2. L'inizio della fine. (Parte seconda)
Mi guardavo attorno, rapita da quella nuova esperienza, meravigliata da cotanta ricchezza. Alle pareti erano appesi quadri dai soggetti più svariati, paesaggi rupestri, scene di caccia, antichi ritratti che davano l'impressione di seguirti con gli occhi. Passavamo accanto a mobili in legno, dall'aspetto possente, che erano talmente tanto lucidi da potercisi quasi specchiare sopra e che all'interno celavano chissà quanti ninnoli preziosi o servizi. Diversi vasi in cristallo custodivano, al loro interno, mazzi di fiori profumati, che davano all'ambiente una sferzata di vivacità.
Più mi osservavo intorno e più non potevo fare a meno di notare nuovi e ricchi dettagli, dai tappeti pregiati, ai tendaggi damascati. Ero addirittura riuscita a perdere il conto delle numerose stanze che si dipanavano dal corridoio e che a mano a mano superavamo.
A un certo punto dovemmo salire le scale, ricoperte anch'esse da un lungo tappeto color granata, per poter raggiungere la stanza della signorina. A ogni passo che compivo mi sentivo sempre più inadeguata a quel luogo.
Una volta che fummo arrivate a destinazione, potemmo vedere con i nostri occhi come la poverina stesse male. Giovanna, cauta, si avvicinò per prima, seguita poco dopo dai miei passi incerti.
«Contessa Ada.»
Entrambe salutammo e abbozzammo un piccolo inchino, prima di accostarci al suo letto a baldacchino. Scostammo poi per bene i tendaggi, di velluto scarlatto, per fare in modo di usufruire in toto dei raggi solari che battevano attraverso le finestre.
La ragazza, che non doveva avere che qualche anno in meno di me, forse tre, comunque non più di sedici anni, non possedeva nemmeno la forza per rispondere al nostro saluto. La nonna alzò appena le coperte e notò subito come il corpo piccolo e fragile di Ada tremasse e di come, allo stesso tempo, fosse bollente e ricoperto da una patina di sudore freddo.
Le premette una mano sulla fronte, stava brunciando. Delicatamente le sollevò una palpebra, portando alla luce un'iride dal colore azzurro, lucida. Era palese che una brutta febbre la stesse divorando.
Notammo poi dei piccoli segni lungo le braccia, come dei lividi, davano proprio l'idea di piccoli morsi. Di nuovo la nonna parlò.
«Vi chiedo venia, Contessa, ma ci dica: cosa è stato fatto fino a ora per la signorina?»
«Ada è da ieri che brucia, febbre portata credo da una sua raffreddatura. Appena ce ne siamo resi conto, abbiamo immediatamente contattato il Medico, il Signor Bertolotto, il quale le ha applicato le sanguisughe per ripulirle il sangue dall'infezione.» Si interruppe preoccupata dalla sorte della figlia, sospirò e continuò. «Deve tornare oggi nel pomeriggio, ma il mio guardiano, Giuseppe, mi ha raccontato che sei un'ottima guaritrice.»
Giovanna annuì, aveva già intuito la situazione, ma, prima di procedere, aveva bisogno di una conferma.
«Madama, farò il possibile per rimettere in sesto la vostra povera figlia. Se mi aveste chiamata ieri, oggi probabilmente avrebbe avuto già un altro aspetto. Dovete sapere che le sanguisughe sono inutili, anzi, addirittura deleterie in un caso del genere, l'hanno solamente indebolita.»
«Ma come ti permetti? Il Signor Bertolotto è un ottimo medico!»
La nonna chinò il capo, non volendo irritare maggiormente la Signora e si mise all'opera.
«Margherita, sii gentile, inizia a preparami il decotto di achillea ed echinacea.»
Poi si rivolse alla cameriera al fianco della padrona.
«Avrei bisogno di acqua fresca per le spugnature e che indichi a mia nipote dove deve andare per mettere a bollire un pentolone.»
La Signora le fece un cenno ed ella eseguì.
Dopo una mattinata di lavoro, avevamo raffreddato il corpo della giovane con le spugnature più volte e le avevamo fatto bere il decotto a piccoli sorsi. Si poteva notare un lieve miglioramento.
La nonna si rivolse di nuovo alla Signora.
«Contessa Barberi, se posso permettermi, vi consiglierei di disdire l'appuntamento con il dottore, altrimenti renderebbe il lavoro fatto fino a ora inutile,» Nel mentre poggiò sul mobile accanto a una specchiera i nostri preparati. «vi ho lasciato una scorta di decotto, bisogna somministrarglielo almeno altre due volte in giornata. Per il desinare vi consiglio inoltre di farle mangiare una bella zuppa di cipolle, che aiuta a far sangue e a combattere l'infezione, poi di farla bere quanta più acqua possibile e infine concederle due bei cucchiai di vino rosso.»
La Madama dava l'impressione di tentennare.
«Mia Signora, potete già vedere i piccoli miglioramenti della signorina Ada, vi prego di affidarvi a queste cure; io e mia nipote torneremo domani mattina, prima delle undici.»
«E va bene, sarà meglio per te che tu sappia quello che stai facendo o ne pagherai le conseguenze... Maria, falle accomodare in cucina e dai loro qualcosa da mangiare, a quanto ho capito non hanno avuto occasione di pranzare.»
Detto quello, prese da un sacchetto, conservato nella manica del suo vestito, un soldo che fece ricadere nelle mani della nonna. Entrambe ci inchinammo di fronte a quel segno di ricompensa e cortesia e all'unisono la ringraziammo.
La cameriera ci condusse poi in cucina, ci servì un tozzo di pane a testa e una scodella di zuppa. Io e la nonna la gustammo contente, non eravamo abituate ad assaporare un così buon brodo di carne, era molto raro per noi riuscire a disporre di quest'ultima. Facemmo i nostri complimenti alla donna di fronte, la quale ne approfittò per chiacchierare e intrattenerci.
«Sapete, la malattia della signorina Ada è capitata in un brutto momento,» Si guardò attorno con fare cospiratore, «domani il Conte Bartolomeo Barberi e i suoi figli, Fabrizio e il "bastardo" Alberto, faranno ritorno da un lungo viaggio che li ha portati a visitare una loro conoscenza in Francia e la Signora non avrebbe mai voluto far ritrovare la piccolina in queste condizioni.»
Fu la nonna a rispondere per prima.
«Per domani sicuramente non sarà guarita, ma, se oggi continuerete a somministrarle i nostri decotti e non farete avvicinare quel cossidetto medico, almeno sarà in grado di restare sveglia e parlare, ne sono sicura, sembra proprio una fanciulla forte.»
La cameriera annuì e ne approfittò per chiederci un consiglio. Alzò la manica della sua tenuta da lavoro, in grezza lana, e ci mostrò il rossore che aveva lungo il braccio destro.
Questa volta fui io a parlare.
«Ora non ce l'ho dietro, ma ti farò avere un preparato alla calendula da applicarci sopra e, se mi riporterai qui in cucina, ti preparerò anche un infuso della stessa, con l'aggiunta di un po' di ribes, per alleviarti il fastidio. Probabilmente sono stati caldo, sudore e lana a provocarti lo sfogo.»
Maria si coprì di nuovo lo sfogo.
«Te ne sarei grata!»
Lasciammo la tenuta soddisfatte del nostro lavoro e con una buona scodella di zuppa avanzata.
***
L'indomani mattina ci alzammo, come sempre, di buon'ora; mi presi velocemente cura di Berta e ci sfamammo in maniera frugale. Non appena giunse Giuseppe con il suo calesse, lasciammo la piccola casetta in direzione della grande Villa.
La mattinata prometteva una bella giornata, l'aria era calda, ma non afosa, e i timidi raggi del sole che sbucavano attraverso le nuvole contribuivano a donare allegria. Adoravo passeggiare, ma non mi dispiaceva neppure godermi il tratto comodamente seduta sul calessino di legno.
Durante il viaggio, l'uomo ci mise al corrente sulla salute della fanciulla.
«Posso felicemente annucciarvi che la Contessa Ada è molto migliorata da ieri, la Madama è soddisfatta del vostro intervento.»
Sorridemmo all'unisono della bella notizia.
Quando giungemmo al pesante portone d'entrata, l'uomo ci guidò sino a incontrare Maria. Ella ci fece entrare e poi andò immediatamente ad avvertire la Signora Barberi.
Quando giunse la Padrona, entrambe abbozzammo una riverenza e la salutammo.
«Contessa.»
«Bene, siete arrivate. Buongiorno. Devo riconoscere che il lavoro che avete svolto ieri è stato ottimo, mia figlia oggi ha già un'altra cera.»
«Ne siamo felici.»
Seguimmo, come il giorno prima, la Signora su per le gradinate fino a raggiungere la stanza della malata. Questa volta trovammo i tendaggi del baldacchino già spalancati e una ragazzina sorridente e sveglia, appoggiata alla testata del letto. I capelli lunghi, castani, erano sciolti lungo la schiena e un po' arruffati; aveva piccole labbra arcuate in un sorriso, che raggiungeva direttamente gli occhi azzurri, vivaci e non più lucidi. Avevano una sfumatura più chiara di quelli della madre, ma lo stesso taglio ovale.
Ci inchinammo anche alla sua presenza.
«Contessa.»
Ad Ada Barberi scappò un risolino, per via dell'appellativo che le avevamo riservato.
«Non chiamatemi così, non sono mia madre.»
La Signora intervenne immediatamente.
«Ada, contegno!»
«Sì, madre.»
Piegò la testa per nascondere il sorriso impertinente, che ancora aleggiava nell'espressione del suo viso. Io non potei fare a meno di notarlo e decidere di prenderla in simpatia, per via di quel suo comportamento così diverso da come me l'ero immaginato.
«Bene, vi lascio sole. Devo andare a seguire i lavori per l'arrivo di tuo padre; Maria, tu rimani qui in caso serva loro qualcosa.»
Tutte noi popolane ci inchinammo e la Signora se ne andò lasciandoci sole.
Giovanna si informò sui sintomi della paziente, la quale non scottava più come ieri, ma non si era ancora completamente ristabilita. Per prima cosa la aiutammo a lavarsi utilizzando oli particolari, mentolati, mentre Maria si occupava di cambiare le lenzuola e rifare il letto. Mentre le applicavamo una pomata sul petto per aiutarla a liberare le vie respiratorie, percepimmo dei rumori provenire dal cortile. I padroni dovevano essere arrivati. Giunse poi l'ora di somministrarle i nostri preparati.
«Margherita, fatti accompagnare da Maria a preparare il decotto e, mentre metti su quello per la Signorina, puoi lavorare anche sull'altro infuso.»
«Certo, nonna.»
Io e la cameriera abbandonammo la stanza, imboccammo un corridoio secondario da cui sbucammo direttamente alle cucine, stranamente silenziose.
«Maria, ma come mai non c'è nessuno?»
«Perché i Padroni sono attesi a pranzo da alcuni Signori, quindi i cuochi sono stati congedati fino a oggi pomeriggio.»
«Capisco.»
Quando cominciai a pestare le varie erbe e radici, la cameriera venne richiamata dalla Madama per andare a servire qualcosa da bere al Signor Barberi nel suo studio. Mi ritrovai quindi da sola ad armeggiare in cucina, per fortuna, avendoci lavorato già il giorno prima, non mi occorse aiuto per trovare ciò che mi serviva. Approfittai della solitudine per soffiare una parola di potere su entrambe le preparazioni, così da amplificarne gli effetti. Misi quindi su un pentolone d'acqua a bollire.
Mentre stavo per porre in infusione gli ingredienti, sentii alle mie spalle qualcuno irrompere nella stanza e prendere posto al tavolo. Capii che era un uomo quando lo sentii parlare, aveva un tono di voce sicuro e arrogante.
«Cameriera, servimi del sidro.»
Mi morsicai la lingua per non rispondere immediatamente in malo modo a quell'odioso Signore, presi un respiro e mi voltai. Davanti a me stava seduto, a gambe incrociate, con le dita aperte e impazienti, ticchettanti sul legno, un affascinante uomo vicino ai trent'anni. Aveva capelli castano scuri, un po' scomposti per via del viaggio, raccolti in un piccolo codino, fermato da un nastro blu. Indossava un farsetto dello stesso colore, pantaloni di lino bianchi e stivali scuri. Aveva un bel viso regolare, un naso importante, diritto, labbra sottili e un paio di occhi azzurri che mi fecero per un attimo perdere un battito. Erano molto simili a quelli di Ada, ma più profondi e senza quell'innata ilarità insita nella più giovane.
Mi riscossi, portai a termine ciò che stavo facendo mentre un cipiglio contrariato mi increspava il viso.
«Mio Signore, mi vorrà scusare, ma io non sono a servizio vostro, non è mio compito.»
L'uomo raddrizzò la schiena e smise di tamburellare le dita, sorpreso da una risposta del genere. Proseguì a rivolgersi a me con fare presuntuoso.
«Ah, no? Sei nella mia cucina, con grembiule e pentola, e non saresti una mia nuova serva?»
Mi morsicai quasi a sangue l'interno della guancia per non esagerare, visto che mi trovavo pur sempre un "gentiluomo" davanti.
«Mio Signore, mi vorrà perdonare di nuovo, ma no. Sono una guaritrice, sono giunta sino a qui con mia nonna Giovanna per curare vostra sorella malata e, questo che ho per le mani, serve a lei.»
Se lo fosse venuto a sapere mia nonna, come minimo mi avrebbe sgridata, non era mai un bene fare l'irriverente con chi era più potente, ma io odiavo sottostare agli arroganti. Il solo pensiero di doverlo accontentare mi provocava un irritante prurito nervoso per tutto il corpo.
Il Signore si alzò di scatto, dirigendosi verso di me, con sguardo duro e altero, fino a quando fu a un soffio di distanza. Mi sentii oppressa dalla figura dominante di lui. Arretrai sbattendo con la schiena contro alle mensole e facendo cadere qualche mestolo. Lui, come niente fosse, si sporse su di me, bloccandomi. Il mio cuore iniziò a battere fuori controllo per l'agitazione. Non riuscivo a capire le intenzioni di quell'uomo, presi coraggio e parlai.
«Cosa state facendo?»
Perdonatemi se ho dovuto interrompere in questo punto, ma il capitolo stava diventando troppo lungo. 😅
Nel prossimo scopriremo l'identità di questo "Signore". 🤭
A presto 😘
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