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La maledizione d'un demone

Era una notte fredda, il cielo era oscurato interamente e dei piccoli ma molteplici gelidi fiocchi di neve scivolavano dalla grande distesa grigia fino al suolo, ricomparendo ogni cosa con quel puro e luminoso bianco che rifletteva ogni minima luce.

L'aria gelida, tipica delle notti invernali accarezzò la pelle dell'uomo che si guardava turbato e confuso attorno, come in cerca di risposte alla moltitudine di domande che vorticavano senza sosta nella sua mente, si chiedeva molte cose: cosa ci faceva li, come ci era arrivato e perché non ricordava nulla?

Poi d'un tratto la luce pallida della luna si riflesse sul candido manto che aveva coperto ogni cosa nelle vicinanze, lui compreso, allora alzò lo sguardo al cielo e vide un buco fra quella fitta coltre di nuvole che avevano nascosto quello spettacolo magnifico.

Alle sue orecchie attente giunse una risata di donna, un dolce suono melodioso carico di gioia e quelle di un uomo pregne dei medesimi sentimenti in quello spazio desolato, lontano da tutto e da tutti, ancora una volta si chiese dove fosse finito e perché tutta quella situazione sembrasse così familiare, ma non poteva fate altro che farsi domande senza ricevere risposte.

Fece un passo e un suono metallico lo stupì, non indossava nulla che avrebbe potuto fare quel rumore da quanto ricordava, ciò lo spinse curioso ad osservare i propri indumenti e notò un rosario d'argento pendere dal suo collo e una lunga vesta nero pece coprirgli il corpo, ricordava un tempo lontano in cui quei panni lo distinguevano e si sentì inquieto.

Che fosse un ricordo che aveva rimosso, si chiese questa volta mentre i suoi occhi rossastri si perdevano ad osservare quell'orizzonte non così sconosciuto come aveva inizialmente pensato, lasciò il suo sguardo libero di vagare come alla ricerca di qualcosa o qualcuno.

Poi li vide, due ragazzi innamorati che si sorridevano e rincorrevano nella neve con gli occhi pieni d'amore, lei sembrava volteggiare sorretta dall'aria gelida che non la turbava nonostante indossasse un semplice vestito bianco piuttosto fino e privo persino di maniche mentre lui la osservava affascinato.

Impugnò la spada d'argento che nascondeva sotto al sua veste sacerdotale mentre osservava i marchi che distinguevano le creature demoniache in bella mostra, strinse i denti e si lanciò all'attacco quando lei fu distratta, uno alla volta sarebbe stato possibile ma due insieme era fuori questione.

Trafisse il cuore del demone, lui che era un sacerdote esorcista sapeva bene quello che doveva fare per uccidere una di quelle maledette creature divora anime e lo fece, prese la sua vita senza tristezza ne rimorso per aver stroncato un amore tanto dolce.

Le nuvole si strinsero ancora una volta, il gelo portato dall'inverno  si fece più pungente e un senso di oppressione gli pervase l'anima prima che un piccolo turbine d'aria e piume di colori come verde scuro, il blu notte e rosso bordeaux si creò davanti ai suoi occhi.

Quando si disperse davanti a lui appare la figura femminile che prima sorrideva piena d'amore, ora lo osservava con gli occhi sangue che brillavano d'odio inondati di lacrime amare e le labbra pressate fra loro nel tentativo di reprimere il suo odio e il suo dolore.

«Perché hai ucciso il mio amato, lui non ha mai fatto del male ad un solo umano ne in vita ne rinato come demone,perché? » «Voi non provate emozioni e per sopravvivere per rete anime innocenti e le divorate» «Provi rimorso per quello che hai fatto, umano?» «No» rispose a denti stretti provando a colpirla come aveva colpito il suo amato.

«Tu che hai distrutto la mia felicità pagherai, rinascerai come demone, troverai qualcuno da amare, qualcuno che desidererai guardi solo te eppure questo non accadrà, non ti sentirai mai amato» disse la ragazza svanendo nel nulla lasciando l'uomo solo in quella fredda notte con la maledizione che lo avrebbe seguito, quella maledizione che dimenticò e che, ora che l'aveva ricordata, lo rendeva, per qualche ragione, nervoso.

Quando si destò da quel sogno così reale si guardò attorno riconoscendo le pareti delle residenza dove serviva come maggiordomo; un sentimento di oppressione lo avvolse e si sentì stranamente turbato -un sogno- pensò fra se e se mentre si lavava e indossava la sua uniforme nero pece e bianco puro.

Si guardò allo specchio controllando, come sua consuetudine, di essere perfettamente in ordine e osservando la sua figura riflessa pensò che non avesse più nulla di quando era un semplice umano, secoli e secoli fa, se non i suoi lineamenti e storse il naso al suo medesimo turbamento.

Uscì dalla propria stanza e, con passo posato e regolare, percorse i corridoi della residenza fermandosi poi davanti alle imponenti porte in legno d'Ebano minuziosamente intagliate, le osservò per un paio di secondi e poi le aprì senza fare troppo rumore preparando il suo consueto inchino.

Appena varcata la soglia d'entrata della stanza del suo padroncino abbassò la schiena, portò la mano sinistra al petto e abbassò lo sguardo al pavimento ricoperto dall'immenso e morbido tappeto attendendo gli ordini, era tutto come al solito nonostante quello spiacevole sogno.

Non ricevendo risposta tornò in posizione composta e adagiò le sue iridi scarlatte sulla figura dormiente del suo contraente: le tende erano socchiuse e la luce esterna si rifletteva sulla sua pelle diafana coperta solo dalla camicia dell'uomo con cui suoleva dormire, sui suoi capelli cobalto e le labbra pescate mentre il lenzuolo candido scivolava in mezzo alle sue gambe esili fino alle sue mani minute e allungate.

Mentre osservava quella scena così deliziosa per la vista sentì qualcosa muoversi nel suo petto, la sorpresa si affacciò sul suo volto quando si rese conto che il suo cuore aveva sussultato nel vedere così indifeso e innocente colui che avrebbe inseguito fino alla fine, colui che lo aveva intrappolato in un contratto senza fine e senza premio.

Prima che potesse rendersene conto si mosse, avanzò fino a raggiungere il letto a baldacchino su cui Ciel riposava e protese la sua mano guantata fino a quasi sfiorate quella pelle pallida che sapeva bene essere morbida e liscia come la più pura, nobile e preziosa delle sete, ma si fermò poco prima.

La tentazione si faceva sentire forte ma quel comportamento non era da lui, sentire l'ardente desiderio di sfiorare, senza alcun motivo, il suo padroncino era inusuale, curioso e totalmente fuori dal suo personaggio che invece era freddo e indifferente.

Ci mise poco a tornare sui suoi passi e quel tempo fu sufficiente perché gli occhi impenetrabili del giovane ragazzo, ora demone, si aprissero dopo un riposo non necessario ma bensì abitudinario e già da appena desto gli bastò osservare il suo maggiordomo per notare che c'era qualcosa di diverso quella mattina.

Appena i loro sguardi si erano incrociati il corvino aveva fatto un passo indietro e, con un attimo di esitazione solitamente assente, si chinò in un inchino composto ma ugualmente frettoloso, come se non ciò non fosse già sembrato sospetto egli evitò, il più possibile, il contatto diretto fra le loro iridi.

Ciel era una di quelle persone che sono facili da rendere irrequiete, diffidenti e soprattutto facili da infastidire e quel suo comportamento lo fece irritare, ma aveva imparato a celare i suoi stati d'animo a quel maggiordomo dalla lingua affilata e si comportò come era solito.

Però, nonostante la decisione del ragazzo di vedere fino a dove questo suo strano modo d'agire si sarebbe spinto ebbe vita breve dato che Sebastian sembrò avere problemi persino nel prepararlo come aveva fatto tutte le volte per ben due anni.

«Sebastian »lo chiamò con voce piatta ma seria, suonava come un imposizione e come un rimprovero eppure non aveva pronunciato altro che il nome del suo maggiordomo demoniaco che si inginocchiò a terra con il volto basso in attesa.

Data la posizione in cui si era messo, sua solita, non poté notare lo sguardo cobalto dell'altro assumere una sfumatura scarlatta e canzonatoria, come non poté notare la smorfia sul suo volto evidentemente infastidito.

«A cosa stai pensando?» chiese mentre con la punta del piede gli imponeva il contatto visivo, lo sguardo che assunse mandò in confusione il demone già turbato che però riuscì a nascondere il suo tormento interno «Ho solo ricordato il passato, bocchan » «Ah, non mi interessa fai in modo che non sia più d'ostacolo al tuo lavoro » disse con voce pungente e aspra lasciandosi finalmente preparare adeguatamente.

Una volta che le esperte mani di Sebastian ebbero legato il fiocco blu al collo del suo padroncino gli fu concesso il congedo e si ritirò nella sia stanza non avendo nulla da fare, nessun ordine imposto, nessuna mansione da svolgere...

Si abbandonò sul letto allentando la cravatta nero lucido, comportamento completamente inaspettato e strano oltre modo per lui che era sempre impeccabile, per lui che non provava più di certe emozioni.

La sua mente era combattuta fra il ricordo di quella gelida notte e i sobbalzi che il suo cuore aveva recentemente iniziato a fare a causa della semplice presenza del suo padroncino, per quel suo sguardo divenuto illeggibile quanto pericoloso per la sua maschera già andata all'aria.

Ciel si sedette alla sua scrivania in legno, incrociò le dita fra loro per poi portate le mani all'altezza del naso e appoggiare i gomiti sul legno freddo scioccando la lingua sul palato evidentemente indispettito dallo spaziare nelle nuvole del suo maggiordomo, voleva punirlo ma non sapeva bene cosa fare perciò si limitò a leggere un libro causale trovato fra la moltitudine di quelli in suo possesso.

Dal canto suo Sebastian invece stava lentamente, suo malgrado, realizzando che le parole pronunciate come una maledizione da quella ragazza nella sua vita precedente erano giunte ancora una volta alla sua mente perché si stavano avverando, perché quello era l'inizio del suo tormento.

E a questo punto si fa piuttosto ovvio che tipo di sentimenti il tenebroso e affascinante Sebastian Michaelis serbasse nei confronti del suo padroncino, di come lo avesse sempre negato appellandosi alla scusa di essere un demone e che i demoni non provano sentimenti perché non era vero.

Da quella mattina oltremodo sorprendente passò un intero mese nel quale i sentimenti romantici del povero maggiordomo demoniaco non facevano che crescere e alimentarsi nel suo animo peccatore mentre serviva il suo padroncino fingendo che nulla lo toccasse e che nulla fosse successo, ignaro di ciò che gli passasse per la mente.

Poi in piena notte, mentre Ciel percorreva i corridoi della tenuta Phantomive accompagnato da Sebastian che faceva luce tutto cominciò ad essere coperto da uno strato di ghiaccio e l'aria iniziava a farsi tanto gelida che un qualunque umano sarebbe andato velocemente in ipotermia per poi morire, il freddo l'uomo lo ricordava e il terrore di perdere la persona che amava lo pervase.

Una figura a lui purtroppo familiare si mostrò davanti a loro con un sorriso sadico e con gli occhi inondati di odio mentre mostrava la sua pelle bianca coperta di marchi neri come la disperazione nascosta nel suo sguardo accusatorio rivolto al più alto.

«Chi sei? » chiese calmo e forse anche un po' annoiato il signorino di quella casa incrociando le braccia al petto mentre affilava lo sguardo demoniaco puntato sulla sconosciuta «Sono qui per avere la mia vendetta, per distruggere il tuo maggiordomo » disse lei con evidente follia nella voce, rendendo la donna gentile che era stata solo un mero ricordo di un tempo antico che non tornerà mai.

«Cosa vuoi fare? » chiese questa volta Sebastian ponendosi qualche passo dinnanzi al suo padroncino mosso dall'istinto mentre una paura mai provata prima si impossessò fino all'ultimo centimetro delle sue membra compiacendo colei che gli era davanti.

Una risata distorta quanto malata si diffuse per quel corridoio stretto, buio e gelido prima che definisse chiaramente le proprie intenzioni «Voglio uccidere il tuo padroncino, non c'è modo peggiore per farti del male » rise ancora mostrando la pazzia che l'aveva divorata.

Ciel sospirò, scostò qualche ciocca che gli ricadeva sul volto diafano e si tolse la benda che copriva il marchio portato dal contratto stipulato con quel bellissimo demone che ora era davanti a lui con il chiaro intento di proteggerlo, sapeva bene come punirlo.

«Non puoi uccidere un demone » «Ma tu hai ucciso il mio amato... » «Non poteva essere un demone altrimenti non sarebbe morto » «Non mi interessa!» gridò lei con espressione di pura follia con uno scatto tanto veloce che l'uomo non ebbe il tempo di reagire mentre lei affondava le sue dita nel suo cuore pulsante.

Sentì dolore mentre il sangue lasciava il suo corpo e lentamente il muscolo vitale cominciava a rigenerarsi veloce come sempre ma dal suo punto di vista troppo lentamente, mentre era a terra lei si avvicinava lenta al ragazzo che la guardava con aria di sufficienza e superiorità, solo all'ora riuscì ad alzarsi e fu giusto in tempo per vedere la testa del ragazzo separarsi dal suo corpo per poi toccare il suolo.

Rimase in silenzio ad osservare il corpo immobile del suo padroncino che non accennava a muoversi mentre il panico lo stava facendo impazzire ma poi dal nulla fece una piccola smorfia, ora che ci pensava nulla era cambiato da quando aveva compreso i suoi sentimenti, il suo padroncino lo stava solo provocando come faceva sempre.

«Mah, mah, bocchan, non è il momento per certe cose » disse con il suo ritrovato tono ironico mentre riassumeva quello sguardo divertito e provocatore che aveva sempre avuto «E io che speravo di vederti entrare in panico e poi rinfacciartelo a vita » disse lui mentre il suo corpo tornava come in origine mentre squadrava il suo ritrovato maggiordomo insopportabile.

Si avvicinò alla donna che li osserva quasi incosciente di tutto se non dell'odio che covava nel suo cuore da secoli e secoli, la osservò silenziosamente con quello sguardo canzonatorio mentre poggiava il suo bastone a terra nella sua classica posizione saccente e altezzosa.

«Dovresti scegliere meglio le persone da vendicare, sai quel demone è un tipo problematico che continuava ad entrare nel perimetro della mia abitazione » disse guardandola dall'alto in basso con una spaventosa ombra nello sguardo «Ho fatto in modo che non potesse fare altro che urlare » terminò mentre la osservava sgranare gli occhi.

L'uomo solo allora ricollegò gli avvenimenti di tempo prima, la sensazione di una presenza ostile, le improvvise sparizioni di Ciel e il ricordo di quello che accadde nella sua vita precedente, quando era un prete umano che si occupava degli orfanelli e dei demoni, poco dopo la ragazza scomparve e Sebastian sapeva già cosa aspettarsi.

Il suo padroncino gli si avvicinò e lo obbligò in ginocchio mentre lo osservava dall'alto in basso con un certo sadismo nello sguardo «Allora, hai avuto paura? » chiese sapendo che l'altro non avrebbe potuto mentire, non a lui «Si » «Bene, ricordala, la paura di perdermi e seguimi, fino alla fine, è un ordine»

Un sorriso nascosto si affacciò sul volto del maggiordomo che non poteva non ammettere la sua sconfitta quella volta e che non poteva nascondere quanto amasse quel modo di fare del suo contraente «Yes, my lord » rispose sotto imposizione del contratto per poi alzare il volto.

I suoi occhi si fissarono in quelli cobalto dell'altro che gli prese il volto e si abbassò tanto da far incontrare i loro respiri «Non provare a pensare mai più a qualcuno diverso da me » sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra per poi tornare in posizione diritta e voltarsi «Andiamo.»

Sebastian lo avrebbe seguito sempre, non importa dove o perché, lo avrebbe seguito sempre con quei sentimenti nel cuore cercando di cogliere ciò che albergava bel cuore del suo amato padroncino.

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