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Capitolo 6

Percorro Hermannstrasse allo stesso ritmo frenetico con cui i miei pensieri si susseguono uno dietro l'altro. Ancora una volta ho quella sensazione, come di essermi sognata tutto. Quel bacio è arrivato talmente all'improvviso, imprevedibile come un temporale estivo, che arriva da chissà dove e sconvolge tutto per poi lasciar tornare il sole. Peccato che il sole non torni quasi mai perché sono a Berlino, c'è il freddo, la pioggia, ma il sole ancora no.

Prendo la metro come al solito, ma questa volta in direzione opposta rispetto alla normalità: vado verso l'aeroporto. Mi lascio cullare dal rumore del treno sulle rotaie, mi perdo a guardare gli edifici che scorrono uno di fianco all'altro, cercando di dimenticare tutta quella storia.

Poi il treno arriva al capolinea, scendo insieme a una miriade di persone con la valigia appresso.

In quel momento mi sento distante rispetto a loro, come se fossi una berlinese e invece tra qualche giorno sarò anche io così, con la valigia, diretta verso il paesino francese da cui sono venuta. Cerco di convincermi che tutto ciò è ancora lontano: d'altronde mi sembra già passata una vita da quando il mio aereo è atterrato in quella terra a me sconosciuta.

Varco le porte dell'aeroporto e giusto qualche secondo dopo mi arriva un messaggio da Anna: mi aspetta agli arrivi, vicino allo stand degli hot dog.

Sapendo di essere già nel posto giusto, mi guardo attorno e vedo lo stand giusto a una decina di metri sulla destra, preso d'assalto da una piccola folla.

Anna è giusto lì di fianco, il suo corpo snello e di bassa statura avvolto in un corto cappotto nero e i lunghi capelli ondulati nascosti sotto un berretto rosso. Alza un braccio per farsi notare e io la raggiungo a passo veloce.

- Allora? Non è ancora arrivata? - esordisco dopo averla salutata.

- Non ancora, ma dovrebbe essere qui tra poco: il suo aereo è già atterrato - risponde, indicando lo schermo degli arrivi, dove di fianco al volo in arrivo da Bologna lampeggia la scritta landed.

Ci spostiamo per metterci di fronte all'uscita dei passeggeri. Anche Anna, proprio come me, ha l'aria impaziente: si guarda attorno continuamente, aspettandosi di vederla arrivare da un momento all'altro.

Scruto con attenzione tutti coloro che escono, cercando di vedere al di là dei gruppi di passeggeri. Poi ecco, giusto dopo un ultimo gruppo di persone, vedo spuntare la figura alta e slanciata di Martina. I capelli biondi sono legati in una coda, lasciando risaltare la frangia che ricade sulla fronte e in parte sugli occhi nocciola. I tacchi dei suoi eleganti stivali neri ticchettano sul pavimento liscio.

Appena ci vede ci corre incontro, ci afferra tutte e due in un abbraccio. - Che bella questa riunione dopo tanto tempo! - commenta, sciogliendo l'abbraccio. - Sono almeno tre mesi per noi due, mi sembra passato un secolo! - osservo.

- E almeno cinque con te, incredibile! - aggiunge, rivolgendosi ad Anna e cominciando ad incamminarsi verso l'uscita a passo veloce. Proprio come me quando sono arrivata, anche lei è entusiasta e impaziente di uscire all'aperto, di respirare l'aria di una nuova terra.

Mi ricordo che quando sono arrivata io, quando le luci dell'aereo si sono spente per prepararsi all'atterraggio, ho guardato fuori dal finestrino. Ho visto un'immensa distesa di luci spiegarsi dall'oscurità per chilometri, sembrava richiamarmi a sé.

Poi, quando l'aereo ha toccato terra, quando ho visto la scritta Berlin Schoenefeld sul grande edificio, ho avuto un tuffo al cuore. Ero arrivata, ero lì. Non posso negarlo, il mio pensiero è corso subito a lui, a Jonas, l'idea di rivederlo, dopo essere stati a migliaia di chilometri di distanza, essere nella stessa città, raggiungibili.

E quel senso di eccitazione e paura, la voglia di uscire dall'aeroporto, di respirare quella nuova aria. Non so se Martina prova tutto ciò mentre esce dall'aeroporto e si guarda attorno, ma posso solo immaginarlo.

Ci avviamo verso la metro, prendiamo il primo treno verso il centro città.

- Ti va di andare a fare un giro in centro o sei troppo stanca? - le chiede Anna, una volta sedute.

- No, sto bene, anzi, ho voglia di cominciare ad esplorare -

- stasera non fa nemmeno troppo freddo - osservo, dando uno sguardo fuori dal finestrino, verso l'oscurità che è calata, ricordandomi del vento gelido delle sere precedenti.

- Devo ammettere che questi giorni sono stati piuttosto freddi anche per una berlinese – conferma Anna.

- Quindi il programma di stasera? Sono curiosa – insiste Martina con aria entusiasta.

- Pensavo che potremmo andare al mercato natalizio a mangiare qualcosa, visto che dopo Capodanno non ci saranno più -

- Ottima idea – approva Martina ed io annuisco.

Scendiamo dal treno, usciamo dalla stazione in una delle grandi vie di Berlino a cui ormai mi sono abituata. Martina invece no, si guarda attorno, esplorando con gli occhi quel nuovo ambiente.

Ci incamminiamo lentamente scambiandoci qualche commento sugli edifici moderni che incrociamo. Quando arriviamo a Potsdamer Platz, proprio come me la prima volta che ci sono stata, anche Martina rimane affascinata dalle enormi costruzioni che svettano sulle altre, che danno ancora di più l'idea della loro potenza. Poi, giusto ai piedi dei grandi edifici, ci aspettano i mercatini, con le loro luci accoglienti, le casette di legno, i fumi e gli odori della carne sulla griglia.

Ci inoltriamo tra le casette e le luci, in quell'atmosfera accogliente, dove tutti hanno del cibo tra le mani, che sia un panino o una tazza di vin brulé.

- Fanno un vin brulé incredibile qui – ci informa Anna – dopo dovete provarlo – ma in realtà per il dopo cena mi pregusto già gli waffles accompagnati da una salsa particolare ai frutti di bosco. Anna mi dice che è un dolce tipico, mi cita il suo nome che io non riesco ritenere nemmeno tre secondi. So solo che hanno l'aria estremamente appetitosa.

Dopo una lunga discussione, ci mettiamo d'accordo su cosa mangiare e riusciamo ad accaparrarci dei posti a sedere su uno dei tavoli proprio di fronte alla bancarella che abbiamo scelto.

Anna ci traduce velocemente il menù; Martina opta per una zuppa di carne, io e Anna per delle salsicce accompagnate da qualcosa che sembra puré di cavolo. - Non preoccuparti, fidati di me che è buono – afferma Anna per convincermi ad assaggiare il contorno.

Io alzo le spalle: - se lo dici tu! Bisogna provare delle nuove cose nella vita!

Aspettiamo tranquillamente a tavola le nostre ordinazioni e ne approfitto per chiedere notizie della vita che mi sono lasciata alle spalle. - Allora cara Martina, dimmi un po' cosa si racconta di nuovo nella nostra cittadina natale.

Lei si lascia andare a un sospiro. - Non ti perdi proprio nulla, a parte l'apertura di una nuova discoteca di cui tutti parlano, io sono andata ma la musica è veramente inascoltabile -

- non mi sorprende... ce ne sono poche che si salvano.

- A proposito, vedrete che invece quelle di Berlino non vi deluderanno! - commenta Anna.

Sia io che Martina ci illuminiamo. - Per Capodanno? Non vedo l'ora! - esclama Martina con entusiasmo. Ovviamente quando la festa è nel programma, lei non può mai mancare.

- Sì, ho già pensato a tutto, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. State sicure che non avremo problemi di musica inascoltabile – gli occhi di Anna brillano mentre pronuncia quelle frasi, lasciando trapelare la sua difficoltà nel mantenere il segreto.

- Non mi dire che anche tu sei un'organizzatrice compulsiva di feste come Martina – scherzo, vedendo il suo entusiasmo.

Martina, di fianco a me, si lascia andare a una risata. - Le sue feste erano le migliori quando eravamo a Parigi -

Anna scuote la testa. - No, ma non è vero!

- Non fare la modesta! E' verissimo, però, a differenza di me, lei non si lascia andare troppo ai fumi dell'alcol – Martina fa una pausa e assume un'espressione pensosa – forse è per questo che le sue sono le migliori, fra l'altro.

Anna sospira. - Va bene, ammetto che mi piace organizzare feste, ma faccio sempre attenzione a non perdere il controllo.

In quel momento arrivano al tavolo le nostre ordinazioni. Martina comincia a scattare foto a raffica come al solito per postarle su qualsiasi social network possibile e finalmente cominciamo a mangiare, scambiandoci le pietanze e placando la nostra fame, mentre parliamo del più e del meno, raccontando a Martina quello che si è persa in quegli ultimi giorni.

Finito di mangiare ci alziamo da tavola e ricominciamo a vagare tra i mercatini, questa volta tra i prodotti artigianali: manufatti di legno, vestiti cuciti a mano, scarpe e berretti, per poi ritornare alle bancarelle del vin brulé per loro e del dolce per me.

Pregustando le nostre bevande e dessert ci avviamo verso la fermata della metro.

- Siete stanche? - chiede Anna.

- No, ho dormito abbastanza bene la notte scorsa -

- Io posso resistere ancora – risponde Martina.

- Perfetto, allora camminiamo un po', vi porto a vedere gli edifici amministrativi.

Iniziamo a camminare seguendo i passi di Anna. Le mie gambe cominciano ad essere un po' stanche, ma resisto cercando di focalizzarmi sulla conversazione a proposito del programma dei prossimi giorni. Martina e Anna discutono su quale museo sia indispensabile visitare, quando visitare i resti del Muro di Berlino, se spostarci anche fuori città.

Nel frattempo passiamo di fianco al Tiergarten, lo zoo di Berlino, ma la strada è bloccata per le preparazioni del Capodanno, costringendoci quindi a prendere un giro più largo.

Le enormi strade sono quasi deserte: la zona è quella degli uffici pubblici, dove le case abitate devono essere rare.

Seguiamo il corso della Sprea, fino ad arrivare al quartiere che Anna voleva mostrarci.

La vista è incredibile. Edifici moderni, imponenti, con grandi vetrate. Le stanze dietro di esse sono illuminate, nonostante sia notte, la luce fuoriesce attraverso le vetrate, illumina l'oscurità e si specchia sull'acqua scura. D'improvviso tutto è luce e allo stesso oscurità, l'acqua un inchiostro nero increspato dall'arcobaleno.

Ci avviciniamo un po' agli edifici, quelli che di giorno accolgono le più grandi decisioni della nazione ora sono silenziosi, anche loro riposano. Eppure i loro muri parlano ancora, parlano di continuo, attraverso le scritte rosse scorrevoli che dettano perpetuamente i primi articoli della Costituzione.

Dopo quella passeggiata, tutte e tre abbiamo consumato ogni energia, perciò ci dirigiamo verso la metro.

- Allora? Pronta a ritornare nel regno oscuro di Jonas? - scherza Martina, maliziosa ed assestandomi una leggera gomitata.

Sorrido leggermente, maledicendola dentro di me per avermi ricordato di lui, proprio ora che ero riuscita a togliermelo dalla testa almeno per qualche istante.

- Non saprei, cercherò di ignorare il solito disordine.

Anna mi rivolge a sua volta un sorriso malizioso. - Sono sicura che non sarà un'impresa difficile! Cerca però di non fare troppe follie questa notte, domani ci aspetta una bella giornata.

- Non ti preoccupare: sono talmente stanca che se anche ci fosse l'uomo dei miei sogni, dormirei lo stesso come un ghiro.

Martina e Anna si lasciano andare a una risata e, dopo esserci salutate velocemente, corriamo verso direzioni diverse per prendere la metro.

Rimasta sola, dopo quelle utlime ore, mi sento strana. Non saprei definire il mio ritorno verso Neukoelln, verso lui.

Come quando sono arrivata: un misto di eccitazione e paura. Paura perché quella mattina sono fuggita così dopo quel bacio inaspettato per paura delle emozioni che mi provoca, tanto intense quanto spaventose.

Immersa nei miei pensieri, percorro ancora la via fino al 52. Salgo le scale, infilo la chiave ed entro in casa. Solito disordine, ma non ci faccio caso e mi dirigo verso la camera col cuore che mi batte più veloce nel petto. La luce è spenta e per un attimo penso che lui non sia ancora arrivato, invece qualcosa si muove nel letto. E' lì.

Mi spoglio lentamente al buio per non svegliarlo e mi infilo sotto la coperta di fianco a lui.

Il calore del suo corpo mi raggiunge, la sua vicinanza mi provoca dei leggeri brividi.

Gira la testa verso di me, sento il suo sguardo nel buio e un brivido mi corre lungo la schiena a ricordare il suo sguardo folle nel buio, la prima notte.

Poi, all'improvviso, sento la sua mano scorrere sul mio fianco, mi attira a sé in un abbraccio.

- Guten Nacht – mi sussurra in un orecchio.

- Buonanotte – gli rispondo in italiano.

Lo sento ridacchiare leggermente. Quella sua risata mi sorprende: non l'ho sentito ridere spesso, nemmeno durante i pochi momenti che avevamo passato insieme prima di quel soggiorno a Berlino. Il cuore mi si riempie nel ritrovarmi a pensare che in quel momento mi sembra di ritrovare il Jonas che avevo conosciuto. Ma quanto può durare?

- Perché ridi? - gli chiedo in inglese.

- Perché mi ricordo che devo continuare a studiare italiano – risponde lui nella mia lingua, con quel suo accento tedesco che mi fa sciogliere immediatamente.

- Lo sai che ti posso aiutare.

- Penso che vorrei ritornare a Napoli – continua, già perso nei suoi pensieri.

- Perché Napoli? -

- Perché l'ho trovata una città pazza. Ho amato l'Italia, ma Napoli... Napoli è diversa -

- Diversa come? Io non sono mai stata -

- Non saprei spiegarti, si respira un'altra aria – risponde, restando sul vago come al solito.

Anche se non sono mai stata a Napoli, ho anche io l'impressione che possa essere la sua città: pazza e caotica.

La sua mano scorre ancora sul mio fianco dolcemente. - Ora dormiamo – conclude, dandomi un leggero bacio sul collo che mi provoca un brivido.

Il silenzio cade; chiudo gli occhi.

- Mi dispiace per oggi, non volevo scappare – si lasciano sfuggire le mie labbra, senza che possa controllarle.

- Non ti preoccupare, dormi ora.

Questa volta chiudo davvero gli occhi, mi lascio cullare dal calore del suo corpo e mi addormento. 

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