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4. Brutti incontri. (Parte prima)


Una profonda voce mi riscosse dalla sorpresa, mentre il coltello finì invece a terra, scomparendo nel fitto sottobosco.

«È in questa maniera, Margherita, che accogli i viandanti?»

Quel tono arrogante mi spronò a reagire. Scostai bruscamente il polso, che era ancora intrappolato tra le mani possenti dell'uomo e feci due passi indietro, massaggiandomelo. Quasi bruciava nei punti in cui era stato a contatto con la sue dita.
«Signor Conte, potete ben immaginare che arrivare alle spalle di una giovane donna, senza annunciare la propria presenza, non è segno di buone intenzioni.»
Il cipiglio severo di Fabrizio si sciolse in una risata divertita. Indossava di nuovo un farsetto blu, ma più scuro, sbottonato sopra una camicia di leggero lino, pantaloni neri e stivali di cuoio. Al fianco portava nel fodero una spada da lato a striscia.

«Non hai tutti i torti, ma non era mia intenzione spaventarti, perdonami.»
Sembrava quasi sincero, quindi decisi di lasciar perdere.
«Grazie, ma, scusatemi, voi cosa ci fate qui?»
Fabrizio ghignò, divertito dall'ardita richiesta di spiegazioni, probabilmente non era abituato a essere interpellato in quella maniera. Di solito i contadini cercavano di rivolgersi a lui, o a quelli del suo ceto, il meno possibile.
«Sei una ragazza troppo curiosa, perché dovrei risponderti?»

A quel velato rimprovero arrossii, in realtà non avevo diritti, ma era pur sempre stato lui ad aggirarsi di soppiatto nel bosco e ad avermi avvicinata.
«Perché me lo dovete, dopo il brutto spavento che mi avete fatto prendere.»
Strinsi gli occhi, cercando di darmi un tono di rimprovero, provando a risultare abbastanza credibile.

La mia insinuazione non sortì l'effetto desiderato, anzi, scatenò ancor di più l'ilarità del Signore e la mia conseguente maggiore irritazione.
«Va bene, dopotutto hai ragione.» Smise di ridere e riprese a parlare. «Stavo cavalcando nei dintorni, avevo bisogno di un po' di silenzio, fino a quando ti ho vista e mi sono incuriosito. Non dovresti essere da mia sorella?»

«La nonna aveva bisogno che concludessi altre faccende.»
Il suo sguardo corse lungo la mia figura, soffermandosi ogni tanto. Percepii le mie guance andare a fuoco, ero conscia di non essere abbastanza presentabile agli occhi di un uomo importante come lui. Mi imbarazzai per il mio grembiule sporco di terra.

«Ho notato che avevi in mano un libro, non avrei mai immaginato che sapessi leggere.»
Dopo quella insinuazione, il disagio che provavo per il mio aspetto evaporò, sostituito dallo sdegno.
«Perché sono povera allora non dovrei sapere né leggere né scrivere?»
Lo guardai con aria di sfida, incrociando le braccia al petto.

Lui mi osservò confuso e vagamente irritato.
«Sei una fanciulla a dir poco permalosa e piena di sé per essere una popolana.»
«E voi siete solo un nobile arrogante!»

Mi lasciai sfuggire troppo. I lineamenti del suo volto si contorsero, strinse le mani in due pugni nervosi, prese un respiro e si avvicinò a me. Ci misi tutto il mio coraggio, ma non arretrai, rimasi al mio posto, spavalda, senza abbassare lo sguardo. Giunse a un millimetro dal mio viso, le iridi azzurre si erano fatte più cupe, quasi tempestose; sibilò furioso, calcando ogni sillaba, rendendo le parole affilate come un'arma.
«A chi credi di rivolgerti, sporca masca?»

Sentii le lacrime pungermi gli occhi e lottare per uscire. Mi capitava sempre quando ero preda dei nervi, ma non avevo alcuna intenzione di piangere di fronte a lui. Odiavo sentirmi definire "masca", in tono poi così dispregiativo e accusatorio, quasi fosse un'oscenità, una colpa, qualcosa per cui vergognarsi. Non cedetti di un passo. Lui mi regalò ancora uno sguardo nauseato e se ne andò, senza aggiungere altro.

Non appena svoltò la prima curva, rigido e tronfio, scomparendo dalla mia vista, tirai un sospiro di sollievo e lasciai le lacrime fuoriuscire libere per qualche secondo. Dopo qualche respiro ripresi il controllo di me stessa, non volevo rovinarmi il resto del pomeriggio a causa sua.

Presi di nuovo posto sotto al salice e tirai fuori la mia lettura, per riprenderla dove l'avevo lasciata, ma continuavo a rileggere la stessa frase senza coglierne il senso, ero troppo distratta. La pace purtroppo durò poco. In preda ai pensieri, non mi ero resa conto che, di nuovo, non ero sola. Gli animali del bosco continuavano a essere silenti, in allerta, ma io non vi avevo più prestato attenzione.

Un rumore secco, forse una radice spezzata, mi fece alzare di scatto la testa dal mio vano tentativo di lettura. A pochi passi da me incrociai lo sguardo di Amedeo, si avvicinava caracollante, aveva gli occhi lucidi, febbricitanti. Era ubriaco.

Mi alzai di scatto spaventata, il cuore iniziò a battere per l'ennesima volta furioso. Avvertivo anche una sorta di oppressione al petto, schiacciato da una crescente ondata di terrore. Avevo una brutta sensazione, diversa da quella che avevo provato poco prima con Fabrizio, questa volta sentivo di essere in vero pericolo.

Ero stata colta di sorpresa, da sola, avevo perso il coltello per colpa del Conte e scioccamente non mi ero curata di cercarlo; me n'ero dimenticata. Deglutii, mi alzai e iniziai ad arretrare piano. Gli ubriachi erano così imprevedibili. Dopo la maniera in cui c'eravamo lasciati, non sapevo cosa aspettarmi da lui. Tentai di prendere tempo.
«Amedeo, cosa ci fai qui?»

Il ragazzo si stava avvicinando in maniera scomposta, potevo vedere una patina di sudore che gli ricopriva la fronte. Ansimava e faticava a camminare in mezzo alla boscaglia, questo poteva rappresentare un vantaggio per me, forse avrei potuto seminarlo, ma prima avrei dovuto aggirarlo, perché proveniva proprio dal sentiero che mi avrebbe condotta a casa.

In mano teneva ancora un bottiglione di vetro, il liquido sembrava trasparente, forse era acquavite. Ne bevve avidamente prima di parlarmi.
«Margherita, Margherita, è chiaro che sciono venuto qui per te... Perché mi hai rifiutato? Io non mi arrendo, sciono la migliore opportunità che puoi avere in quescio maledetto paese!»

Nel frattempo che urlava e biascicava, io ne approfittai per arretrare sempre di più. Avevo il cuore in gola, nessuno mi avrebbe sentita chiedere aiuto, ero in una zona troppo interna alla boscaglia, solo i cacciatori si avventuravano sino a lì. Ingoiai il groppo che mi aveva serrato la gola e tentai di discorrere nella maniera più ferma e determinata possibile.

«Amedeo, è l'alcool che sta parlando per te... tu non sei così. Io non posso sposarti, non potrei mai renderti felice. Non ti amo, meriti di avere qualcuno al fianco che ti voglia bene.»
«Io voglio te! Imparei-imparerai ad amarmi!»

Rinunciai ad aggirarlo, aveva intuito la mia intenzione. Diede un'ultima sorsata e finì la bottiglia.
«Vorresti tornare a casa? Forscia, vieni qui, ti accompagno io...»

Non mi rimaneva altro da fare che inoltrarmi ancora di più nella boscaglia e sperare di fargli perdere le tracce. Proprio quando feci per darmi alla fuga, anche Amedeo compì la sua mossa e scattò in avanti con agilità inaspettata.

L'uomo riuscì ad afferrarmi per i capelli e a trascinarmi verso di lui. Era forte e spinto dalla rabbia. Una scarica di dolore mi percorse il cuoio capelluto, gli afferrai la mano con entrambe le mie, tentando di diminuire la stretta. Un orrendo odore di rancido, misto a sudore, mi avvolse in una nuvola mefitica. Anche se ero sprofondata nel panico ed ero terrorizzata, una parte di me riuscì comunque ad agire per istinto.

Con tutta la forza che avevo in corpo, gli sferrai una ginocchiata là, dove non batte mai il sole, e, sfruttando il dolore di lui, colsi l'occasione per divincolarmi, riuscendo a sgusciare via.

Libera dalle sue mani, iniziai a correre. Amedeo, fuori di sé dalla rabbia, si rialzò imprecando. Ruppe la bottiglia, brandendola come un'arma, e cominciò a inseguirmi urlando il mio nome.
«Margherita!»

Continuai a correre a perdifiato, maledicendomi per essermi allontanata da casa così tanto. Non ne potevo più, le gambe le sentivo instabili, tremavano, e i polmoni mi bruciavano alla ricerca disperata d'aria.

A un tratto, intenta a guardare indietro per tenere d'occhio Amedeo, svoltando alla destra di un tronco imponente, andai improvvisamente a sbattere contro qualcosa.

Proprio nell'attimo in cui la forza del contraccolpo mi stava catapultando per terra, quel "qualcosa" su cui ero andata a sbattere mi afferrò, stringendomi a sé e impedendomi di cadere. Capii quindi che fosse un "qualcuno" a reggermi tra le sue braccia forti. Non appena misi a fuoco lo riconobbi, altri non era che Fabrizio, il Conte. Non se n'era andato, o forse era tornato sui suoi passi.

«Shh... Calmati, Margherita, cos'è successo? Chi è che sta urlando?»
Non riuscii a parlare, ansimavo, il cuore mi scoppiava e le gambe rischiavano di cedere.

Senza attendere ulteriori mie spiegazioni, il Conte mi pose al riparo, dietro di lui. Sguainò la spada che portava al fianco e attese l'arrivo dell'uomo, il quale, nonostante tutto l'alcool che gli scorreva nelle vene, non tardò a sopraggiungere. Fabrizio parlò con il suo tono di voce imperioso e determinato.
«Non ho idea di cosa sia successo, ma da come questa fanciulla scappa terrorizzata da te, intuisco che la tua compagnia non le sia gradita.»

Anche se il tono usato era basso, la rabbia traspariva da ogni sillaba. Gli occhi di Amedeo erano spalancati dalla sorpresa e sembravano aver riacquistato un minimo di lucidità. Lasciò cadere a terra il moncherino del collo della bottiglia e alzò le mani in segno di resa.
«Signor Conte, non era mia intenscione. È tutto un grosscio fraitendimento! Io-io le volevo solo parlare.»

«Parlare, dici? Viene da sé che se una fanciulla scappa da te, questo voglia dire che tanta voglia di parlarti non ce l'abbia, o sbaglio?»
«Mio Signore, voi avete rasgione, certo. Ho commesscio un errore, me ne vado.»
Il ragazzo incominciò ad arretrare chinando il capo in segno di rispetto.

«Per questa volta ti salvi, se mai dovesse disgraziatamente succedere di nuovo, mi accerterò io stesso di vederti consegnato ai gendarmi o, meglio ancora, mi assicurerò che rimarrai infilzato sulla mia spada... Siamo intesi?»
Il suo tono era perfido e furioso.

Amedeo, spaventato dalle minacce del Signore, si profuse in svariati e sbilenchi inchini prima di andarsene e sparire nel folto del bosco. Fabrizio rinfoderò la lama e si girò appena in tempo per vedermi scivolare in terra; l'adrenalina mi aveva abbandonata e le gambe non erano più riuscite a sorreggermi.

Mi afferrò e mi fece sedere, poi si inginocchiò accanto a me. In un gesto automatico mi raccolse un ciuffo di capelli ramati, che mi coprivano il viso, e me li sistemò dietro all'orecchio.

Quel contatto con la sua mano, gentile e inaspettato, mi bloccò per un attimo il respiro. Non sembrava l'arrogante Conte che avevo conosciuto alla Villa e con cui avevo litigato soltanto qualche istante prima, ma una persona diversa. Era il gesto di un uomo preoccupato, che mi aveva salvata, che mi aveva fatta sentire al sicuro e protetta, nonostante io non fossi nessuno per lui.

«Margherita, ti senti bene?»

Alloraaa, ditemi 🤔: cosa ne pensate di questo Conte? E di Margherita? 😏

A presto 😘

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