Carboni ardenti.
7° Capitolo
*Harry's Pov*
Sentii il campanello suonare, così mi allontanai dalla padella che stavo lavando e andai verso la porta, pensando che Emily avesse dimenticato qualcosa. Non appena la spalancai, un ragazzo a me familiare mi si presentò davanti, con il capo chino e il capelli spettinati a coprire il viso. Le spalle mosse da singhiozzi sconnessi. Mi si strinse il cuore, temendo il peggio.
- Louis... - portai due dita sotto il suo mento, cercando di fargli alzare il viso, ma lui si ritrasse e un singhiozzo più forte smorzò l'aria.
- E-emily... è in casa? - domandò, tra un sospiro e un altro.
- No, ma se vuoi possiamo aspettarla insieme. La chiamo e le chiedo di venire qui - cercai di addolcire la mia voce. E pensare che fino a qualche ora prima non m'importava nulla se lo avessi mandato nelle mani della sua famiglia. Ma trovarlo in quello stato, non aveva fatto altro che spezzare tutte le barriere del coraggio che mi ero creato.
- N-no. Fa nulla. Non dovrei nemmeno essere qui, torno a casa - spalancai gli occhi. Tornare a casa? Come gli veniva in mente. Sobbalzai quando avvicinadomi a lui, vidi una parte di viso viola, proprio la zona che circondava l'occhio. Gli afferrai il polso e lo sentii gemere.
- Fa' piano... ti prego - allentai la presa sui polsi, gli occhi possibilmente toccarono il pavimento prima di ritornare nelle orbite. Due strisce nere circondavano il suo polso, apparentemente fragile.
- Ma cosa ti è successo? - chiesi, sapendo già parte della risposta. Tremò. Allontanò debolmente il suo polso dalla mia mano e alzò il viso. Probabilmente mi vide impallidire, dato che riabbassò velocemente il viso e fece due passi indietro. Avevo visto bene. Aveva un occhio nero e un po' di sangue incrostato sul naso. Suo padre non poteva averlo ridotto in quel modo.
- Vieni dentro, Louis - aggiunsi, cercando di ricompormi e assumendo un tono che non ammetteva repliche. Ma lui barcollò incerto e dovetti afferrarlo per le spalle giusto prima che si accasciasse al suolo.
- Ehi? Louis? -
- Non mi sento... molto bene - borbottò. Era così dannatamente pallido che pensai che i miei globuli bianchi avessero abbandonato il mio corpo per impossessarsi del suo viso.
- Calmati. Intanto entriamo, non voglio dare spettacolo al vicinato. Adesso cerca di respirare. Fai entrare l'aria dal naso e buttala fuori dalla bocca - chiusi la porta alle sue spalle e lo trascinai lentamente sul divano, mentre eseguiva i miei ordini e prendeva lente ma piene boccate d'aria. Dopo qualche minuto, sembrò riprendere colore e così gli chiesi se volesse qualcosa da bere o da mangiare.
- Direi di no, ma non ho niente nello stomaco - borbottò timido. Non gli lasciai il tempo di aggiungere altro che mi diressi in cucina, ad afferrare il resto dei pancake che mi erano avanzati. Afferrai i due tipi di salse: d'acero e al cioccolato. Poi portai il tutto su un vassoio e lo appoggiai sulle gambe di Louis, talmente fragili che pensai potessero spezzarsi sotto il peso del vassoio.
- Ti piacciono i pancake? - gli chiesi, cercando di far calmare i suoi deboli singhiozzi che persistevano a scuotergli l'anima.
- Si. Con la salsa al cioccolato sono i miei preferiti - cercò di sorridermi e gli fui grato per aver fatto anche solo una piccola smorfia.
- Come sei arrivato fin qui? - mi appoggiai allo schienale del divano, cercando una posizione che mi facesse stare comodo e mi permettesse di guardare Louis.
- A piedi - disse come se fosse la cose più semplice del mondo. A piedi? Tutta quella strada? Deve aver impiegato un'ora e mezza.
- Non c'erano autobus? -
- No. L'ultimo è partito prima che arrivassi a prenderlo -
- Ed era l'ultimo della giornata? -
- Si, ma non fa nulla, posso ritornare così come sono venuto. Dovevo solo... prendere un po' d'aria e pensavo che Emily fosse in casa -
- Non gradisci la mia presenza? - feci il finto offeso, ma lui la prese davvero a male e urlò - NO! Scusa... no, non è questo, ma hai ragione a pensare che sia una cattiva compagnia per Emily e a volermi lontano dalla tua famiglia. Se fossi un'altra persona, mi allontanerei io stesso -
Scossi il capo, contraddicendolo - No, non è così. Non penso che tu sia una cattiva compagnia per Emily. Tutto questo non è colpa tua, ma ci sono azioni che fai, che non mi stanno particolarmente a genio. Le ho già passate con Emi e vorrei semplicemente non riviverle -
- E' come camminare sui carboni ardenti... - sussurrò e faticai a sentirlo.
- Cosa? -
- Dico... certe volte, rivivere dei ricordi è faticoso tanto quanto camminare sui carboni ardenti -
- Esattamente. Ma non per questo ti chiuderò fuori dalla vita di Emi -
- Suppongo dovrei ringraziarti... -
- No... io suppongo che dovresti spiegarmi perchè lasci che ti facciano questo. Puoi pure alzare il viso, ti ho già visto - bloccò il gesto di tagliare un pezzo di pancake e alzò il viso, puntando il suo sguardo nel mio. - Non posso andarmene - balbettò.
- Puoi, ma non vuoi -
- Voglio, ma non devo -
- Non devi? Ti obbligano? - scosse il capo e appoggiò il vassoio sul posto libero del divano, dopo di girò verso di me.
- Ti è mai capitato di sentirti tirare da mille lacci? Tutti intrecciati attorno a te? Tutti che tirano in direzioni diverse e tu te ne stai al centro, sballottato da una parte all'altra? - annuii, così che potesse continuare - Bene, immagina se quei lacci fossero intrinsechi di acido e corrodessero ogni punto in cui venissero a contatto con la tua pelle. Arrivi al punto in cui cedi sulle ginocchia e non ti alzi più -
- Non ti alzi perchè non vuoi, non perchè non puoi. Il dolore ci può scalfire l'anima, ma se si vuole, si può avere la forza di sollevarsi e remare contro il dolore -
- No, non puoi. Perchè il dolore uccide tutto. Il dolore brucia ogni cosa che ti tiene in vita e non ti puoi alzare -
- Cazzate Louis. Il dolore potrebbe pure indebolirci, ma possiamo sempre fare qualcosa. Se non la si vuole fare, allora ci si lascia sopraffare dal dolore. Emily era un sfera di dolore che si librava nell'aria. Guardala ora. Sta sbocciando come una rosa -
- Emily non è sola -
- Nessuno lo è - mi stavo innervosendo. Dovevo mantenere la calma, ma un mio difetto era avere ragione sulle cose di cui ero convinto.
- Io lo sono - anche lui si era innervosito, alzandosi dal divano e percorrendo qualche passo avanti a dietro. Poi si bloccò davanti a me, cercando di calmare il respiro. - Cosa pensi? Che mi piaccia nuotare nel dolore? -
- Si, sennò scapperesti via -
- Non posso scappare! Quei fottuti lacci mi tengono attaccati a una parete! Non posso staccarli! - sbraitò.
- Tu non vuoi farlo! - mi alzai, coprendo la sua figura con la mia.
- Smettila di dirlo! Non è vero! -
- E allora perchè resti in quella casa? Perchè fumi? Perchè bevi? Perchè ti droghi? -
- Perchè la mia vita è una cazzo di montagna russa senza cinture, senti protezioni. Un continuo oscillare tra il pericolo, la morte e il dolore. Perchè queste sono le uniche cose che mi mantengono in vita su questa giostra e non posso scendere senza andare in mille pezzi. Non posso saltare nel nulla! -
- E' un nulla che tu ti sei creato! - avanzai verso di lui, premendo il mio indice sul suo petto e vedendolo indietreggiare, con la paura e il dolore negli occhi - E' un nulla che tu hai voluto che si cibasse di tutto quello che ti circonda! E' un nulla di cui ora non puoi farne a meno perchè semplicemente sembra essersi già impossessato di tutto quello che avevi. Non dire cazzate. Non dire che le canne ti mantengono in vita perchè ti stanno uccidendo. Non dire che l'alcol ti serve a qualcosa, perchè l'incoscienza non è ne' un bene nè un male. Una maledetta via di mezzo, ecco cos'è! Una linea neutrale! E tu sai cosa succedeva nella Divina Commedia, agli angeli che non stettero nè dalla parte di Dio, nè da quella di Lucifero? Venivano obbligati a correre dietro a delle bandiere, con le vespe e i mosconi che li pungevano, il sangue a rigargli il volto, a mescolarsi con le lacrime e a raccogliersi sui piedi, dove c'erano i vermi a cibarsi di quel miscuglio! Ma quegli angeli avevano scelto di voler essere neutrali! E tu stai scegliendo solo le cose che ti uccidono piuttosto che mantenerti in vita. Pensi che fra cinque anni starai meglio grazie all'aiuto di queste sostanze? Pensi che dentro di te sarai integro? Te li apro io gli occhi, Louis. Fra cinque anni, sarai cenere. Sarai dentro una lapide. Senza ossa. Senza organi. Senza vestiti. Fra cinque anni nessuno si ricorderà di te. Lo faranno solo per i primi giorni, quando il paese parlerà di un giovane ragazzo che appena maggiorenne aveva già bruciato la sua vita. E non daranno colpa ai genitori, all'alcol o alla droga. Daranno colpa alla tua debolezza. Perchè non stai facendo nulla per combattere. E allora arrenditi, ma non dire di essere solo. Non dare la colpa a nessuno. Puoi scappare, se vuoi. Puoi ancora liberarti dalle corde e dai vizi. Puoi trovare qualcuno pronto a difenderti, proteggerti... ma non vuoi. Ma sappi che in questa linea neutrale, ti troverai davvero male - restai a fissare un ragazzo, completamente in lacrime, con il dito a mezz'aria e lo sguardo ancora furioso verso di lui. Mi calmai, quando notai che lo avevo davvero distrutto con le mie parole, ma prima di aggiustare un vestito, bisogna scucirlo del tutto. E io lo stavo facendo.
Si lasciò cadere a terra, con il volto tra le mani e i singhiozzi potenti. Indietreggiai fino a sedermi sul divano, con il mento sulle mani che creano una base d'appoggio grazie ai gomiti puntati sulle cosce. E i lividi che Louis aveva ai polsi, non mi erano mai sembrati così neri. Il suo volto così nascosto, ma pallido e tremolante. E non avevo più nulla da dirgli, gli avevo già aperto gli occhi, non potevo tirarlo fuori. Lui doveva farcela da solo. Perchè il dolore è una barca che ti può portare sul fondo e non farti risalire più, ma può anche essere quella barca che riemerge, se fai qualcosa per farla muovere. E quella barchetta era troppo piccola per due persone.
- Vuoi ancora piangerti addosso o ti decidi a farti forza? - chiesi, piuttosto acido. Volevo scusarmi con lui... ma c'era qualcosa che mi diceva che era il momento di usare la forza e non la dolcezza.
- Ti stai frantumando ai miei piedi - aggiunsi.
- Se vuoi vado a frantumarmi fuori -
- Non capisci che non voglio propriamente che ti frantumi? -
- E allora cosa vuoi da me? - singhiozzò, cercando di asciugarsi le lacrime sulle guance.
- Farti capire che non sei solo! Cazzo, mi vedi? Sono qui e sto cercando di farti ragionare -
- Lo stai facendo nel modo sbagliato. Non è buttandomi altra merda addosso che riesco a uscirne fuori -
- Non è merda Louis, sono pezzi di corda. Se sei bravo fai dei nodi e afferrala fino a tirarti su, sennò usala per farti del braccialetti decorati o una cintura - non ebbi il tempo di dire altro che il portone di casa si aprì.
- Haz sono a casa... ma che cavolo è successo qui? - Emily lanciò la borsa a terra e corse verso Louis, abbracciandolo. Poi si allontanò, osservando ogni livido visibile che gli copriva il volto o i polsi.
- Jessy stasera non torna a cena. Io sto uscendo per andare a comprare qualcosa. Louis cena qui stasera, poi lo accompagnerò personalmente a casa, fino alla porta della sua stanza. Voglio conoscere i suoi genitori - imposi, alzandomi e lisciando la stoffa arricciata dei jeans.
- No! No! No! Non voglio che tu entri a conoscerli. Non voglio nemmeno cenare qui. Torno a casa a piedi se è necessario - pianse Louis, ma il mio sguardo non ammetteva repliche.
- Sai cosa devi fare - dissi, rivolgendomi a Emi che mi aveva capito al volo. Afferrai le chiavi e il fortafogli, diretto a casa di Josephine.
* Emily's Pov*
Ero piuttosto tranquilla dopo la passeggiata con Alex. Mi ha accompagnata fino a casa, prima di ritornare alla propria. Non avevamo aperto discorsi particolari, abbiamo parlato del più e del meno, ma ritrovarmi Louis sul pavimento del salotto, scosso dai singhiozzi e un Harry seduto sul divano a guardarlo, mi aveva fatto salire una preoccupazione indescrivibile. All'inizio pensai che lo avesse gettato a terra, ma una parte di me sapeva che Harry non era il tipo che faceva queste cose. Poteva lanciare qualche battuta acida, poteva stroncarti, poteva farti perdere l'uso della parola perchè ne bastavano poche per farti stare zitto, ma non era un tipo estremamente violento se non verso le persone che osavano fare del male a chi amava. E non mi era sembrata tanto cattiva l'idea di accompagnare Louis fino alla sua stanza. Harry, probabilmente, avrebbe potuto intimorire un po' i genitori di Louis, minacciarli facendogli sapere che lui era a conoscenza di tutto, oppure questa cosa poteva opporsi al ragazzo che ancora piangeva abbracciato a me, perchè i genitori avrebbero potuto fargli più male, avrebbero potuto costringerlo ad andare via, gettandolo in mezzo alla strada o facendogli abbandonare direttamente lo stato. Poteva sembrare esagerato, ma se erano arrivati a picchiarlo, non so che limiti avrebbero potuto avere.
- Louis stai calmo, ci sono io qui con te adesso -
- Emi... non voglio che Harry parli con i miei genitori. Si sta cacciando nei guai, mio padre non è il tipo che ama dialogare e nessuno deve sapere quello che mi succede - singhiozzò. Gli strofinai la schiena, con il palmo della mano aperto e cercai di rassicurarlo.
- Proverò a convincerlo, ma adesso prova a calmarti, cerchiamo di fermare le tue lacrime. Hai mangiato? Posso prepararti qualcosa -
- No, grazie. Ho mangiato due pancake, il resto è rimasto sul piatto, sul divano. Posso avere solo un bicchiere d'acqua? -
- Puoi averne anche due - ridacchiai, cercando di smorzare il clima freddo. Portai Louis in cucina, facendolo bere e poi gli feci sciacquare il viso, per eliminare le tracce di pianto. Decidemmo di guardare un film, ma dopo nemmeno mezz'ora, Harry era di ritorno e non da solo, ma in compagnia. Non mi sembrava il momento migliore, costatando che Louis fosse qui e che avesse una presunta cotta verso mio fratello. Sospirai e ruotai gli occhi al cielo, perchè a volte sembrava agire con i piedi e non con la testa?
Lo aiutai a portare le buste in cucina, poi mi presentò la sua amica.
- Piacere sono Josephine -
- Piacere mio, sono Emily - mi sorrise e mi abbracciò, mentre io le avevo gentilmente offerto la mano. Cercai di ricambiare l'abbraccio, ma era così piena di energie che giusto prima di poterla abbracciare si era già staccata. Restai con le mani a mezz'aria e poi cercai di concentrarmi sulla figura di Louis che ci guardava dal divano del salotto, con lo sguardo afflitto e una mezza smorfia al posto di un sorriso smagliante.
- Posso aiutarvi? - mi chiese Josephine.
- Non preoccuparti, per stasera sei un'ospite - ma lei sembrò non ascoltarmi e gentilmente afferrò le cose che gli passò Harry. - Sarò pure un'ospite ma non mi sembra giusto essere qui e non dover dare una mano - scomparve dalla cucina, andando a posizionare la tovaglia e le posate sul tavolo. Io mi avvicinai ad Harry, scrutando il suo sorrisetto compiaciuto.
- Non avresti dovuto portarla qui - borbottai.
- Perchè? E' una ragazza dolce e inoltre stasera avevo un mezzo appuntamento con lei e non mi sembrava giusto disdire del tutto -
- Lo so... sembra una ragazza dolce, ma abbiamo già un problema, ovvero quello di Louis. Inoltre... non mi sembra il caso che tu salga fino al suo appartamento -
- Non m'importa. Ci salirò lo stesso, tu resterai in auto -
- Nemmeno per scherzo. Se sali tu, salgo io, punto. E adesso vado a presentare Josephine a Louis... ma prima, dimmi una cosa... ti piace tanto quella ragazza? - lui sorrise e le guance gli andarono a fuoco. Era cotto!
- Diciamo che la nostra relazione è piuttosto intima... - balbettò. - Non posso crederci! Siete scopa-amici! - sibilai, ridacchiando. Lui sgranò gli occhi. - Hai finito di mettermi in soggezione? E poi cosa sono queste parole? Vai da Louis, vah! - mi spinse delicatamente fuori dalla cucina, ma avevo già capito che Josephine gli piacesse o non l'avrebbe mai invitata a cena a casa nostra. Non l'aveva mai fatto con le sue amiche.
Andai da Louis e controvoglia lo presentai a Josephine. Era una ragazza davvero molto carina. I capelli scuri incorniciavano il viso chiaro. E se i capelli erano castani, gli occhi lo erano di un'intensità maggiore. Castano scuro ma con sfumature dorate. Semplici, ma meravigliosi.
- Louis... non dovresti distruggerti a guardarla così - gli sussurrai, notando come i suoi occhi lucidi si erano posati sulla figura pimpante di Josephine che aveva velocemente guarnito la tavola. Il corpo snello che si muoveva facilmente tra le sedie posizionate in modo scomposto. Louis non mi ascoltò e continuò a fissarla fino a quando Harry non arrivò dalla cucina, annunciando che la cena era quasi pronta. E prima di poter anche solo trascinare Louis dal divano, vidi mio fratello sussurrare qualcosa all'orecchio della ragazza, poi prenderla per i fianchi e infine baciarla. Non ci pensai due volte, afferrai Louis per il braccio poi lo voltai verso di me, abbracciandolo. La sentii... una fredda lacrima scontrarsi con la pelle calda del mio collo. Solo una che poteva benissimo passarmi inosservata... ma la sentii.
- Andiamo a lavarci le mani - sussurrai a Louis, prendendogli la mano e trascinandolo fino al bagno del secondo piano. Poverino... tante delusioni in così poco tempo.
- Stai meglio? - gli chiesi, facendolo sedere sulla tavoletta del water. Mi guardò spaesato e sbattè più volte le palpebre, scacciando le lacrime che avevano velato gli occhi. - Si, si. Ora mi riprendo e scendiamo giù - non provò nemmeno a dirmi che non stava piangendo a causa di quel bacio. Non provò nemmeno a farmi cambiare idea sulla sua cotta. Lo stava silenziosamente ammettendo, lasciando l'evidenza ai fatti. Dopo due minuti scarsi, gli occhi di Louis erano quasi ritornati limpidi, se non fosse stato per l'occhio nero. Ero sicura che Harry, prima di venire a casa, aveva accennato qualcosa sullo stato fisico di Louis, dato che Josephine non sembava per niente turbata o sorpresa e non aveva nemmeno fatto domande dopo averlo visto.
Scendemmo in salotto, Harry e Josephine ridacchiavano, ma ci avevano aspettato piuttosto di prendere qualcosa da mangiare. Lanciai un sorrisetto a mio fratello, mi dispiaceva per Louis, ma ero felice per lui. Spartimmo le nostre porzioni di patatine e cotolette, mentre Louis pizzicava il cibo piuttosto che mangiarlo. Aveva si e no ingoiato tre forchettate di pollo e due patatine. Ma nessuno, tranne io, sembrava averci fatto caso. Forse era questa eterna invisibilità che lo faceva sentire solo. Anzi, tolgo il forse. Era sicuramente quella.
Dopo una cena piuttosto silenziosa, se non per i dialoghi della nuova coppia, aiutai a lavare i piatti e poi mi andai a sedere sul divano con Louis, cercando di distrarlo dagli schiocchi di baci che arrivavano dalla cucina. Se solo si fosse girato, avrebbe potuto vederli, ma preferiva fare finta di niente ed evitare di auto-crearsi dolore.
Riuscimmo a vederci un film intero che se non mi sbaglio parlava di un cane che veniva preso da una famiglia e poi moriva, lasciando comunque il suo ricordo in quella famiglia. Era un film talmente bello che dovetti distrarmi per non piangere. Louis, al contrario mio, si era addomentato a metà film, con la testa appoggiata alla mia spalla e la mia mano nei suoi capelli. Harry e Josephine avevano passato un po' di tempo al piano superiore e non volevo nemmeno cercare di capire il perchè. Involontariamente lo avevo già capito. Forse era lei la ragazza che era nel suo letto il giorno del mio compleanno. Evitai di pensarci ancora e mi concentrai sui passi che ci raggiungevano.
- Sveglia Louis, andiamo ad accompagnare Josephine e poi lui. Tu vieni con noi? - mi chiese Haz, cercando di aggiustare i capelli e nascondendo il rossore sul suo viso. Oh piccolo Haz, se solo non ti conoscessi così bene, non immaginerei nemmeno cosa hai appena fatto, pensai.
- Certo. - tirai delicatamente su Louis, svegliandolo e invitandolo a mettersi un giubbotto che non avevo nemmeno notato fosse suo. Era su un divano, messo alla rinfusa. Il ragazzo, sbadigliò e sbattè gli occhi assonnati prima di tirarsi su. Entrammo in macchina e il nervosismo di Louis lo percepivo benissimo dal tremolio della sua gamba.
Arrivammo davanti una casa bianca e prima di scendere dalla macchina, Harry baciò Josephine, tanto bene che riuscii a vedere il passaggio della lingua da una bocca all'altra. Louis, che sedeva al centro e aveva una completa e piena visuale, si scostò sul sedile di sinistra e si concentrò sulla case che si vedevano dal finestrino. Poi la ragazza ci augurò la buonanotte e scese dalla macchina. Presi il suo posto e partimmo verso la casa di Louis. Per tutto il tragitto i due ragazzi battibeccarono sul fatto che Harry non dovesse scendere e accompagnarlo, ma nessuno poteva fargli cambiare idea. L'ansia era arrivata alle stelle, quando ci trovammo proprio di fronte al portone della casa di Louis, che si erano ancorato al mio braccio e tremava visibilmente.
- Peggiorerete tutto - riuscì a dire poco prima che suo padre aprisse la porta e lo trascinasse violentemente dentro.
- Dove sei stato tutto il giorno? E perchè ogni volta porti sempre gente? Ti sembra un hotel questo? - gli urlò in faccia, schiaffeggiandolo subito dopo, talmente forte da farlo cadere a terra. Harry si buttò sull'uomo - Ma che cazzo fa? E' impazzito? Non deve minimamente osare fare una cosa del genere! - e accompagnò le parole con un pugno sulla mascella dell'uomo che indietreggiò, ma restò in piedi. Portai le mani alla bocca e raggiunsi velocemente Louis, che strofinava lentamente una mano sulla guancia.
- Ma chi sei tu ragazzino che osi pure mettermi le mani addosso? Io ti denuncio e ti faccio portare in prigione! Sei in casa mia! - gridò il padre di Louis.
- Papà basta, ti prego! - urlò quest'ultimo, tirandosi su e afferrando il braccio del padre.
- Harry per favore esci! Uscite tutti e due, per favore! - ci urlò contro, ma il padre si liberò subito della sua stretta. Mi accorsi che non era pienamente lucido, forse aveva bevuto.
- Questo ragazzino non esce da qui se non capisce che non deve mai più osare alzarmi le mani! - afferrò Harry dal colletto del giubbotto e lo trascinò fino al muro. Incazzata più che mai mi feci avanti, anche se non potevo fare granchè.
- Se non lasci immediatamente mio fratello, sarai tu a finire in prigione! - gli urlai, strattonandolo per il braccio, ma non mollava la presa e Haz sembrava soffocare. Louis passò dalla piccola fessura tra i due corpi e fu faccia a faccia con suo padre. Vedevo il terrore nei suoi occhi, ma fece desistere la presa su Harry e allontanò il padre. - Ho detto basta. Hanno capito, se ne stanno andando, ma devi lasciarlo per farlo andare via! - gli gridò. Afferrai Harry, facendolo respirare profondamente, mentre vedevo Louis essere afferrato per il polso dal padre e strattonato. I suoi occhi azzurri terribilmente lucidi e colmi di pianto.
- Non osare mai più far venire qualcuno qui e non abbiamo ancora finito il discorso di questa mattina. Non hai ancora capito le regole di questa casa! -
- Mi fai male - piagnucolò il ragazzo. Sentii un nodo all'altezza della gola. Ma cosa cazzo sta succedendo?
- Hai capito cosa ti ho detto? - urlò di nuovo l'uomo, in faccia al figlio. Lo costrinse a inginocchiarsi. - Hai capito? -
- Si, si ho capito. Dobbiamo continuare quel discorso, va bene - suo padre ci degnò di un'ultima occhiata, ci urlò di uscire di casa e se ne andò in cucina. Camminai verso Louis, inginocchiato al suolo, ma lui mi bloccò. - Vi prego... andate via, non voglio che vi faccia del male - tossì e si alzò, strofinando delicatamente il polso. Tirai Harry via, facendogli segno di uscire.
La madre di Louis sbucò dalla cucina e ci accompagnò fino alla porta. Prima di chiuderla vidi suo figlio entrare in cucina. Subito dopo si sentì un botto, un pianto e qualcosa che andava in frantumi. La madre si affrettò a chiudere la porta mentre io cercavo disperatamente di fermarla.
- Gli faranno male! Haz gli faranno male! - urlai, sbattendo i pugni sulla porta.
- Emi... mi dispiace ma non ci apriranno mai... -
- Chiama la polizia, ti prego! - senti qualche lacrima bagnarmi il viso, ma Haz scosse il capo e mi trascinò via. Cosa stava facendo?
- Dobbiamo aiutarlo - dissi, cercando di staccarmi da lui.
- Non possiamo farlo Emi. Qualcosa mi dice che c'è un motivo preciso se deve restare in quella casa, e non è la paura. Dobbiamo parlare con lui, prima di toglierlo dalla famiglia. Se davvero qualcosa lo obbliga a stare lì, noi dobbiamo eliminare l'obbligo o lui potrebbe non perdonarcelo o perdonarselo mai - mi feci abbracciare e trasportare in macchina, mentre le grida andavano a dissolversi e il palazzo a rimpicciolirsi, sfumando in un semplice edificio.
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