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2ª parte (01)

Mi finisco di preparare il più velocemente possibile ed evito di guardarmi nuovamente allo specchio per evitare altre illusioni.

Recupero il telefonino ed esco di casa di corsa. Non aspetto l'ascensore e, con una strana sensazione di paura a fior di pelle, scendo le scale come una furia arrivando col fiatone nell'atrio. Il portiere spalanca la porta e mi accenna un sorriso, che non riesco a ricambiare per via del fiatone. Faccio un cenno con il capo e mi lascio cadere sul sedile dell'automobile posteggiata davanti, non appena vedo la portiera aperta.

Guardo l'orologio e dico a George, l'autista di famiglia, di portarmi alla conferenza di mia madre.

Arriviamo in pochi minuti.

Sono in perfetto orario, come ci si aspetterebbe da me, la figlia di Eleonor, e vado a sedermi in prima fila mentre il luogo, pian piano, si affolla sempre di più.

Con due minuti di ritardo mia madre, come previsto, sale sul palco e si schiarisce la gola prima di iniziare il suo discorso.

«Le scorciatoie non mi sono mai piaciute. Voler aggirare qualche cosa, il pericolo, e intraprendere un'altra strada, l'ho sempre paragonato al nascondersi. Per questo, da sempre, ho affrontato ogni timore, ogni ostacolo, senza deviare la rotta e scappare, ma a testa alta, sicura di me stessa. » Fa una lunga pausa e lascia scivolare lo sguardo sui cittadini dinnanzi a sé, senza mai guardarli per davvero. Li attraversa, non soffermando la propria attenzione. Fa un sorriso sbilenco ed elegante, per poi riprendere a parlare con tono soave.

« Sono qui, quest'oggi, per rendere ufficiale la mia candidatura alla carica di senatore di questa piccola, ma speciale cittadina.
Sono qui per esporre a tutti voi i miei pensieri e i miei progetti che vorrei realizzare in un futuro prossimo. Aspiro ad ottenere la nomina per far sì che i desideri della comunità possano esaudirsi, che ogni richiesta possa essere soddisfatta. Desidero che molte cose cambino, che questa società, ora in decadenza, si risollevi dalle proprie ceneri come una fenice: più maestosa e forte di prima.
Vorrei essere colei che dà voce a chi non ne ha, ascoltare per chi è sordo e vedere per chi non può. Vorrei combattere per i diritti di ognuno, in nome di coloro che non ne hanno né la forza né la possibilità.

Non sono qui per ingannarvi e convincervi a votarmi. Se qualcuno vorrà appoggiarmi, lo faccia solo perché condivide le mie idee e non per dispetto nei confronti degli altri candidati. Seguitemi, se davvero pensate che io sia colei di cui avete bisogno. Chiedo che ognuno di voi sia imparziale e che scelga dettato non dalla simpatia, ma da criteri obiettivi di valutazione.
Non c'è posto per gruppi intrichi.
Grazie a tutti voi di essere venuti, vi aspetto al prossimo incontro. »

Batto le mani e mi alzo seguendo il pubblico in un clamoroso applauso. Mi faccio spazio tra la folla e raggiungo mia madre, che cerca in tutti i modi di ignorare alcuni fastidiosi giornalisti.

« Procuratore Young, ci dia due minuti per un paio di domande! Come pensa di risolvere il problema della discriminazione qui in Oklahoma? »
« Cosa può dire riguardo al discorso del candidato Parker? »
« Arriva sua figlia, ci concede di farvi una foto con la vostra famiglia? »
Le domande dei giornalisti si sovrappongono, dando vita ad un vociare confuso.

Eleanor accenna un sorriso prima di chiudersi la portiera alle spalle e di farmi cenno di muovermi. Obbedisco silenziosa.

Mi torna alla mente il bagliore dorato dei miei occhi e la brutta sensazione torna più forte di prima. È come se fossi in una scatola strettac dove tanti aghi spuntano e al minimo movimento mi pungono, insidiosi. Rabbrividisco.

« MaryLuis, mi stai ascoltando? »
Sbatto le palpebre un paio di volte per tornare alla realtà. Spesso mi capita di perdermi nella mia testa, assorta da nulla di concreto, da un intrico di pensieri.

« Ero distratta. Puoi ripetere? »

« Sei sempre con la testa altrove, è fastidioso » mi rimprovera. Mormoro uno "strano" senza che farmi sentire e non interrompendo il suo discorso.

Faccio, indosso, dico o sono sempre qualcosa di sbagliato.

In tutta la mia vita, mi è stato detto brava solo una volta: alla vittoria di un concorso organizzato dalla NASA per giovani geni, in quinta elementare.

« Stavo dicendo » prosegue, « che hai mezz'ora di tempo prima della partenza verso il ristorante. Cambiati il vestito, questo ti fa le cosce grosse e per di più il rosa non ti dona affatto. Sistemati i capelli, sembri una selvaggia. Un'ultima raccomandazione per la cena: evita di sparire nel tuo mondo, intesi? » Annuisco e sbuffo mentalmente.

L'immagine delle mie iridi di un verde incandescente mi travolge con cautela, scaltra e astuta. Si insinua pian piano nella mia testa e si fa largo tra i pensieri per poi presentarsi di colpo. Mi costringe a chiudere gli occhi per lo spavento e ne approfitto per studiarla meglio.

Più la guardo e più mi convinco che quello che ho visto fosse reale quanto me.

L'auto si ferma davanti al nostro appartamento e scendo per darmi una sistemata prima di uscire nuovamente.

Un'ora dopo sto entrando, dietro mia madre, in un ristorante di lusso. Ho cambiato d'abito e ho legato i capelli in una crocchia disordinata ed elegante allo stesso tempo. Ai lobi brillano due Swarovski e ho intorno al collo un vecchio cimelio di famiglia, un grosso e antico ciondolo con un rubino incastonato all'interno.

Veniamo scortate ad un tavolo dove ci attende la famiglia Parker in tutto il suo splendore.

Inseguito ai saluti, ci sediamo e la lunga serata ha ufficialmente inizio.

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