21. Il ballo in maschera (Parte prima)
La notte era rischiarata dalla luna piena. La strada di fronte al palazzo era chiassosa, un via vai di carrozze che lasciavano nobili imbellettati, euforici, pronti a divertirsi alla festa dei conti Barberi. Una schiera di servitori era addetta alla loro accoglienza.
Il giardino era illuminato ai lati da numerose lampade a olio, che donavano ai contorni delle siepi una consistenza da sogno.
Per quasi tutta la mia esistenza ero sempre stata soddisfatta della vita semplice, dei rituali e del legame con la natura, ma in quel frangente, nascosta vicino a una porta di servizio al fianco di Michele, provavo invidia. Non sapevo che cosa avrei dato per poter scendere da una di quelle carrozze, entrare a palazzo e passare la serata tra balli e banchetti con Fabrizio, senza la paura di essere scoperta o giudicata e con la nostra unione ben accetta da tutti.
Invece no.
Michele aveva contattato il suo amico Giulio, che ci avrebbe fatto imbucare in mezzo alla servitù. Al di sotto dei nostri cappotti scuri indossavamo degli abiti presi in prestito da quelli affidati ad Antonietta. Mio cugino mi aveva detto di non preoccuparmi, che non erano così belli e preziosi da attirare sguardi, ma abbastanza eleganti da poter passare come borghesi o, nel mio caso, da dama di compagnia.
Mi ero acconciata i capelli alla maniera delle nobili, con i boccoli stretti e portati tutti da un lato. L'abito lo adoravo, era di quel verde che metteva in risalto il colore rosso-aranciato della mia chioma. La maschera era semplice, color panna, con qualche ricamo dorato e con uno in particolare che sembrava una piccola lacrima, proprio sotto l'occhio sinistro. Mio cugino si era pettinato i ciuffi ribelli in un codino elegante, il farsetto blu che indossava gli stava molto bene e ci aveva coordinato la maschera. Abbigliato e rasato era quasi irriconoscibile anche per me. Avrebbe attirato sicuramente molte occhiate dalle dame.
Tirai un profondo respiro. Mi sembrava quasi di soffocare per l'agitazione dentro al corsetto. E se mi avessero scoperta? E se per disgrazia avessi rovinato l'abito che mia zia aveva con tanto amore rimesso a posto?
L'ansia rischiava di uccidermi.
Che diavolo mi stava facendo fare Fabrizio!
Giulio, dai capelli neri e l'abito tirato a lucido da cameriere, arrivò e, dopo qualche battuta scambiata con Michele, ci fece entrare.
«'Chelo, sei ufficialmente in debito con me!» lo salutò con un occhiolino, per poi dileguarsi in mezzo al marasma dei servitori. Al contrario di quello che mi ero aspettata, nessuno badò affatto a noi. Nascondemmo i cappotti in una stanza al fianco della nostra via d'uscita e ci dirigemmo in sala.
Rimasi quasi a bocca aperta a osservare la quantità di lusso che mi vorticava intorno. Il banchetto vero e proprio c'era già stato, i balli erano iniziati. Una melodia allegra riempiva l'aria insieme alle risate e al chiacchiericcio degli ospiti. Voluminose gonne colorate vorticavano in pista, insieme a maschere di varie tinte e fattezze. Un lungo tavolo ingombro di dolci di ogni tipo mi fece venire quasi l'acquolina in bocca e dimenticarmi del perché ero lì, i servitori facevano invece avanti e indietro fra gli ospiti con calici di vino.
Con lo sguardo provai a scorgere qualche segno di Fabrizio o di qualcuno di mia conoscenza, ma, con tutta quella gente dai visi semi coperti, era molto difficile.
«Sei pronta a buttarti nella mischia?» mi chiese Michele, aveva gli occhi brillanti e allegri. Mi venne da sorridere di conseguenza. «Non è la prima volta che lo fai, vero? Sei solito imbucarti alle feste dei nobili?»
Mio cugino sghignazzò e alzò le spalle noncurante, «L'ultima volta ho finto di essere un ricco borghese proveniente dal Monferrato e ho amoreggiato tutta la serata con la figlia di un nobile imparentato con i Savoia!»
Mi portai una mano alla bocca, «Non ci credo!»
Rise, «Libera di non farlo! Chissà se è qui anche lei questa sera...»
Scossi la testa divertita, «Non sarò di certo io a trattenerti, vai a cercarla!»
Mi guardò sorpreso, «Sei sicura? E tu come farai?»
Scrollai le spalle, «Me la caverò! Non mi spaventano i lupi nel bosco, perché dovrei aver paura di qualche nobile.»
Mio cugino rifletté, «Facciamo che tra due ore ci ritroviamo in questo punto.»
Scossi la testa, «No, tra due ore ci ritroviamo fuori dalla porta da cui siamo entrati. Metti che nel frattempo abbiamo attirato l'attenzione di qualcuno, almeno così siamo pronti per correre via.»
Michele fece segno di sì con la testa, «Va bene, ma se avessi bisogno di qualcosa prima, avverti Giulio o chiedi di lui, riesce sempre a trovarmi e devo confessarti che gli ho chiesto di tenerti d'occhio.»
Gli rifilai un colpetto scherzoso tra le costole, «D'accordo!»
Rise ancora una volta, afferrò un bicchiere da un servitore e si buttò nella mischia, trascinandomi dietro a lui.
«Adesso però divertiamoci insieme!» mi disse, dopo essersi scolato tutto il calice. Ci sistemammo tra le due file di dame e cavalieri e attendemmo l'inizio del nuovo motivo. Era una danza che consisteva a un certo punto nello scambio di coppie, mi sarei quindi trovata a dover ballare con altre persone.
Saltellammo e volteggiammo in mezzo alle risa, persino io mi sciolsi e, per poco tempo, non pensai al motivo per cui ero lì.
A forza di giravolte, io e Michele fummo divisi. La canzone terminò, nuove coppie si formarono. Vidi mio cugino essere avvicinato da un'affascinante fanciulla, aveva capelli di un castano lucente, intrecciati, e indossava un abito bordò sfarzoso. Possedeva un qualcosa che ispirava allegria. Lui si girò verso di me e, dal sorriso malizioso che era impresso sul suo volto, capii che aveva trovato qualcuna di suo interesse. Con il labiale e un gesto della mano mi salutò. Scossi la testa e non potei non ricambiare divertita.
Io mi ritrovai di fronte un uomo dalla cui maschera grigia potei scorgere due occhi color nocciola. Mi invitò a danzare e io accettai.
Ci disponemmo di nuovo su due file, ma, questa volta, era un tipo di ballo più sofisticato, dove non vi era uno scambio di coppie, ma ci si doveva muovere eseguendo gli stessi passi. Per fortuna il mio cavaliere mi guidò e non mi fece sbagliare.
A un certo punto, tutte le coppie dovettero eseguire uno scambio di posti, quindi io e maschera grigia dovemmo spostarci di qualche passo all'insù e la coppia alla nostra destra dovette invece scendere. Quando lanciai uno sguardo ai nuovi ballerini accanto a noi, per poco non inciampai nei miei stessi passi, soltanto grazie al mio accompagnatore riuscii a mascherare l'errore.
L'uomo al nostro fianco era alto, il suo farsetto, di un avorio splendente, metteva in risalto la corporatura allenata. La semplice maschera bianca invece enfatizzava le iridi, che ricordavano due grossi lapislazzuli scintillanti. Il mio cuore si fermò. L'avevo trovato, ma lui ancora non mi aveva vista. Poi, la mia attenzione corse sulla dama, che aveva in sé qualcosa di familiare.
Tra una giravolta e l'altra mi interrogai. Quando il ballo terminò, mi congedai da maschera grigia e mi isolai in un angolo. Afferrai un calice e osservai Fabrizio che si preparava a un'altra danza con la ballerina bionda.
La ragazza indossava un abito rosso, tempestato ad arte di verdi smeraldi. La maschera era altrettanto lussuosa e tre grosse piume di pavone aleggiavano a ogni sbalzo. Il ballo era molto più passionale di quello trascorso. Dame e cavalieri si stringevano uno con l'altro con sensualità. Fabrizio inoltre sembrava assorbito dalla sua accompagnatrice.
A ogni piroetta, il viso di lei era sempre più vicino a quello di lui, mentre il mio cuore sprofondava nel dolore.
Era così che Fabrizio trascorreva il tempo lontano da me? Avvinghiato alla vita di un'altra donna?
Infine riuscii a capire chi era la dama: Beatrice Borello. Non poteva essere altri che lei con quei capelli dorati e la voluttuosità di una dea. Persino un cieco poteva notare la confidenza che c'era fra loro.
Mentre il ballo volgeva al termine, vidi lei far scorrere una mano sul petto di lui, per poi arrivare al viso e sporgere le labbra verso le sue. Il Conte le afferrò il polso, proprio nell'istante in cui a me, a causa delle mani tremanti, cadde il bicchiere a terra, frantumandosi in mille pezzi e spargendo il contenuto sul pavimento. Almeno si trattava di vino bianco e non rosso.
Fui subito attorniata da due camerieri che si occuparono dell'incidente, mentre io mi scusai con loro. Gli occhi di Fabrizio furono catturati dal piccolo trambusto e con loro anche quelli scuri e stizziti di Beatrice.
Lo vidi chiaramente osservarmi con curiosità crescente. Il mio cuore spezzato non mi permetteva di muovermi, gli occhi appannati di lacrime mi facevano stringere i denti per trattenerle, ma una dannata e traditrice stilla riuscì comunque a scivolare lungo la guancia, finendomi tra le labbra. Il gusto del sale sostituì per un attimo quello del dolce vino bianco.
Sbattei ancora una volta le ciglia, per riuscire a vedere meglio, ingoiai il groppo in gola. Potei scorgere le sue pupille stringersi e poi allargarsi per la sorpresa. Abbandonò la Contessa Borello in pista e, sorpassando un'altra coppia, si diresse veloce verso di me.
Finalmente il mio corpo decise di reagire, l'istinto prese il sopravvento. Mi voltai e lo evitai, passando in mezzo a due tavolini. Mi fiondai in mezzo alla gente per far perdere le mie tracce. Lo vidi da lontano, girato di schiena con la testa che scattava da una parte all'altra. Si trovava proprio di fronte alla mia via d'uscita.
Rinunciai all'idea di tornare indietro e aspettare mio cugino. Proprio mentre rimuginavo sul da farsi, lui si voltò, incrociando il mio sguardo. Ripartì all'inseguimento. Mi inoltrai di nuovo in mezzo alla folla, fino a raggiungere la fine della sala. Mi infilai in un corridoio e mi fiondai dentro alla prima porta aperta.
Chiusi fuori a chiave il baccano della festa, che continuava a sentirsi attutito.
Mi ritrovai in un piccolo ambiente, forse una stanza da lettura. C'erano degli scaffali con dei libri, un canapè scuro, forse verdognolo e due poltrone dello stesso colore. In mezzo vi era un tavolino con un candelabro acceso, probabilmente qualcuno ci era appena stato. Il resto della camera rimaneva tutto nascosto dalla penombra.
Rimasi in piedi dietro alla porta, presi un respiro e portai la mano al petto per cercare di calmare i battiti del cuore.
Proprio quando stavo per riacquistare una parvenza di equilibrio, qualcuno provò a entrare. Il mio respiro si bloccò per l'ansia.
«Margherita, lo so che sei lì, aprimi!»
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