Anche Londra piange e sorride.
2° Capitolo
* Se volete potete ascoltare questo capitolo con una canzone lenta o che vi faccia riflettere. Io l'ho ascoltata con una canzone suonata solo col pianoforte. <3
Se non volete leggere lo spazio autrice, sappiate solo che ho scritto un libro che uscirà a Dicembre. Qualcuno e' interessato a comprarlo? Fatemi sapere così vi scrivo nella mia lista personale <3 *
Flashback.
- Emi... - sussurrò Harry, accorgendosi della mia presenza impalata sul ciglio della porta.
- Scusate - richiusi quel pezzo di legno che mi aveva appena bloccato la crescita.
Fine flashback.
Scossi il capo e cercai di non pensarci più. Ma non era facile cercare di dimenticare la scena di tuo fratello nudo, sul corpo di una presunta ragazza, a darci dentro. Che schifo! Fortuna che non ero riuscita a vederla in faccia o non so come avrei reagito ogni qualvolta l'avessi vista in giro. Ringraziai il cielo per aver fatto andare il resto della festa a gonfie vele. Harry era uscito da quella stanza solo per farsi una foto con me e la torta, ma non avevo visto nessuna ragazza con lui. Fatto sta che il giorno dopo a scuola, Niall non faceva altro che parlarmi di quella festa e anche il giorno dopo ancora. In poche parole passai quei due giorni solo con Niall. Harry era sempre fuori casa. Rientrava tardi e dormiva davvero pochissimo. Il tempo di accompagnarmi a scuola e quel "a dopo" stava a significare che avrei potuto parlargli la mattina seguente. Secondo me continuava a stressare troppo il suo corpo, ma non mi ascoltava. Arrivò il sabato e così dissi a Niall di uscire. Saremmo andati in un pub, in fondo Harry era già uscito di casa e sarebbe tornato solo alle 5 e passa del mattino. Jessie non aveva obiettato, piuttosto mi ha detto "Divertiti tesoro! I giorni passano e più passano, più ti penti di tutto quello che non sei riuscita a fare fino a oggi". Considerando che sapesse quasi tutto quello che ho passato, non si era fatta scrupoli a farmi creare una vita sociale. Spesse volte litigava con Harry su questo argomento, ma lui era sempre propenso a dire che "No, non mi fido degli altri per lasciarti uscire". In questo modo non sapeva che mi avrebbe spinto a fare le cose di nascosto. Doveva smetterla di proteggermi con delle pareti di vetro. Sarei potuta scoppiare da un momento all'altro e sarei finita per farmi del male comunque. Possibilmente tutte le schegge di quelle pareti, mi si sarebbero infilzate addosso.
Infilai un vestitino nero che arrivava fino a metà coscia. Non mi si vedeva il sedere, quindi non potevano nemmeno definirmi cordialmente "poco di buoco". Indossai delle scarpe nere col tacco e passai del leggero trucco sul viso. Lasciai i capelli al vento, sapendo che una volta che avessi iniziato a ballare, molte ciocche si sarebbero appiccicate al collo o alle spalle sudate.
Scesi le scale, diretta alla porta principale, una volta che Niall mi mandò il messaggio. Erano le 9 di sera e il vento freddo ti prendeva a schiaffi sul viso.
Afferrai la maniglia e contemporaneamente spostai i capelli tutti su una spalla, ringraziando il coprispalle che mi ero messa per attutire il cambiamento di temperatura.
La porta fu scossa, come se dall'altra parte qualcuno stesse compiendo la mia stessa azione. Pensando che fosse Niall, mi feci indietro e aspettai che fu del tutto spalancata, per trovarmi l'immagine di Harry piuttosto sorpreso di vedermi lì e di Niall a qualche metro dall'ingresso. Il primo cambiò espressione, fissandomi furioso. Il secondo, sapendo cosa stava per succedere, si strinse nel giubbotto nero e si appoggiò a un muretto, attendendo la sfuriata da parte di mio fratello.
- Cazzo... - biascicai.
- Cosa stai facendo? -
- Non è chiaro? Sto uscendo... l'ho chiesto a Jessie e mi ha detto di divertirmi. E prima che tu possa anche solo dire una parola, non ho intenzione di combinare pasticci e tantomeno di restare a casa. So quello che faccio - feci per superare Harry, ma mi bloccò per il polso. La sua mano grande circondava il braccio e il suo calore si impossessò anche della mia pelle. Fuori si gelava e lui invece traspirava caldo. Era sempre stato così. Quando ero piccola, spesse volte mi capitava di chiamarlo "stufetta personale". Giocavo a premere un pulsante sulla fronte per azionarlo e lui sfregava le sue mani sulle mie braccia per infondermi calore. Quando ripremevo il pulsante, lui si fermava e inziava a ridere. Sorrisi a quel pensiero, poi tornai a concentrarmi sulla figura alta e tremante di Harry. Solo in quel momento notai i capelli un po' bagnati e anche parte della maglietta e dei pantaloni.
- Non sai quello che fai Emi e... -
- Allora, abbiamo avuto la stessa discussione pochi giorni fa, per il mio compleanno. Mi dispiace non essermi fidata, ma ora è diverso. Ora non c'è nessuna festa a sopresa. Ora ho capito che se continui a proteggermi con la tua bolla di vetro, finirai per ferirmi più di quanto potessero fare gli altri. Finirò per non essere più a contatto col mondo esterno e invece ho bisogno di aprire gli occhi, ancora. Ho bisogno di vedere e ripercorrere i miei sbagli, capendo che ormai non vorrei rifarli. Ho bisogno di crescere Harry. Ho bisogno di allontararmi da te, di fuggire via dalle tue ali. So che lo fai per me, so che ti preoccupi, ma voglio volare da sola adesso e... tu non puoi più volare con me. Ti ho già tirato via molto più tempo del previsto. Ti ho strappato ninfa vitale. Vivi anche tu adesso e mi sembra di capire che la ragazza dell'altra sera sia disposta a venire con te, quindi... io stasera esco e mi comporterò bene. Non tornerò tardi e non farò pasticci. Non sono sola. Se le cose si mettono male, scappo e ti chiamo. Ma tu... perchè non sei a lavoro? -
- Forse hai ragione... ti ho protetto abbastanza e non voglio ferirti... quindi, beh... esci... stai attenta però e fatti sentire ogni tanto, anche se per messaggi. Solo... puoi essere a casa per le 23:30? - notai che non mi aveva risposto, ma decisi di sorvolare quel punto. Mi aveva permesso di uscire.
- Facciamo a mezzanotte. E' sabato... -
- Emi... mi sta costando tanto mandartici oggi... se arrivi qui puntuale, alle 23:30 e soprattutto arrivi sana e salva... beh a quel punto magari la prossima volta che uscirai ti darò un altro po' di tempo. Te lo devi meritare - decisi che non ci sarebbero stati altri compromessi, così lo abbracciai e gli sussurrai cento volte grazie. Ricambiò con un sorriso preoccupato e fievole. Si appoggiò allo stipite della porta e mi fissò, mentre sfrecciavo via sulla moto di Niall.
Non mi ero persa granchè. Forse non mi ero persa proprio nulla. Entrammo nel locale che veniva considerato "il più serio della città", poi ci sedemmo al bancone e fissai Niall prendere della Vodka liscia.
- So che è una domanda stupida, ma vuoi che ti faccio portare qualcosa? Anche un bicchiere di tè o acqua - mi chiese cordialmente il mio migliore amico.
- Non so cosa potrebbero metterci dentro, quindi preferisco evitare. - volevo seriamente comportarmi bene e avevo davvero paura che potessero mettere della droga nei bicchieri. Chi poteva assicurarmi il contrario? Nessuno e io non mi fidavo proprio di nessuno.
Mi girai attorno, mentre la musica assordante iniziava a pompare nelle casse. Il locale diventava sempre più pieno e in poco tempo era ricco di gente che si ubriacava vicino ai banconi e di gente che si muoveva sensualmente e quasi provocatoriamente al centro di pista. Bionde mezze nude, si avvicinavano ad apparenti ragazzi single e si strusciavano contro il loro corpi. Non che avessi qualcosa in contrario alle bionde, ma quelle erano proprio puttane. Come anche alcune more che si trovavano nei paraggi direi. Essendo mora, decisi di non commentare su nessuna delle ragazze presenti in quella stanza. Non sapevo perchè si rendevano ridicole in quel modo e forse non avrei nemmeno dovuto saperlo.
- Andiamo a ballare? - chiesi a Niall. Finì la sua bevanda e mi trascinò in pista, muovendosi a ritmo di musica. Era bravo e sapeva pure guidarmi. All'inizio ero un po' impacciata, ma quando la musica forte inzia a inondarti le vene, ballare diventa facile come respirare. E poi, basta guardarsi attorno per capire che non ci vuole un diploma o un brevetto. C'erano persone che sembravano scimmie che si arrampicavano in aria. Altre a breve, avrebbero fatto qualcosa di poco casto al centro della pista. Altre coppiette, probabilmente più serie, si divertivano a ballare e baciarsi. Credo proprio che in quella stanza, gli unici a non avere azzardati contatti fisici, eravamo proprio io e il mio migliore amico. Meglio così, non volevo essere catalogata nel gruppo "stronze, acide e puttane". In fondo, ci si diventa sempre per un motivo o per qualcosa che in passato ti ha ferito.
Continuammo a ballare fino alle 23:15, poi decidemmo di ritornare a casa. Niall fortunatamente non era ubriaco, aveva solo bevuto un drink. Piuttosto eravamo ancora storditi dalla musica alta e le gambe sembravano molleggiare. Salii sulla moto e notai delle persone in un vicolo buio. Stavano picchiando un ragazzo, così decisi di scendere frettolosamente, trascinandomi dietro Niall che ancora non aveva fatto il resoconto della situazione. Accorgendosi di non essere soli, i ragazzi scapparono, lasciando un ragazzo moro, a terra e ricoperto di sangue.
- Ehi... hai bisogno di una mano? Vuoi che ti portiamo a casa? - fissai le sue pupille azzurre e dilatate. Era drogato. Aveva fatto uso di qualche sostanza.
- No... grazie... ce la faccio da solo - biascicò, trascinando alcune lettere e facendomi capire che aveva anche bevuto. Ma cercò di farsi vedere forte e si allontanò da noi, col passo lento e l'aria stanca e addolorata. Appoggiava malamente un piede a terra e teneva la mano fissa sullo stomaco. Quel ragazzo, come tutti del resto, aveva un motivo per ferirsi in quel modo.
Tornammo sulla moto e incastrai il vestito tra le gambe, proprio come feci le altre due volte, in modo che non si vedessero le mutande. Dovevo optare per un pantaloncino considerando che Niall aveva la moto.
- Grazie per la serata, mi sono divertita e sono felice che sei rimasto con me. Sei comprensivo e questo... mi piace -
- Prego Emi. Lo sai che per me sei come una sorella e non voglio che stai male -
- Lo so, grazie Niall - gli sorrisi ed entrai in casa, con un dolce sorriso sulle labbra. Quel ragazzo era davvero un angelo. Avrebbe trovato un altro angelo con cui mettersi insieme.
- 23:29. Sana e salva. Ti sei meritata un'altra mezzoretta il prossimo sabato. Ma non ti voglio a casa più tardi della mezza notte -
Spostai lo sguardo sul divano per notare Harry, seduto ma con le gambe stirate sul tavolino del salotto.
- Grazie. Sono fiera di te... sei riuscito a fidarti... ma come vedo non sei andato a letto - mi sedetti accanto a lui e quasi mi morsi la lingua pensando al fatto che non gli avevo mandato nessun messaggio.
- Non riuscirei a dormire sapendo che sei fuori... - si voltò verso di me e mi mostrò i suoi occhi verdi e lucidi. Stava per piangere?
- Mi dispiace se non ti ho inviato un messaggio. Tra la musica e il buttarsi in pista a ballare, mi è proprio sfuggito di mente - in pochi secondi, l'immagine di quel ragazzo con gli occhi azzurri, si impossessò della mia mente. Si era fatto picchiare. Scommetto che non si era nemmeno opposto e non perchè era da solo contro tutti. Sembrava quasi che gli stesse bene... che lo volesse lui... e questo mi fece accigliare più del dovuto.
- Ti capisco... non fa nulla. Sei arrivata in tempo e mi fa piacere. -
- Come mai non sei a lavoro? - chiesi, cambiando argomento. Tolsi le scarpe dai piedi e mi sdraiai sul divano, mettendo la testa sulle gambe di Harry.
- Si è rotto un tubo del bagno e il locale verrà chiuso per qualche giorno -
- Per questo motivo eri bagnato? -
- Esatto. Il capo ha detto di cercare di risolvere la situazione, ma ha peggiorato il tutto mettendo le mani dove non doveva. Si sono rotti altri tubi e l'acqua schizzava ovunque. Compreso su di noi. Da una parte è meglio, così lavano quei muri sporchi di chissà cosa - ridacchiò, facendomi ridere.
- Bleah... non voglio proprio immaginare... oh e con la tua ragazza? Non mi hai detto che ne avessi una - aprii gli occhi che avevo precedentemente chiuso per rilassarmi e fissai il suo volto. Aveva lo sguardo perso nel nulla, di fronte a lui. Le sopracciglia inarcate in senso di confusione e le guance rosse. Che fosse arrossito? Pensai sorridendo.
- Non è la mia ragazza. E' un passatempo -
- Mi deludi fratellino. Tu non hai mai voluto prendere in giro una ragazza. Sei il solito romanticone -
- Lo so, ma non la sto prendendo in giro. E' lei che vuole divertirsi e io l'accontento e basta - notai che era passata quasi un'ora così decisi di chiudere quel discorso e di alzarmi per andare a letto.
- Vieni anche tu? - chiesi rivolta a Harry.
- Si si. Sono... s-stanco... m-morto... - una volta arrivata in cima alle scale, sentii un forte rumore dietro di me e notai Harry rotolare giù, ormai privo di sensi.
- Haz? Harry! Harry! - lo chiamai, scuotendolo. Jessie scese frettolosamente le scale e non perse tempo a chiamare un medico. Era inutile portarlo in ospedale, c'era una regola su bolli e cose così. Se non era grave avremmo dovuto pagare l'occhio della testa, per questo preferivamo il medico di "famiglia". Dovettimo aspettare 10 minuti. Un tempo interminabile in cui ci accorgemmo soltanto del fatto che Harry fosse caldo.
- Scusate il ritardo, ma stavo dormendo - si giustificò il medico. E come dargli torto? Era quasi l'una.
- Gli avete misurato la febbre? Credo che sia alta - constatò, afferrando un termometro dal borsone nero.
Caldo... Occhi lucidi... Guance rosse... Stanchezza... Avrei dovuto pensarci prima!
- Come pensavo. E' a 39,6°. Basta fare degli impacchi con acqua fredda e soprattutto deve stare a riposo. Il fatto che non abbia ancora ripreso i sensi stabilisce che ha dormito poco. E' così, no? -
- E' spesso in giro, per lavoro o per sbrigare altro. Dorme davvero molto poco... - chiarii.
- Bene. Non è nulla di grave. Adesso lo portiamo in camera sua e recupera le ore di sonno necessarie per avere le forza di rimettersi in piedi. Inoltre dovrà stare al caldo, a riposo e dovrà prendere queste pillole tre volte al giorno, per due giorni. Una la mattina, una dopo pranzo e una dopo cena. Se non si è ancora stabilito, vi consiglio di comprare queste bustine. Le immergete in acqua, mescolate e quando le berrà, verrà investito da una carica di energia. Necessaria per il suo organismo, in questo momento. - ringraziammo il medico che ci aiutò a portare Harry fino in camera sua. Non si era ancora svegliato, ma in compenso sapevo che finalmente stava riposando. Mi occupai di bagnare la sua fronte e verso le 3 di mattina feci cambio con Jessie. Mi feci cinvincere solo perchè gli occhi mi si chiudevano da soli.
Mi svegliai alle dieci. Ero abbastanza riposata e poi volevo prendermi cura di Harry. Entrai nella sua stanza e vidi che Jessie non era in camera. Constatando l'orario, di sicuro era andata a lavoro. Jessie lavorava nella reception di un hotel. L'incasso era abbastanza alto, il difetto stava nel fatto che era fuori per quasi tutto il giorno e che poteva avere solo un giorno alla settimana libero e lei aveva scelto il mercoledì. Ecco spiegato perchè era a casa il giorno del mio compleanno. Così, mi toccava preparare il pranzo anche per Harry.
Gli misurai la febbre. Era scesa velocemente a 37,8°. Non era molto caldo, ma probabilmente era ancora stanco. Uscii in balcone, facendo attenzione a non far arrivare troppa luce sul viso di Harry. Ma non c'erano problemi dato che fuori il tempo era quasi nero. Sapevo che a breve sarebbe arrivato uno dei soliti temporali di Londra. Il tempo era sempre strano lì. Esci col sole e un secondo dopo ti trovi a correre per strada, alla ricerca di un riparo perchè la pioggia è abbondante e fredda. Pizzica come se stesse lacerando la pelle. Però amavo quando a Dicembre o Gennaio iniziava a nevicare. Amavo stare al caldo tra le coperte, bevendo una cioccolata calda. Amavo stare sul divano con Harry. Ogni attimo che passavo con lui, era una ferita in più che si ricuceva nel mio cuore. Ferita causata dal passato. Non avere una famiglia composta da madre e padre, poteva sembrava superabile, ma era difficile. Non ricevere affetto dalle due persone che si amano, è terribile. Pensi di potercela fare. Pensi di essere forte. Ma ogni secondo che passa, ti accorgi che loro mancheranno a molti altri momenti importanti per te. Io ad esempio non avrei avuto l'accompagnatore per il mio matrimonio. Amavo Harry, ma avrei voluto papà. I miei figli non avrebbero avuto nonni. I miei pronipoti non avrebbero nemmeno ricordato la loro esistenza, ma nel mio cuore, c'era un vuoto che solo loro avrebbero potuto colmare. E io cercavo di attutire la situazione, immergendo i ricordi nel fluido rosso all'interno di quell'organo.
Nella mia breve e tortuosa vita, ho capito che bisogna andare avanti. E' inutile piangersi addosso o fermarsi ai ricordi. Devi essere bravo a creare un mix e sbatterti tutto alle spalle. All'impatto farà male, ma tenere il dolore per sempre, ti farà stare peggio.
Mi beai del leggero venticello e dell'aria fresca che colpiva le gambe nude. Non era stata una buona idea indossare una felpa e i pantalocini come pigiama.
Fissai nuovamente il cielo. Raggi di luce cercavano di passare attraverso i nuvoloni neri. Sembrava impossibile, eppure ci riuscivano. La pioggia iniziò a cadere, prima debolmente, poi ferocemente. Rientrai in stanza, posizionandomi dietro la porta del balcone. In fondo sapevo che quel cielo era come tratti della nostra vita. Proprio quando sembravi immerso nell'oscurità, c'era almeno un raggio di luce che oltrepassava, incosciamente, quell'inferno di nubi nere. Forse bisognava aspettare, oppure bisognava guardare meglio. Ma anche quando tutti ti uccidono, c'è sempre qualcuno che ti ama incondizionatamente.
- Sei rimasta fuori per dieci minuti. A cosa pensi? - sobbalzai sentendo la voce roca di Harry. Feci un grande sorriso e corsi ad abbracciarlo.
- Sei solo uno stupido! Mi hai fatto preoccupare. Tu non riposi e io mi prendo certi spaventi. Ti sembra normale? - lo rimproverai, cercando di mantenere un tono fermo.
- Scusa Emi... avevo del lavoro in più al pub, ma hanno assunto un altro ragazzo e quindi adesso tornerò a casa prima e dormirò di più. - mi rassicurò.
- D'accordo. Adesso prendi questa pillola. Te ne toccano tre al giono per due giorni. - fece una faccia schifata e ingoiò la pillola bianca e rotonda. Sapevo quanto odiasse i medicinali, ma sono necessari, a volte, per stare bene.
- Quanto ho dormito? -
- Quasi dieci ore - mi sdraiai accanto a lui, incurante del fatto che potesse mischiarmi quel poco di febbre che gli era rimasta.
- Ho freddo - biascicò Harry. A quel punto premette un pulsantino immaginario sulla mia fronte e lo abbracciai forte incutendogli calore. Ridemmo, mentre pensavo che non ero più sola. Non lo ero mai stata. Avrei sempre amato mamma e papà, ma nella mia vita, avevo Harry. Lui era la mia mamma. Lui era il mio papà. Lui era il mio fratellone. Lui era tutto quello che mi serviva per essere forte e andare avanti. Mi aveva salvata più di una volta. Ci salvavamo a vicenda, ma amavo il fatto che fosse lui a tirarmi su. Amavo il fatto di non avere sempre il bisogno di cavarmela da sola. Abbiamo tutti bisogno di qualcuno di cui fidarsi. Qualcuno da cui prendere esempio o qualcuno da cui farsi amare. Alcuni non lo ammettono, ma nel nostro cuore ci sarà sempre un angolino che aspetta di farsi riempire da una persona speciale.
- Oggi pomeriggio devi andare al centro di riabilitazione? - mi chiese Haz.
- Se vuoi posso dirgli che non ci vado. Resto qui con te -
- No, no. Vai pure. Ne approfitto per dormire qualche altra ora nel pomeriggio -
- Okay. Vado a preparare qualcosa da mangiare. Cosa preferiresti? -
- Inutile dirti un bel piatto di pasta con panna o qualcosa all'italiana vero? -
- Hai la febbre, non un'infezione allo stomaco. Cercherò di farti qualcosa all'italiana. Buona, ma leggera - uscii dalla stanza e mi diressi in cucina. Preparai del petto di pollo, con un filo d'olio. Un'insalata condita con fette di carota, aceto, sale e olio. Infine un piatto di pastina con il datino.
Portai il tutto nella camera di Harry. Il medico aveva detto che doveva riposarsi e anche se fuori non pioveva più, volevo lo stesso che restasse al caldo.
Finito il pranzo e lavato i piatti, fissai il cielo e mi accorsi che Londra fu investita da una giornata di sole. La pioggia era volata via, come i brutti momenti della vita. Tutto passava, tutto cambiava. Bisognava avere pazienza.
Passai qualche altra ora con Haz. Poi mi cambiai e afferrai un ombrello, in caso Londra decidesse di piangere nuovamente. Presi la metro e mi fermai alla quinta fermata. Raggiunsi il centro di riabilitazione e salutai il direttore. Entrai nella grande sala, dove più di quindici ragazzi erano posizionati a cerchio. Mi sedetti sulla prima sedia libera e mi guardai attorno. C'era un ragazzo che stava parlando. Aveva un livido all'altezza dell'occhio. Il labbro spaccato. Una mano fasciata. Continuò a raccontare qualcosa di lui, senza essersi accorto della mia presenza.
- Mi sono fatto picchiare. Vengo considerato uno sbaglio della natura, dai miei genitori. Ho pensato che fosse la punizone adatta per uno come me. In fondo sono gay, chiunque non vede l'ora di guardarti con sdegno e di allontanarsi pensando di prendersi questa malattia. Ogni secondo, per loro, è prezioso per offenderti. Se gli offri una mano, loro non l'accettano, te la tagliano. Allora perchè offrire ancora la mia mano? Mi hanno tolto tutto... anche la pazienza... sono qui perchè faccio uso di droghe e non riesco a smettere... - si interruppe sbuffando. Era ovvio che non amasse stare in quel luogo. Ma c'era qualcosa che lo spingeva a parlare, forse la stanchezza di tenersi tutto dentro.
- Questa è la storia di... ripeti il tuo nome, ragazzo - disse lo psicologo Gilbert.
- Louis. Louis Tomlinson. - alzò lo sguardo e mi fissò. I suoi occhioni blu mi fissavano con insistenza. In quel momento mi ricordai del ragazzo nel vicolo della discoteca. Si chiamava Louis. Distolse subito lo sguardo. Aveva paura di fissare qualcuno negli occhi. Era intimorito.
- Emily. Anche oggi sei qui. Ti va di parlarci di qualcosa? - non mi tirai indietro e sorrisi a Gilbert.
- Per chi non mi conoscesse, sono Emily Styles. Inutile dire che anche io ho superato l'inferno. Sono qui non per vantarmi, ma per farvi capire che potete riuscirci anche voi - Louis tornò a fissarmi negli occhi e mi sorrise debolmente. Mi diede il coraggio di andare avanti.
- Proprio stamattina il cielo di Londra era buio e nero. Poi a un tratto un raggio di luce si è fatto spazio tra le nuvole e ha colorato il cielo. Ha piovuto. Londra ha pianto. Ma dopo un po' Londra ha sorriso. E' tornato il sole. E' tornata la serenità. Non ho potuto fare a meno di pensare che nella vita ci saranno sempre momenti neri, bui. Poi ci saranno i raggi di luce che ci tireranno su e ci daranno la forza per andare avanti e aspettare il momento in cui la nostra vita torni serena. Dobbiamo aspettare. Non dobbiare restare da soli. Dobbiamo andare avanti e lasciare che il passato resti il passato. Può farci male, non lo metto in dubbio, ma dobbiamo aggrapparci al presente. Un presente nuovo che potremmo costruirci. Abbiamo la forza di andare avanti e lasciarci tutto alle spalle. Sono Emily. Io ce l'ho fatto. Ce la farete pure io. Perchè Emily non è una malattia, una cosa che si contagia e che si infonde in tutti. Emily è un nome, come il vostro. Un nome comune. Ma un giorno, i nostri nomi, resteranno nella nostra storia. Siamo ragazzi catapultati in questa vita, perchè siamo abbastanza forti da viverla. Non lasciamoci abbattere, mai -
E sapevo che a volte, delle parole, avrebbero potuto rivoluzionare la vita di molte persone.
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