo era suo padre, vecchio e stanco, del quale provò una pena infinita per come si consumò poco a poco nel dolore, spegnendosi come una candela esausta.
Il terzo era il vecchio Gopanda-Leta, Neko, il Gangi, il vecchio uomo che aveva deciso per il destino. Lui guardava con benevolenza la caduta di Aldaberon nel pozzo nero, lo salutava delicatamente con una mano quasi volesse dirgli che l'aspettava al ritorno. Lui sapeva quello che Aldaberon stava provando.
Quel semplice gesto e quel sorriso l'incoraggiarono a riprendersi quello che era suo. Lo voleva, lo desiderava con tutto se stesso, anche se ogni volta nuovi volti gli si paravano davanti per impedirgli di uscire dal pozzo.
Eppure lui graffiava e mordeva e sprofondava i piedi in qualunque cosa potesse dargli un benché minimo sostegno nella salita; in un istante non vide più i volti dei Vareghi, si specchiò in quello di due uomini che non conosceva, che lo guardavano con severità additandolo per quello che stava facendo.
Anche se non li aveva mai visti prima, ne riconobbe i volti, erano gli altri Aldaberon, quelli che l'avevano preceduto e che ora l'ammonivano perché altri due non erano più presenti per colpa sua.
DUE!
Erano stati due, allora, non uno! Capì in quel momento, mentre si rivedeva con il coltello ancora sanguinante in mano.
Il primo Aldaberon era annegato, il secondo si era ucciso affondandosi un coltello nel petto!
I due si assomigliavano, anche se uno era l' immagine riflessa dell'altro, fluttuante e fragile al minimo movimento. Era proprio quello a essere più violento. C'era in lui una cattiveria che lo feriva, lo disprezzava, lo ingiuriava di colpe non sue.
Solo l'altro aveva qualcosa che l'attirava. Era umano, a tratti indeciso nel colpevolizzare il nuovo Aldaberon.
Anche questa volta la consapevolezza di Aldaberon durò poco.
Eppure in quel poco tempo che ebbe prima che tutto divenisse ancora scuro, sentì che non doveva guardarsi dall'unico, vero, Aldaberon, quanto dall'altro. La sua esistenza era legata alla sua morte. Per fermarlo avrebbe utilizzato ogni mezzo, come aveva fatto con gli altri.
Era lui che aveva seminato il dubbio nelle menti dei due Aldaberon portandoli al suicidio. Era lui che tentava ora la memoria di Aldaberon per allontanarlo dal primo e vero Aldaberon.
Ma lui si ribellò.
No, non voglio! Urlò annaspando disperatamente verso ogni cosa che potesse rallentarne la caduta, ma per quanto facesse continuava a scendere. Era sfinito. Resistere era inutile, ormai l'aveva capito. Per quanto facesse l' Inevitabile lo trascinava con sé e nulla sarebbe valso a fermarlo. Era troppo forte per lui solo ed era stanco di lottare contro tutto e tutti.
Si accasciò sul bordo del pozzo, finalmente libero di respirare. Lasciarsi andare, cadere una volta per tutte nel baratro del pozzo nero in cui era già caduto tante di quelle volte da non ricordarne il numero. Tanto valeva farlo subito, per poi tornare nel corpo di qualcun altro.
Quando poi decise di lasciarsi andare, ancora comparvero due mani che si aggrapparono alle sue e gli impedirono di cadere. A forza lo portarono fuori del pozzo ed erano forti, dure, sicure quanto un tempo lo furono le sue. Non sapeva se ringraziarle o morderle perché lo lasciassero andare. Voleva andare, trovare un po' di pace!
Eppure dentro di sé una voce urlava che l'Inevitabile non era dentro a quel pozzo, non lì dentro sarebbe terminata la sua vita di Sanzara. Poteva ancora uscirne se voleva, doveva soltanto crederci.
Benché l'Aldaberon fluttuante inveisse con forza verso il nuovo Aldaberon, l'unico vero Aldaberon si agitava con veemenza perché Aldaberon non mollasse la presa, perché stringesse con forza chi lo tirava e lo lasciasse fare. Lui, il primo e unico vero Aldaberon era suo alleato ed era a lui che Aldaberon doveva arrivare.
Con vera gratitudine sorrise al suo avo e lentamente si sentì trascinare da quelle mani. Se ancora una volta era stabilito che lui non si dovesse fermare per riposare, se così doveva essere, che così fosse.
In fondo al suo cuore Aldaberon era sempre stato ed era ancora un Sanzara.
Gli unici a essere veri erano il nuovo Aldaberon e il vecchio Aldaberon, colui che iniziò un Rammarico che gli impedì di riposare in pace e colui che avrebbe dovuto sanarne la ferita.
L'altro, tutti gli altri, non erano che illusioni pericolose, niente più che chimere passeggere.
Però di una cosa si rese conto.
Di Aldaberon ve ne era uno soltanto, solamente uno poteva chiamarsi in quel modo. E non era lui ad averne il diritto, era l'altro. Lui era soltanto una metà spaccata che, per trovare la parte mancante, doveva capire chi fosse.
Solo così, Aldaberon si rese conto, avrebbe trovato l'ultimo Aldaberon per arrivare finalmente al vero sé che l'attendeva da tanto, troppo tempo senza pace.
Ma per fare questo doveva dimenticare tutto quello che gli avevano insegnato, doveva diventare un'altra persona. Uscire una buona volta dal pozzo nero in cui l'avevano scaraventato e ricominciare daccapo.
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