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11b) LA POZZA

Quando fu certo di non correre più pericoli, lo sconosciuto si levò in piedi. Aldaberon fece lo stesso. Seguendolo lo vedeva muoversi agile e veloce, cambiando spesso direzione a seconda dei pericoli che il terreno presentava.

Era alto quasi quanto lui, ma il pastrano incrostato di fango gli cadeva dalle spalle, lasciandole indovinare strette e delicate. Conosceva bene quei posti. Si spostava sicuro e si diresse verso il punto dove la foresta era più vicina. Quando arrivarono su del terreno solido, lo sconosciuto parve crollare. Se Aldaberon non gli fosse stato abbastanza vicino si sarebbe accasciato in terra. Invece, vedendolo barcollare, gli cinse un braccio, ma il fango l'aveva reso troppo viscido e gli scivolò. Allora gli si avvicinò e passò al volo le braccia sotto le ascelle, cingendogli il petto. Era pieno e sodo. Dalla sorpresa mollò la presa.

Ma a quel punto anche lo sconosciuto reagì. Velocissimo si divincolò prima di crollare in terra.

"Ma..." fece Aldaberon sorpreso "... sei una donna!".

"Sì,  allora?" rispose l'altro mettendosi in piedi. "Credevi che fossi un uomo" aggiunse " Avrebbe fatto differenza, per te?".

Senza dargli tempo di replicare, proseguì:

"T'avverto" gli disse decisa "Se ti stai mettendo in testa certe idee, fattele passare subito, oppure finirai castrato prima di rendertene conto. Chiaro?".

 Per rendere più credibili le sue parole, la sconosciuta tirò fuori dallo stivale infangato un ferro troppo corto per essere una spada e troppo grosso per essere un pugnale. Fu un gesto veloce, repentino, che lo prese completamente alla sprovvista e lo portò a mettersi sulla difensiva. Era un'arma abbastanza leggera per essere adatta al braccio di una donna e venne impugnata con tale decisione che Aldaberon non ebbe dubbi che sapesse anche usarla. Lo agitava avanti e indietro, pronta a difendersi. La donna non pareva impaurita dalle armi dell'uomo, più efficaci e letali della sua. Ma Aldaberon, che da quando uccise nella terra di Vinland si era ripromesso di non farlo più, preferì schernirsi.

Si rilassò e sollevò le mani in gesto di pace.

"Calmati, io volevo dire che se avessi saputo che eri una donna sarei stato più gentile con te, solo che conciata in quella maniera... " e le indicò i vestiti, partendo dal cappuccio per arrivare agli stivali. In tutto il suo corpo non c'era un solo centimetro che non fosse gocciolante di melma color del fango.

"Perché tu credi di essere meglio, straniero? Guardati" gli fece lei di rimando.

Sapendo di non poter controbattere, Aldaberon preferì lasciar perdere.

"Che ci facevi là in mezzo?" le chiese invece, tentando con poco successo ti togliersi un po' del fango che era rimasto attaccato ai vestiti. Era bagnato fradicio e sentiva freddo. L'aria era meno ammorbata da respirare, ma la temperatura li faceva rabbrividire. I vestiti incrostati dal fango gli si appiccicavano addosso, diventando duri man mano che si asciugavano con quel po' di calore corporeo che gli rimaneva. Provò anche a pulirsi inutilmente il volto. La crosta fangosa iniziò a rapprendersi, pizzicando e tirando sulla pelle. I lunghi capelli erano diventati una massa incrostata di fanghiglia. Come era strano il clima in quelle terre, pensò.

Lui, un Varego abituato al freddo gelido degli inverni del Nord, aveva i brividi in questo clima umido e molliccio, che ti entrava nelle ossa e non ti lasciava più.

"Forse dovremmo accendere un fuoco" disse ancora alla donna che era scossa da brividi come lui "Non so cosa darei per essere in una capanna calda. Tu, no?"

La sua risposta fu:"Non sento freddo,io".

"Ah, no?" replicò lui, battendosi le mani sulle braccia per riscaldarsi "Allora stai tremando per l'emozione di avermi visto?".

Per quanto non potesse esserne certo, al Varego parve di sentire qualcosa che ricordava un sorriso, però non colse nessun movimento nel volto della donna. Non scostava mai il cappuccio dalla testa e nemmeno gli occhi riusciva a vederle.

"Allora?" aggiunse ancora il ragazzo "Hai deciso di prenderti una polmonite, visto che il fango non è riuscito ad ammazzarti".

La donna questa volta sembrò risentirsi alle parole del suo soccorritore. Ripose la corta daga nello stivale, si voltò e si inoltrò in mezzo gli alberi.

"Beh" le disse "Si può sapere che ti prende adesso?".

E lei, senza nemmeno rallentare il passo, gli fece cenno di seguirlo.

Non sapeva nulla di quella donna, comunque se il gesto che aveva fatto significava che lo portava in un posto più caldo e asciutto, lui non chiedeva di meglio. Che si tenesse pure i suoi segreti, a lui bastava un fuoco, qualcosa da mangiare e un po' di foglie secche per dormire. Si sarebbe accontentato anche di un po' d' acqua pulita e delle frasche con cui strofinarsi dopo essersi tolto il fango di dosso. Qualunque cosa insomma, purché avesse l'idea di essere asciutto, caldo e pulito. Cominciava ad averne abbastanza di quella sozzura attaccata ovunque.

Camminarono spediti tra i giganteschi tronchi senza mai fermarsi. Si vedeva che la donna conosceva alla perfezione quella zona. Non doveva nemmeno guardarsi attorno per tenersi lontana dai giganti fradici che infestavano quella parte della foresta. Se a lui era necessaria un'attenzione costante per non andarci troppo vicino, a lei era sufficiente dare uno sguardo ogni tanto per decidere se continuare per il sentiero che stavano battendo oppure svoltare verso zone più sicure. Camminarono a lungo, lasciandosi alle spalle la radura e i giganti pericolanti. Presero a salire lungo un sentiero di cui si vedevano appena le tracce tra bassi cespugli. Man mano che salirono la terra diventò più solida e asciutta e l'aria più secca mitigò la percezione del freddo sulla pelle. Il movimento e la veloce andatura lo scaldarono abbastanza da non battere i denti tra loro. I vestiti fradici, intrisi di quel fango puzzolente, erano pesanti e scomodi. I capelli gli davano una spiacevolissima sensazione sul collo.

Proseguirono almeno un'ora prima che lei decidesse di rallentare.

Sbucarono infine in una piccola radura che nel mezzo aveva una polla d' acqua scura. Tutt'attorno alla radura vi era una barriera di felci alte e fitte, attraversate da rampicanti che scendevano dall'alto degli alberi come serpenti attorcigliati ai rami. Sul terreno vi era uno spesso strato di muschio ingiallito e pochi cespi di erba piegata e molle. Tutto quel posto stava morendo. Nell'aria si sentiva nuovamente odore di putrefazione. Un tanfo di decomposizione come nella radura con le sabbie mobili.

"Dove siamo, qui?" le domandò, lei, con fare spiccio, gli indicò la polla d'acqua.

"Lavati, ma non berne. È velenosa". Poi si voltò e s'allontanò a grandi passi.

"E tu?" le gridò dietro lui "Tu non ti lavi?".

Ma lei, senza voltarsi, poco prima di sparire nel folto delle felci, gli rispose solamente: "Dopo!" lasciandolo solo, a domandarsi se poteva fidarsi di lei. Poteva sempre decidere di andarsene per la sua strada. Erano molte settimane che viaggiava da solo e se l'era sempre cavata bene, comunque un po' di compagnia non gli faceva dispiacere dopo così tanto tempo. Decise di restare e si avvicinò alla polla d'acqua, come gli aveva detto la donna. Si rese subito conto che se da lontano quell'acqua era poco invitante, da vicino era proprio disgustosa.

Era torbida, scura, puzzolente e limacciosa. Sopra di essa galleggiavano foglie ormai decomposte. La superficie ogni tanto s'increspava come se qualche animale ne abitasse il fondale. Di tanto in tanto grosse bolle di gas l'agitavano sollevandosi dal fondo, eppure era l'unica che avesse a disposizione. Inoltre la voglia di togliersi il fango di dosso era troppa, per resistere a lungo alla tentazione di lavarsi. Inginocchiandosi sul bordo della polla provò a immergerci le mani.

"Hei, è calda!" esclamò soddisfatto e divertito.

La piacevole scoperta lo invogliò a proseguire. Per prime si tolse le armi; erano sporche, incrostate come tutto il resto. Accuratamente le immerse in quel liquido spesso e le liberò del fango. Man mano che le lavava le posava accanto a sé, lasciandole sul muschio ad asciugare. Dopo che ebbe ripulito anche lo scudo che aveva lasciato per ultimo, si sfilò con cautela il pastrano e lo immerse nella polla per lavarlo alla meglio.

"Se vuoi immergiti, non c'è pericolo" gli disse alle spalle la donna, prendendolo di sorpresa. Era comparsa nella radura con un fascio di rami lunghi e sottili che lasciò cadere a terra. Lui non l'aveva sentita arrivare e la cosa l'innervosì.

Neko non sarebbe stato contento di lui in quel momento, pensò.

Quando si decise a parlarle, lei era di nuovo sparita tra le felci.

Scrollò l'indumento e lo stese sul muschio. Il sapere che poteva immergersi in quel brodo caldo non lo entusiasmava, in più lo sorprendeva la leggerezza con cui quella donna sapesse muoversi nella foresta. Poteva essere un avversario decisamente pericoloso, se avesse deciso di aggredirlo alle spalle. Però non aveva scelta, doveva decidere se fidarsi o meno. Era circondato da felci e da nessuna parte della radura era possibile trovare un punto che fosse protetto alle spalle. Decise di fidarsi dei suoi piedi che non prudevano. Era un azzardo e lo sapeva, ma la voglia di ripulirsi era troppa.

Dopo un ultimo ripensamento e un sospiro di disgusto, sfilò i vestiti e li lasciò cadere nell'acqua. Li ripulì alla meglio e li stese sul muschio.

Sopra di lui un uccello canticchiò. Non sapeva di che specie fosse, era piccolo, aveva le ali colorate di giallo e verde, il corpo rosso e la coda blu. Era un piacere guardarlo e il suo canto lo tranquillizzò. Era l'unica chiazza di colore in quel luogo moribondo.

Immerse nell'acqua un piede e poi l'altro, facendo ben attenzione a non scivolare sul fondo molle e viscido. La pozza non era profonda, l'acqua gli arrivava a malapena al ginocchio. Che differenza con le acque limpide del suo fiordo, lassù al Nord. Per un attimo ne provò nostalgia, poi ritornò alla realtà.

Per quanto ributtante fosse, se non altro l'acqua era a una temperatura piacevolissima. Era sufficiente non badare al colore e all'odore che emanava e cercare di non scivolarci completamente dentro, per il resto era quanto di più gradevole Aldaberon potesse desiderare in quel momento. Per maggiore sicurezza spostò la spada in modo di poterla impugnare in qualunque momento, come gli aveva insegnato Neko. Dopo aver guardato per un ultima volta verso le felci per essere sicuro che la donna non lo prendesse nuovamente alla sprovvista, immerse le mani in quella brodaglia e se le portò al volto. Che piacevole sensazione, sentire il fango scivolare via insieme all'acqua.

Ma proprio in quel momento di beatitudine, sentì la voce della sconosciuta alle sue spalle.

"Ti piace?" gli disse vedendolo soddisfatto.

Sorpreso lui fece un movimento brusco. Fu più l'istinto che altro a farlo scattare in quel modo, ma tanto bastò per ritrovarsi seduto a mollo un istante dopo.

Nuovamente risentito, questa volta reagì.

"Hei, tu!" le fece "Non hai visto che sono nudo?".

E lei senza scomporsi: "Non ho visto nulla che potesse stupirmi, giovane uomo. Fai pure con calma. Io ho da fare".

"Bene, allora fallo!" rispose seccato, ma nuovamente lo diceva all'aria, perché di lei non c'era più traccia.

Era sparita nel folto delle felci prima ancora che lui potesse vederla. Come unico segno tangibile del suo passaggio c'erano altri rami frondosi e lunghe felci recise posate in terra.

Oramai qualunque piacere avesse provato nel ripulirsi era svanito insieme al commento sarcastico della donna. Irato terminò velocemente di togliersi il fango di dosso. Sciolse la striscia di cuoio che teneva l'anello di Lilith al braccio e risciacquò sia l'uno che l'altra accuratamente. Mentre lo faceva, la memoria lo riportò a quando, ancora ragazzo, lei glielo diede e a quanto dolore avesse comportato arrivarne in possesso. L'averla sognata la notte prima e averne ora in mano quell'unico legame che ancora lo stringeva a lei, gli fece capire quanto tempo fosse passato da quel giorno e quanto gli mancasse sua madre. Non chiese mai nulla di lei e si comportò come se non gliene importasse più nulla, ma in cuor suo sapeva che non era mai stato così. Però sapeva anche che illudersi faceva male e che di delusioni ne aveva già avute fin troppe.

Lo rimise al suo posto con cura, legandoselo appena sotto l'ascella come aveva fatto lei tanti anni prima. Non aveva mai scordato con quanta dolcezza l' avesse fatto e la carezza che gli diede dopo. Alla luce del sole il metallo bagnato scintillava più del solito, riluceva quasi di luce propria. Era vivo, era suo, era tutto quello che restava di una parte perduta della sua vita.

Per ultimi ripulì con cura i lunghi capelli, districandoli dalla melma incrostata, poi uscì dalla pozza, fermandosi sul muschio.

Il sole, filtrando tra i rami, per quanto non molto caldo era piacevole sulla pelle e per qualche momento Aldaberon stette immobile a goderselo, finché uno sbuffo di aria fresca lo fece rabbrividire. Si chinò per prendere i calzoni, quando la voce della donna lo colse ancora impreparato.

"Già fatto?" gli domandò con un che di ironico nella voce, facendolo andare su tutte le furie.

"Ancora?" esclamò coprendosi come poté il basso ventre con i pantaloni "Ma la vuoi finire di..." aggiunse ancora, ma lei lo zittì con un gesto della mano. Imperioso e tagliente, non ammetteva repliche. Portava in braccio un fascio di felci corte, dall'aspetto soffice e spugnoso. Le gettò davanti a lui. Poi gli si avvicinò piano, fissando l'anello.

Quando gli parlò, il tono della voce era diverso. Sembrava confusa.

"Non sei cresciuto male, giovane uomo" gli chiese "Posso sapere da dove vieni e con quale nome sei conosciuto tra la tua gente?"

Benché titubante, lui glielo disse:

"Aldaberon è il nome che mi ha portato al mondo e la Varesia è la mia terra" le rispose aspettandosi una risposta secca e sbrigativa, invece lei sospirò, gli parlò in modo rassicurante. Per la prima volta la donna parve a disagio, allungò una mano quasi a volerlo toccare, poi si ritrasse. Si allontanò di un passo e si voltò.

"Strofinati con queste mentre preparo il riparo" gli disse "Sono morbide e ti asciugheranno".

"Grazie" le rispose lui tra l'imbarazzato e il riconoscente, mentre raccolse una manciata di felci e se le strofinò sulla pelle. Erano morbide e assorbivano l'acqua alla perfezione.

La sensazione di pulito e di asciutto lo calmarono un poco. Si infilò i pantaloni bagnati. Dopo essersi asciugato, avere sulla pelle il contatto umido del tessuto era sgradevole, ma l'aria si faceva rapidamente fresca. La notte non avrebbe tardato molto ad arrivare. Mentre si rivestiva, sentiva la donna armeggiare alle sue spalle.



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