10a) LA PIPA
Arrivò un mattino, alle prime luci dell'alba, quando Aldaberon se ne stava ancora nel letto a dormire. Non perse tempo a bussare. Entrò deciso, svegliando di soprassalto il giovane. Senza perdersi in preamboli gli disse:
"Alzati e preparati. Devi partire!".
A nulla valse il dirgli ciò che lui si proponeva di fare in quella giornata con il padre. Il vecchio maestro fu inflessibile, era ora di andare. Anzi, era ora per lui di andare, gli disse. Ormai mancavano pochi giorni alla Festa d'estate e lui doveva ancora terminare il suo addestramento da Sanzara.
Quando il vecchio gli fece ricordare l'imminenza della Festa le sue difese crollarono.
Se ne era completamente dimenticato, e non voleva assolutamente essere presente quando il villaggio l'avesse festeggiata.
Anche se controvoglia si alzò e si preparò. In fondo non doveva prendere molte cose con sé. Un Sanzara non ha nulla di proprio da lasciarsi alle spalle, gli aveva detto una volta Neko. Tutto quello che usa è del villaggio che lo ospita e al villaggio tornerà una volta che lui sarà partito definitivamente.
Le armi donatagli dal padre erano il suo tesoro più prezioso, i vestiti che indossava e il tascapane del viandante con quel poco di cibo che poteva contenere, erano tutto quello che portava in viaggio. Nella foresta il cibo non era un problema. Con arco, frecce e trappole avrebbero sempre trovato di che sfamarsi.
Meno di mezz'ora dopo era pronto per andare. Fuori iniziava ad albeggiare, nemmeno le donne erano ancora uscite a svolgere i primi lavori della giornata.
Avrebbe voluto salutare il padre, ma Neko disse che ci avrebbe pensato lui più tardi.
Quando furono sulla cima della scogliera il sole spuntò all'orizzonte: parve essere venuto a salutare i viandanti con il suo chiarore. Aldaberon lo accolse con un sorriso. Avrebbe dovuto essere abituato alla solitudine, eppure quelle due settimane passate con il padre l'avevano coinvolto molto più di quello che credeva.
Quando lo disse a Neko, questi annuì, pensoso.
"Lo temevo" gli disse "Per questo devi partire ora e da solo".
"Ma è crudele!" sbottò Aldaberon, cogliendo di sorpresa l'altro, che però non accennò a scomporsi.
"È vero, lo è, lo sarà molte volte in futuro, ragazzo mio. Facci l'abitudine" gli rispose, prima di allontanarsi dalla scogliera.
Quando furono abbastanza all'interno della foresta, gli disse cosa si aspettava da lui.
Avrebbe dovuto andare a Est fino alla fine della foresta, poi avrebbe dovuto cercare un albero, staccarne una sacca che ci avrebbe trovato sopra e tornare indietro. Doveva tornare prima dell'inverno, questo era tutto.
Ad Aldaberon parve alquanto stupido fare quello che il maestro gli chiedeva, però non discusse con lui e partì.
Gli ci volle tutto quello che restava della breve estate Varega e parte dell'autunno, per tornare. Arrivò alla fine di quella foresta e scoprì che oltre a essa vi era una Steppa che a perdita d'occhio si estendeva oltre l'orizzonte. Trovò l'albero che gli aveva indicato il maestro, faticò non poco a raggiungere una sacca incastrata in una biforcazione a qualche metro di altezza e poi riprese la via del ritorno. Quando partì dal villaggio la foresta era verde, al ritorno le foglie già cadevano copiose in terra. Poche settimane ancora e sarebbe arrivato l'inverno, per lui sarebbe stato il ventunesimo dalla sua nascita, ma quel lungo periodo di solitudine gli era servito. Quei mesi passati da solo nella foresta lo irrobustirono nel corpo e nell'animo. Al suo ritorno parve sempre meno un Varego nell'aspetto.
Ormai era un uomo fatto, i lunghi capelli chiari gli danzavano lungo la schiena, ogni giorno si radeva e i lineamenti del volto si erano induriti. Non c'era più molto del ragazzo spaurito che il maestro aveva incontrato molto tempo prima.
Quando arrivò una sera al villaggio, con il passo deciso, l'arco e la faretra a tracolla, la spada lunga a traverso della schiena e il pugnale alla cinta, Neko capì subito che era pronto e che il suo tempo al villaggio dell'Arcobaleno volgeva al termine. Il ragazzo doveva soltanto tagliare completamente con il passato e poi avrebbe potuto partire per il suo destino, pensò.
Prese la borsa che il giovane gli porgeva e la controllò attentamente in ogni suo particolare. Era una sacca a tracolla da viandante senza nulla di particolare. Era molto vecchia, strappata in più punti da essere quasi inutilizzabile. Sul davanti aveva ancora due legacci a chiuderla. Appena li toccò per slacciarli si strapparono.
"Quanto tempo" disse con gli occhi lucidi, mentre vi guardava dentro: "Grazie" disse "Grazie".
Ne tirò fuori una pipa di radice, con il fornello annerito e il boccaglio consumato. Se la mise in bocca come fosse una reliquia e tirò fuori della sacca un altro sacchetto più piccolo, tenuto chiuso da un laccio consunto e sporco come tutto il resto. Lo aprì e ne tirò fuori un tabacco nero, secco e annerito dal tempo, che si polverizzò al solo contatto delle dita.
Quando lo mise nel fornello della pipa e lo accese con mano tremante, emise una prima boccata di fumo acre dalla bocca con un'espressione talmente beata che ad Aldaberon sembrò molto stupido quello che vedeva.
"L'ho dimenticata su quell'albero quasi venti inverni fa e da allora non ho più fumato. Grazie Aldaberon, per avermela riportata".
Dopo di che fece sedere il giovane accanto a sé e gli raccontò la storia di quella pipa.
Quando ebbe finito, lo aggiornò su quello che era capitato nel villaggio in sua assenza.
Venne così a sapere che Vandea aveva partorito un'altra femmina e tutte due stavano bene. Fredrik ne era contentissimo e lavorava come un matto per mantenere la famiglia sempre più numerosa.
Thorball continuava a vivere con le due gemelle, che gli avevano dato altri due maschietti ed era dimagrito alquanto durante la sua assenza.
La Festa dell'estate era stata bellissima e quattro nuove coppie si erano formate tra la gioia generale di tutto il villaggio.
Aldaberon ne fu lieto. Ascoltò tutto con interesse e fu con gioia che accolse le buone notizie dei suoi Compagni di Disgelo, ma quando chiese al vecchio notizie del padre lo vide rabbuiarsi.
Allarmato chiese chiarimenti e venne così a sapere che Jynri, la donna che divideva il focolare con Alfons, era morta poco dopo la sua partenza.
"Si è gettata dal Nido ", gli disse, " Una mattina presto, ha preso e si è gettata di sotto. Alfons l'ha presa molto male. Da allora non parla più a nessuno. Mangia poco e passa tutto il tempo nel suo laboratorio a picchiettare sopra a una lastra ".
Aldaberon apprese con dolore queste notizie, anche se fu felice di essere tornato in tempo per vedere il padre ancora vivo. A detta di Neko, non avrebbe passato l'inverno. Quando lo venne a sapere era tardi, fuori era buio, tutto il villaggio si era ritirato e dormiva. Nessuno faceva visita di notte se non era strettamente necessario, tanto meno un Sanzara che viaggiava con gli spiriti accanto, così si rassegnò ad attendere la mattina seguente per andare a trovare il padre.
Nella notte sognò di Lilith, sua madre. Erano anni che non gli capitava di sognarla e quasi non si ricordava più i lineamenti del suo volto.
Anche nel sogno erano sbiaditi e la riconobbe soltanto perché sapeva! che era lei, lo sentiva nel profondo del suo cuore. Ma come spesso accade, i sentimenti della notte svaniscono al mattino. Al risveglio non ricordò nulla del sogno e nemmeno gli interessò ricordarselo.
Gli premeva molto di più andare a trovare suo padre. Poco dopo l'alba lui e Neko uscirono insieme dalla Casa del Sanzara e quando arrivarono alla Casa delle Farfalle, fu con una specie di ansia rassegnata che salì gli scalini.
Quello che trovò attorno al focolare di suo padre andò oltre a quello che si era immaginato. Neko non aveva esagerato.
Alcune donne della famiglia stavano lavorando attorno al focolare di Alfons per mettere un poco in ordine e per lasciargli del cibo cotto accanto. Lui se ne stava seduto a gambe incrociate con una coperta tirata sulla schiena, con i capelli arruffati e bianchi che gli cadevano sul volto. La barba incolta gli arrivava al petto, coprendogli malamente le guance incavate. Nonostante tenesse lo sguardo fisso sulla porta, parve non accorgersi dei nuovi arrivati. Anche quando Aldaberon gli si inginocchiò accanto non fece cenno di averlo riconosciuto. Lo fissò con occhi spenti, prima di ritornare a guardare verso lo spazio vuoto della porta.
A un certo punto si tolse la coperta di dosso e si alzò barcollando, allontanandosi senza salutare nessuno.
A uno sbalordito Aldaberon che lo guardò allontanarsi, una donna della famiglia, una di quelle che lo stava accudendo, gli disse:
"Ogni tanto ritrova la lucidità, ma per lo più si trova in quello stato. La morte di Jynri è stato troppo per lui. Stagli accanto, Aldaberon, altrimenti ci sarà un altro Rammarico sulla nostra testa".
Detto questo si allontanò toccandosi ripetutamente il naso per scaramanzia.
Il giovane uomo comprese che in quelle parole c'era un rimprovero nemmeno troppo velato per essere stato lontano così tanto tempo, ma che scelta aveva avuto lui, in tutto questo?
Se ne andò in fretta, seguito da presso da Neko che non aveva aperto bocca anche se aveva sentito tutto.
Raggiunsero Alfons che nemmeno si rese conto di avere compagnia.
Entrò nella Casa Comune e non accarezzò le due statuette di Bipenne e Ardente. Andò diretto al suo laboratorio, dove il disordine e la polvere regnavano incontrastati. Soltanto il banco da lavoro era pulito e in ordine. Sopra il bancone c'era lo stesso canovaccio unto che Aldaberon aveva visto mesi prima. Faceva freddo lì dentro, anche se Alfons non sembrava farci caso. Scoprì la lastra su cui stava lavorando e prese subito a colpirla con finissimi bulini. Un colpo alla volta e a ogni colpo vi lasciava sopra un segno.
Aldaberon prese il necessario per accendere il fuoco nella forgia. C'erano ancora legna e carbone in quantità, accatastate lì vicino alla rinfusa, in attesa di essere usate. Dal leggero crepitare delle fiamme ben presto si diffuse nel laboratorio un piacevole tepore del quale Alfons nemmeno si accorse.
Seguitò a lavorare fitto fitto, colpo dopo colpo, fermandosi solo il tempo necessario per osservare il risultato del suo lavoro e poi proseguire. Neko rimase in disparte, in silenzio, accanto al fuoco nella forgia a scaldarsi le mani e ad aggiungere legna man mano che la fiamma perdeva vigore. Era di troppo e lo sapeva.
Si rendeva conto di essere un intruso in quel momento, anche se nessuno glielo aveva detto apertamente.
Aldaberon andò piano accanto al padre e si fermò al suo fianco.
Alfons non fece cenno di averlo sentito.
Il giovane osservò estasiato il risultato del minuzioso impegno del padre. I due busti che un tempo erano soltanto abbozzati ora erano ben evidenziati. Occhi, naso, bocca erano stati incisi con una tale precisione da lasciare senza fiato chi poteva vederli.
Ombre e luci erano state sapientemente messe in risalto dalla maggiore o minore vicinanza di minuscoli punti che uscivano dalla punta dei bulini che l'artista continuamente cambiava, a seconda della necessità e del momento.
Non si poteva sbagliare su quello che vedeva. Fu talmente chiaro quello che riconobbe inciso sul metallo, che gli si strinse la bocca dello stomaco dalla sorpresa.
Come gli aveva preannunciato il padre i soggetti erano loro due, ma non come erano ora, lui un uomo precocemente vinto dalla vita e il figlio un giovane adulto in procinto di andarsene per sempre, bensì quello che furono un tempo, prima che Aldaberon tornasse dalla sua prima scorreria avvenuta quando aveva quattordici inverni.
Alfons si era riprodotto per quello che si ricordava di essere stato, un uomo forte, sicuro di sé e padrone della sua vita. I capelli gli cadevano sulle spalle e la barba era ben curata, soddisfatto di chi era e di quello che aveva accanto, lo gridava al mondo. Gli occhi lo dicevano, spavaldi fissavano diritti in volto colui che li avesse visti incisi nella lastra. Lui aveva avuto tutto questo, un tempo.
Ma quello che stupì maggiormente Aldaberon, fu la precisione con cui aveva riprodotto il suo di volto; talmente bene e in modo tale che nemmeno lui si ricordava di essere stato così.
Occhi ingenui, la bocca sorridente, lineamenti infantili che già cominciavano a modificarsi in tratti più duri, era come una crisalide in attesa di diventare farfalla, un giovane uomo con il volto da bambino. Non si sarebbe sorpreso se avesse sentito uscire una risata da quelle labbra carnose.
Alfons stava lavorando per terminare la sua immagine, facendo risaltare le pieghe del colletto del vestito che indossava.
Le due farfalle svolazzanti erano ancora come Aldaberon le aveva viste la prima volta, appena delineate, così come rimaneva da definire ed evidenziare lo sfondo, del quale si vedevano solo rari accenni abbozzati con un bulino finissimo.
Quando meno se lo aspettava, senza che avesse minimamente cambiato posizione o attività, Alfons gli chiese:
"Ti piace, ora?".
Completamente preso alla sprovvista, Aldaberon fu così contento di averlo sentito parlare che quasi gli gettò le braccia al collo, ma si trattenne. Chiuse più volte gli occhi e ringraziò qualunque dio fosse in ascolto in quel momento per il dono che gli aveva fatto. In quel preciso istante decise che non si sarebbe più allontanato dal villaggio fino a che suo padre fosse stato in vita.
Che Neko fosse d'accordo o meno, ormai lui aveva deciso.
"Sì, padre, è bellissimo" gli rispose piano, e quando si voltò per vedere cosa ne fosse stato di Neko, si accorse che se ne era andato in silenzio.
Lo ritrovò alla sera, quando tornò alla Casa del Sanzara. Stava seduto accanto al focolare, fumando la sua pipa di radica. Gli si sedette accanto e gli comunicò la sua decisione con calma e serenità. Il vecchio ascoltò emettendo lente volute di fumo, senza dire niente. Non parve sorpreso.
Quando ebbe finito di parlare, Aldaberon si aspettò di sentirlo ribattere punto per punto ciò che gli aveva detto, invece lo vide solamente annuire lento.
"Ormai non ho più molto da insegnarti" gli disse "Quello che potevo fare per te l'ho fatto. Adesso tocca a te decidere quando andare. Partiremo entrambi e faremo un tratto di strada assieme, se lo vorrai".
Quello fu tutto. Si strinsero la mano e se la portarono al cuore: avevano stretto un patto Varego che valeva più di mille parole scritte.
Nessun altro del villaggio fu messo a conoscenza di quel patto. Rimase un loro segreto.
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