16. Freddo e dolce come neve (Parte terza)
Una volta fuori da quella stanza cominciai a correre verso l'uscita, rimuginando su tutto quello che era successo. Grazie alla mia dannata linguaccia stavo per rimediare di nuovo un altro schiaffo; avrei dovuto imparare qualcosa dall'esperienza con Amedeo e invece... l'orgoglio continuava a mettermi in pericolo. L'unica nota positiva di tutto ciò era che: anche se Fabrizio sembrava odiarmi, non aveva permesso a quel bruto di farmi del male.
Una volta all'esterno, mi resi conto che aveva cominciato a nevicare.
Piccoli fiocchi cadevano da un cielo grigio e uniforme. Si posavano delicati sulle foglie colorate e si stendevano leggiadri ricoprendo ogni cosa. I giardinieri si erano ritirati, non vi era più anima viva in giro.
Un paesaggio che trasmetteva pace e calma, in netto contrasto con il turbinio di emozioni che mi scombussolavano da dentro.
Scesi le scale e mi infilai nel giardino. Ormai conoscevo la giusta direzione, non ebbi tentennamenti. A metà strada dall'uscita, udii però un lontano richiamo; Fabrizio stava urlando il mio nome, rompendo la quiete circostante. Mi chiedeva di fermarmi.
Non l'avrei fatto.
Aumentai il passo, sapevo che non avrei potuto eluderlo, stavo lasciando una scia di impronte proprio sulla neve, ma ero pur sempre partita per prima. Avevo il fiatone e i polmoni bruciavano a causa dell'aria gelida che penetrava tagliente. Le mani fredde erano diventate rosse e mi iniziavano a far male; le muffole, per mia sfortuna, le avevo lasciate dentro alla cesta. Per lo meno non avevo tolto la mantella e il cappuccio foderato mi copriva la testa e teneva al caldo le orecchie.
«Margherita! Per favore!»
Sembrava sempre più vicino, mi guardai dietro alle spalle per individuarlo, ma non vidi niente. Quando mi rigirai, sbattei proprio contro al suo petto. Il colpo mi fece scivolare all'indietro il cappuccio, facendomi entrare in contatto con i freschi fiocchi di neve.
Le braccia di Fabrizio mi tennero ancora un poco stretta a sé. Ansimavo per via della corsa, ma mi era bastata la sua vicinanza per smettere di percepire il freddo.
Lasciò scivolare le mani lungo le mie braccia, fino a liberarmi dalla presa e fece un passo indietro.
«Conosco ogni anfratto di questo giardino, non puoi pensare di riuscirmi a sfuggire proprio qui.»
Strinsi i pugni, la rabbia stava ribollendo dentro di me come acqua lasciata troppo tempo su un focolare acceso.
«Perché mi avete seguita? Mi avete messa abbastanza in ridicolo di fronte ai vostri cari amici, ora abbiate almeno la pietà di lasciarmi andare a casa mia!»
La sua mascella si tese e gli occhi gelidi promisero tempesta, «Io non ho fatto proprio niente, è Vittorio che è solo un *tüpin! Credimi! L'unica cosa che lo salva è la lunga e duratura amicizia che lega i nostri genitori!»
«Bene! E allora cosa diamine ci fate qui con me, ora?»
Il suo sguardo si incupì, «Perché? Forse avresti voluto che fosse stato qualcun altro a inseguirti?»
Per un attimo rimasi senza parole, aggrottai le sopracciglia, confusa, tentai di capire: «Cosa state cercando di insinuare?»
Si avvicinò a me, a un soffio dal naso e dalle mie labbra, tanto che potevo percepire il suo respiro caldo scontrarsi con la pelle ghiacciata.
«Quando Giuseppe mi ha avvertito che sei arrivata, ti sono venuto a cercare e mi sono imbattuto in un bel quadretto. Tu e mio fratello stavate amoreggiando dolcemente proprio in questo giardino.»
Le sue parole erano puro veleno. Si allontanò repentino da me, mi diede le spalle e fece per andarsene, «Volevo solo sapere se stessi bene, vista la brutta situazione in cui ti sei trovata, ora vado a chiamare Alberto, così almeno potrà riaccompagnarti a casa.» Non traspariva niente dal suo tono, era monocorde e pratico, «E grazie per Ada, ti farò avere il dovuto compenso.»
Stava per sparire dalla mia vista, quando finalmente riuscii a reagire e a collegare a cosa si stava riferendo.
«Aspettate!»
Non si fermò, scattai in avanti e questa volta fui io a bloccarlo per la manica del soprabito.
«Aspettate! Ora siete voi che dovete lasciarmi parlare!»
Arrestò i passi, mollai la presa e lui si voltò di nuovo, puntandomi lo sguardo addosso. Fiocchi ghiacciati si aggrappavano alla sua chioma castana e un velo bianco colorava le spalle del suo abito.
«Io non ho mai, come dite voi: "amoreggiato con vostro fratello", io l'ho respinto oggi!»
Gli si spalancarono gli occhi per la sorpresa, «Non ci credo, vi stavate per baciare.»
«Ma ci avete visti scambiare questo fantomatico bacio?»
Strinse la mascella, «No, sono andato via prima di assistervi.»
Incrociai le braccia al petto, piccata, «Se ci aveste spiato meglio, allora avreste anche notato come l'ho allontanato quando lui mi si è avvicinato troppo.»
Il suo viso si rasserenò, la piccola rughetta che, avevo notato, gli si formava quando era pensieroso o preoccupato per qualcosa, si sciolse. Anche lui però incrociò le braccia al petto, «Io non vi stavo spiando!»
«Ah, no?! E come lo definireste voi ascoltare i fatti degli altri senza farsi vedere?»
Strinse gli occhi in due fessure, «Io sono il Conte Barberi, non spio di certo la gente!»
Alzai gli occhi al cielo, esasperata, e lui mi sorrise per la prima volta da quando mi aveva vista con Ada. Si avvicinò a me e fece per prendermi le mani, ma io lo scacciai, irritata persino del suo repentino cambiamento d'umore.
«E voi pensate che le cose tra noi siano risolte così?»
Alzò le spalle confuso, io lo fissai furiosa, «Tornatevene pure dalla vostra Contessa, visto che non vedevate l'ora di passare il pomeriggio con lei!»
Questa volta fui io a superarlo per dirigermi verso l'uscita, ma lui fu più lesto, quando gli fui a portata, mi afferrò per la vita, tirandomi all'indietro e facendomi scontrare con il suo petto.
Fece scorrere le labbra lungo il mio collo, causandomi una serie di brividi che non avevano nulla a che fare con la neve che continuava a scendere inesorabile. La sua irresistibile colonia mi avvolse in una nuvola.
Si fermò contro al mio orecchio, «Sei gelosa?» sussurrò, ridacchiando come un ragazzino monello. Provai ad aprirgli le mani per liberarmi dalla sua presa, più per ostinazione che volontà vera e propria, ma ottenni solo che le rinserrò.
Con un leggero schiocco, mi baciò proprio sotto al lobo. Ormai avevo smesso di dimenarmi, anzi, al contrario, ero grata che mi stesse in qualche modo sostenendo, perché nel frattempo le mie gambe si erano fatte molli.
«Non mi importa niente di Beatrice, ero solo arrabbiato con te per via di mio fratello. Soprattutto dopo che l'ultima volta mi hai dato un piccolo assaggio delle tue morbide labbra.»
Non riuscivo più a respirare, né a emettere alcun suono. Lui mi voltò, senza staccarsi da me. Ci guardammo negli occhi, i suoi erano colmi di desiderio e i miei non dovevano essere da meno.
«Adesso basta. Ti avverto, Rosaspina, sto per baciarti.»
Rapita da lui, dalle sue iride azzurre, annuii, incapace di rispondere. Si avvicinò lentamente alla mia bocca che iniziò a saggiare delicatamente. La sua era proprio come me la ricordavo, morbida e invitante.
Vedendo che non tentavo di opporre nemmeno un minimo di resistenza, si fece più impetuoso e passionale. Con la sua lingua schiuse le mie labbra e si insinuò alla ricerca disperata della mia.
Fu una sensazione straordinaria, prepotente, unica e soverchiante.
Mi strinse a sé con maggior vigore, i nostri petti si scontrarono e mi parve quasi di sentire i cuori battere all'unisono, anche se era più probabile che fosse solo il mio a fare tutto quel baccano, rimbombandomi nelle orecchie e facendomi credere chissà cosa.
Mi feci anche io più temeraria. Con le mani gli percorsi il viso, liscio e sbarbato, arrivando a infilarle tra i suoi capelli, tirandoli piano verso di me e scatenando dentro di lui un roco suono di gradimento.
Stavo perdendo me stessa in quel contatto e rinascendo al tempo stesso. Era come se lo avessi aspettato da una vita intera.
Quasi non prendevamo fiato. Respiravamo uno il desiderio dell'altra.
Quel bacio mi stava trasportando in un altro mondo. Sapeva di lui, sapeva di me, sapeva di noi. Un bacio inaspettato, desiderato. Un bacio che racchiudeva insieme la sua arroganza e il mio orgoglio, ma anche la sua premura e la mia dolcezza.
Non ci rendevamo nemmeno conto dell'aria fredda, eravamo intirizziti e gelati, ma non ci importava. I fiocchi vorticavano attorno a noi. Quelli che entravano a contatto con i nostri visi, si scioglievano a causa del calore che sprigionavamo e si incastravano tra le nostre labbra, donando al nostro bacio un ricordo e un sapore unico, freddo e dolce come neve.
*tüpin: questo termine indica il pitale che si usava una volta per la raccolta dell'urina durante la notte. Per estensione, l'uso come parolaccia, indica una persona che è considerata alla stregua di un contenitore per la pipì. Altre interpretazioni danno a "tüpin" il significato di pentola di coccio, dunque, riferito a una persona, "cocciuto" o "stupido".
Buongiorno! Finalmente (dopo ben sedici capitoli!) la nostra protagonista si è lasciata andare al suo primo bacio! Siete felici o avreste preferito vedere Alberto al posto di Fabrizio?
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate! 😉
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro