Cap. 6
Kyrie, eléison.
Quelli che hanno seguito la bara fino al camposanto ora circondano il legno lucido, poggiato sul lato della fossa già scavata. Kyrie, eléison, biascicano.
Christe, eléison.
La voce di padre Ferdinando echeggia sicura, tutti gli altri mormorano ripetendo in modo meccanico la formula latina: Christe, eléison.
Kyrie, eléison. Il sacerdote è l'unico veramente consapevole del significato dell'invocazione, e procede con l'intonare ad alta voce il Pater noster. Cettina lo asseconda con spirito assente, la giornata è bella come quella di due anni prima, quando a quindici anni camminava lesta per le vie di Napoli.
Questa è la città, si diceva con un misto di reverenziale timore e inesauribile curiosità, ben attenta a non camminare sulle strade trafficate di carrozze e carri, tenendosi sul marciapiede. Nulla di quella animazione le era già nota, né le strade in basolato liscio e regolare, né la cura degli abiti, né la varietà e l'altezza dei palazzi. Ogni cosa era diversa, lì: gli odori, i suoni, i colori... Cettina stentava a rimanere concentrata. Eppure quell'avventura aveva richiesto tanta preparazione, tanta cura, e lei aveva un programma stretto stretto. Sua madre doveva accompagnarla, all'inizio, e avevano parlato insieme col limonaio che ogni quindici giorni portava la sua merce odorosa in un mercato centrale della città. Avevano chiesto della via e del palazzo e lui aveva annuito col capo, gli era noto, anche la ricamatrice era ricorsa al suo carro per quel viaggio. Lui l'accompagnava quasi a destinazione, a non più di qualche centinaio di metri dal palazzo. Poi però lui doveva deviare, e la ricamatrice, concluso la consegna, lo raggiungeva a piedi al mercato, per avere il passaggio di ritorno nel pomeriggio. Sembrava una cosa semplice, purché a palazzo la ricevessero senza appuntamento e il commercio non durasse troppo tempo. Filuccia conosceva bene il limonaio, cugino di suo marito, e era stato preso un appuntamento: presto, prima che la stagione migliore dei limoni finisse, di lì a poco l'uomo avrebbe smesso i suoi viaggi, per tornare a vendere ortaggi invernali solo al paese. Ma vanno mai tutte le cose come devono? Filuccia s'era ammalata proprio alla vigilia della grande avventura! Bollente di febbre, s'era alzata e rimessa giù. Dovevano rimandare, era evidente. Ma Cettina smaniava, non aveva altra tela e non voleva rimanere inoperosa per altri quindici giorni. "Andrò da sola. Non c'è davvero nulla da temere, poca strada da fare a piedi e del mio lavoro so ben parlare, di quel che ho fatto e di quel che voglio proporre. Tranquilla, mamma, andrò e tornerò con i soldi e una commissione. Sai che puoi fidarti".
E Filuccia lo sapeva, perché quella figliola le era venuta su davvero assennata, una perla di ragazza. Benché nei suoi occhi brillasse un certo fuoco deciso che spesso la spaventava. "Concetta..." tentò con debolezza, e quando usava il nome intero già era per farle qualche discorso serio.
"Non devi preoccuparti, ti dico. So quello che faccio", e la ragazza aveva alzato appena il viso, come quando da bambina si raddrizzava per farsi più alta.
Come prevedibile, Cettina aveva raggiunto il limonaio da sola, i lunghi capelli ricci chiusi in una stretta crocchia sulla nuca, il viso incorniciato da quelli corti che rifiutavano la disciplina del pettine. Un ampio fazzolettone le copriva le spalle, ricadendo la punta tra le scapole e incrociandosi le lunghe cocche sul davanti, coprendo il petto e infilandosi, sui fianchi, nella lunga gonnella.
Il limonaio l'aiutò a salire accanto a lui, concedendosi, data la confidenza, qualche complimento alla bella signorina con cui avrebbe viaggiato. Cettina fissò lo sguardo avanti, senza replicare, e quello frustò ridendo il cavallo, il panciotto, in tela nera con i lacci, che sussultava sul girovita abbondante.
E infine, Cettina aveva camminato per la città, concedendosi di goderne le bellezze. Era stata già ricevuta, la signora aveva ammirato con sincerità la tovaglia e sì, aveva ben tre corredi da preparare per le figliole che già si affacciavano all'adolescenza. Si erano accordate facilmente su un ordine di prova, con un monogramma che Cettina si riservava di disegnare con calma, dopo aver visto quello dello stemma di famiglia. Intanto, la signora le aveva messo in mano una buona somma, meno di quanto avesse chiesto e più di quanto avesse sperato. Era uscita col cuore leggero, i numeri nella mente che si rincorrevano: un tanto per comprare tela e filato per il prossimo lavoro, un tanto per ripagare sua mamma che aveva anticipato il lino per la tovaglia, un tanto per la famiglia, perché la vestiva e la sfamava, e un tanto per sé, per il futuro, soldi tutti, solo, suoi! Il suo primo guadagno. In quella giornata così solare, Cettina camminava a un palmo da terra e ogni cosa intorno era bella: le donne con i cerchi alle orecchie, potrei comprarmi anch'io degli orecchini d'oro!, le lunghe gonne ampie di velluto o taffetas. che applicazioni di fasce policrome rendevano così belle e diverse da quelle che si portavano in paese. Anche gli uomini erano ben vestiti, almeno in quella elegante strada centrale. Poi, la ragazza svoltò verso il mercato. Era assai presto per presentarsi all'appuntamento, e quando fu in vista della meta si arrestò. Si guardò in giro. Davvero doveva raggiungere l'uomo e restare seduta sul carro fino al momento di ripartire? Poteva camminare ancora un po', tra quelle vie che risuonavano di voci allegre, come in paese non succedeva. Qui tutto sembrava così animato, così vivace e colorato. Le case in paese erano monotone, basse, bianche, e le donne scure, quelle anziane sempre nere di lutto per qualcuno, e comunque grigie e marroni tutte le altre, vestite di panno e lana tinta in casa con la fuliggine del camino o il mallo delle noci. Sorridendo, cambiò strada e s'infilò tra le vie più strette del quartiere, salendo ispirata tra i vicoli, lo sguardo ai banchi e alle botteghe aperte che li animavano. Io la seguivo già da tanto, l'avevo vista crescere, era riuscita a incuriosirmi. E sì che l'umanità tutta mi era venuta più che a noia. Nausea, disillusione profonda: non c'è tra gli uomini che povertà di spirito, presunzione, meschinità. Cattiveria feroce, tagliente, non c'è creatura peggiore in un creato buio, nonostante le stelle. Ma la noia della mia condizione mi aveva portato fino a donna Concetta e alla sua Cettina. La seguii nei vicoli sempre più angusti fino a quel buco, in cui entrò spinta dall'ingenuità dei suoi quindici anni.
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