Capitolo 3
27 Dicembre 2016, Berlino
- Piacere, Jakob - si presenta il ragazzo dello zaino rosso in inglese, porgendomi la mano;è evidente che è più preparato di me. Gliela afferro. - Monica.
Lui ritorna a rivolgersi verso i fornelli per rimescolare la zuppa che sta preparando e che diffonde un buon odore di cibo in tutta la cucina.
- Quindi Jonas ti ha parlato di me? - gli chiedo dopo qualche secondo.
- Mi ha detto solo che ci sarebbe stata anche una sua amica italiana - risponde, continuando a rimescolare e rivolgendomi solo un breve sguardo.
Mentre lo guardo mi rendo conto che sembra proprio il tipo di persona che Jonas potrebbe avere come amico: stessi vestiti larghi dai colori spenti, i capelli castani lunghi e scompigliati, la barba non curata. Tuttavia, sotto il velo dell'incuria ha dei lineamenti dolci, gli occhi blu tendenti al grigio.
- Da dove vieni in Italia? - mi domanda lui prima che possa dirigermi verso la camera.
- Dal nord, vicino Venezia, ma in realtà adesso vivo in Francia, vicino a Tolosa. E tu? -
- Io sono di Francoforte,ma in realtà vivevo qui fino all'anno scorso, è così che ho conosciuto Jonas - mi spiega - tu fino a quando rimani?
- Fino al quattro gennaio,sono qui per visitare Berlino e vedere le mie amiche - e be'...anche il tuo amico Jonas mi viene da aggiungere, ma mi trattengo prima che possa trasparire qualcosa di indesiderato.
Sorride leggermente mentre estrae un utensile dal mobiletto sopra il fornello. - Allora rimarrai per Capodanno, vedrai com'è qui! Programmi per la serata? -
- Sì,stasera esco con una mia amica che abita qui a Berlino e che ho conosciuto in Italia. Una storia un po' lunga, ma non complicata - rispondo, rimanendo un po' sul vago.
- Capisco. E i prossimi giorni? Hai già dei programmi? - continua a domandare.
- Ancora non so cosa fare - ammetto e sono favorevolmente colpita dalla sua gentilezza.
- Vedrai,troverai qualcosa. Berlino è una città strana: si trova qualcosa di interessante da fare anche solo camminando senza meta per le strade.
Guardo l'ora. Sono già le otto di sera. - Spero tu abbia ragione - concludo la conversazione, andando in camera e preparandomi per uscire.
Alle otto e mezza esco di casa. Con le mani nelle tasche del giubbotto, il berretto in testa e la sciarpa, cammino lungo la via. Non è molto illuminata né molto frequentata e di conseguenza non mi sento per niente al sicuro. Per quanto non abbia più paura di perdermi, ci sono ancora molte altre cose che potrebbero capitare, sicuramente più possibilità di quelle che si potrebbero avere in un piccolo paese nella campagna francese. Là le strade sono tranquille, quasi vuote la sera; la popolazione è formata quasi interamente da persone anziane che amano restarsene in casa a guardare la tv, magari con una coperta sulle ginocchia e una tazza di tè.
Berlino è tutta un'altra storia. Berlino è grande, abitata da gente di tutte le età, di tutte le culture, di tutti i tipi. E ogni singola persona in quella città rappresenta una possibilità, che sia un'opportunità o un rischio, una variabile che fa parte integrante di quel grande meccanismo, che ai miei occhi sembra immenso, pronto ad ingoiarmi e a non lasciarmi mai più, come un mostro raro e sconosciuto.
Proprio come tutte le cose rare e sconosciute, è anche affascinante. Ti spinge ad esplorare, ad approcciartici lentamente, a testare il terreno per conoscerlo un po' di più senza esserne annientato. Così, anche quella sera, ho approcciato ancora la metro di superficie, aspettando il mio treno al freddo, il vento ancora più forte e sferzante che mai.
Scendo alla fermata.
E' da un po' di tempo che non vedo la mia amica tedesca. Si chiama Anna e ci siamo conosciute in Italia, quando la mia migliore amica l'aveva invitata dopo i sei mesi che avevano passato insieme a Parigi. Abbiamo passato dei bei momenti, a mangiare cibo tradizionale, uscire la sera nei locali della città che io e la mia amico conosciamo come le nostre tasche, così come le persone che li frequentano; sempre le stesse. Perlomeno la sua presenza aveva dato una nota diversa a quei luoghi, un soffio di aria nuova.
Da quel momento sono passati mesi e ho quasi paura che non ci riconosceremo più.
Aspetto alla fermata, guardandomi attorno e vedo una ragazza in cima alla scala. Aguzzando la vista mi rendo conto che è proprio lei.
Anche lei mi vede, ci sorridiamo e io attraverso la strada.
Ci abbracciamo. - Ça va? - mi dice in francese, che tra me, lei e la mia migliore amica è ormai la lingua comune.
- Tutto bene e tu? - le chiedo.
- Non c'è male. Pensavo che per stasera potremmo bere qualcosa in un bar qui vicino, poi fare una passeggiata, che ne pensi?
Acconsento e ci avviamo lungo una via laterale che sfocia su una via più trafficata a giudicare dalle luci che vedo in lontananza.
- Allora?Quando sei arrivata? - mi domanda.
- Ieri.
Anna spalanca gli occhi azzurri, sorpresa. - Ma ieri era il giorno dopo Natale! -
Sollevo le spalle. - Sì e allora? -
- Passare questi giorni in viaggio non è il massimo! - spiega.
- Sono a Berlino, una delle capitali europee. Considerando che di solito la massima avventura del Natale è riuscire a digerire le lasagne, direi che non è male!
Proprio in quel momento arriviamo sulla via trafficata che avevo intravisto poco tempo prima.
Camminando mi rendo conto che è piena di locali, da quelli più sofisticati ai pub in stile irlandese.
Infilo le mani nelle tasche del giubbotto: non vedo l'ora di rintanarmi da qualche parte al riparo dal freddo.
Ben presto ci accordiamo per entrare in un locale. E' uno dei pub, i quali non sono molto diversi gli uni dagli altri:sedie e tavoli di legno, boccali di birra ovunque, le pareti tappezzate di quadretti con riferimenti all'Irlanda.
Ci sediamo a un tavolo e, mentre vedo passare una cameriera con un grosso hamburger, mi rendo conto che ho fame e che non ricordo esattamente l'ultima volta che ho messo qualcosa sotto i denti. - Penso che prenderò qualcosa da mangiare - annuncio.
- Non hai mangiato? Io non potrei far entrare più nulla nello stomaco dopo il pranzo di oggi -
- capisco, i sacrifici del Natale - commento aprendo il menu e cercando di dedurre qualcosa sui piatti dalle fotografie, visto che le descrizioni in tedesco non mi aiutano per nulla.
Chiedo ad Anna di tradurre qualcuno degli ingredienti e alla fine decido di prendere un semplice sandwich.
- C'è troppa confusione in quella casa per cucinare qualcosa e il cibo non è il mio primo pensiero - affermo dopo aver ordinato.
- Ma quindi sei a casa di quel ragazzo, quello che hai incontrato quella sera in Italia? -
- Sì,esatto, proprio lui -
- E? -
- E ancora non lo so, staremo a vedere come andranno i prossimi dieci giorni - dico, cercando di chiudere l'argomento e di non dover pensare alla notte prima, che in quel momento mi sembra lontana anni luce. Emozioni così diverse, così irreali da appartenere a un'altra realtà, forse un sogno.
Forse è stato solo il sogno della notte passata, così vivido da sembrare reale.
No, quell'agglomerato di immagini che ho nella mente non può essere reale: la foto della scala che va verso l'infinito, il suo profilo illuminato dalla luce rossa della stanza, le formule di matematica sulla lavagna, lo sguardo folle, i sospiri di piacere nel buio, la luce della luna che entra dalla finestra, che dà quell'atmosfera di un Natale insolito e surreale.
Tutto si mescola nella mia mente, si confonde come quella scala che va verso l'infinito, che mi lascia una sensazione di amara inquietudine.
Dopo aver finito il mio sandwich e Anna la sua birra, usciamo e iniziamo a camminare. Mi racconta diverse cose su Berlino, sui simboli della città, del più e del meno. Le poche persone che camminano lungo Unter den Linden, illuminate dalle luci natalizie, sembrano immensamente piccole rispetto ai palazzi enormi ed eleganti.
Arriviamo ad attraversare a Sprea, inoltrandoci nella Museum Insel.
Ho l'impressione di essere in una città abbandonata: il silenzio è quasi totale. Parla solo il vento attraverso gli alberi spogli, infilandosi tra un edificio e l'altro. Parlano i monumenti, raccontando una storia che sembra a tratti elegante e a tratti paurosa.
- Pensavo che potremmo andare a vedere la galleria d'arte quando arriva Martina. Purtroppo le parti più importanti del Pergamon Museum sono in restauro, non vale la pena - dice Anna, passando davanti alla galleria d'arte antica.
Passiamo di fianco all'edificio, svoltando in un passaggio tra i monumenti. E' buio, il vento sferza ancora, le luci sono un po' soffuse e quegli enormi edifici sono mostri silenziosi che potrebbero svegliarsi da un momento all'altro.
Anna si ferma, appoggia la mano su una delle imponenti colonne di fianco alle quali stavamo camminando.
Mi fa notare dei fori nella pietra. - Queste sono ancora le tracce dei proiettili della guerra. Avrebbero potuto restaurare, ma hanno deciso di lasciarle, per ricordare - mi spiega e d'improvviso la storia che quei monumenti raccontano mi sembra ancora più greve.
Giro la chiave nella serratura della porta di legno con la scritta "refugees welcome".
Entro in casa. Le luci della cucina sono spente, ma come giungo nel corridoio vedo Jonas spuntare dalla camera del suo coinquilino, dove in questi giorni dorme il suo amico Jakob.
Mi sorride e mi saluta. Entro anche io nella stanza.
Jakob è seduto su uno dei divani nell'angolo in fondo. Jonas ha in mano uno dei ritagli di rivista del giorno prima; indossa ancora il cappotto, il che vuol dire che probabilmente anche lui è appena tornato dal lavoro.
Mi trovo un'altra volta a fissare il suo profilo silenzioso perso nei colori confusi dell'immagine. - Allora? Cosa hai fatto oggi? - gli chiedo.
Lui non mi guarda, il suo sguardo resta fisso sull'immagine. - Niente di che, sono andato a trovare la mia famiglia, abbiamo mangiato insieme, poi sono andato a lavoro - . La sua voce è poco più che un sussurro.
Nel frattempo Jakob si alza dal divano, viene verso di me, mi saluta con un cenno della mano ed esce dalla stanza lasciandoci soli.
- Tu? Cosa hai fatto? - mi domanda lui, ancora senza guardarmi.
- Sono uscita con la mia amica che abita qui a Berlino, abbiamo bevuto qualcosa, camminato un po'. Serata carina.
Cala un silenzio che non riesco a interpretare. Non sembra più così interessato alla foto, ma continua a guardarla, forse giusto per non incrociare il mio sguardo. - Stanotte dormo qui, con Jakob - annuncia infine.
Sento un nodo formarmisi in gola.
- Non voglio più fare quello che abbiamo fatto ieri -
- Perché? - gli domando, cercando di far scendere il nodo.
Finalmente si decide a lasciar cadere la foto insieme alle altre nello scatolone ai suoi piedi e si volta verso di me.
- L'altro giorno ho rivisto la mia ex dopo molto tempo che non la vedevo. Dovevo dargli un biglietto per il teatro, abbiamo parlato un po'. Ormai è come una sorella per me, ma il fatto che la vedo poco mi fa male e... insomma, non riesco più a godermi le notti come quelle di ieri.
La delusione prende possesso delle mie emozioni, ma cerco in tutti i modi di bloccarla.
Sono forte, ho vissuto di peggio e questo non mi toccherà, mi scivolerà addosso come le parole di tutti quegli uomini che hanno scaldato il mio letto ma non il mio cuore.
- Io non posso innamorarmi di te. Non posso amare nessuno ora. Non voglio. Non so perché sei venuta qui, se davvero per Berlino o per vedere me, ma tu per me sei un'ospite, niente di più. Non posso darti altro, non posso amarti.
Si dirige verso il letto e vi si siede sopra. Io lo seguo e mi siedo di fianco a lui.
- Io non ti chiedo di amarmi. Anche io non posso amare nessuno, ma riesco ancora a godermi... le notti come quelle di ieri. E' stato bello.
E' stato bello. E' stato travolgente, come un'onda anomala che ti annega. E' stato incredibilmente intenso, ma non aggiungo altro. - Sono venuta qui per visitare Berlino e vedere le mie amiche. Se qualcosa fosse successo tra noi, tanto meglio. Non mi aspetto nulla: in fondo resto solo dieci giorni, ma sarebbe bello farlo ancora, tutto lì.
Si passa una mano tra i riccioli scuri. Il suo sguardo è lontano, perso in chissà quali pensieri che io non riesco ad immaginare e mai ci riuscirò.
- Non posso darti nulla. Non so, voglio solo rimanere solo, chiudere con tutti e riaprirmi al mondo lentamente. E' questo quello che vorrei. Non voglio nessuno ora nella mia vita.
- Capisco - dico solamente. E in realtà non è vero. Non ci capisco proprio un bel niente.
- Allora perché l'hai fatto ieri? Non comprendo - mi decido a chiedere, dopo qualche secondo in cui lui si è steso sul letto e ha cominciato a guardare un punto imprecisato sul soffitto, in silenzio quanto me.
- Non c'è bisogno che tu comprenda - è la sua enigmatica risposta.
Si alza in piedi, facendomi capire che per lui la conversazione è conclusa.
- Io... - cerco di dire, ma in quel momento Jakob rientra nella stanza.
Voltiamo la testa contemporaneamente verso di lui, cala qualche secondo di silenzio in cui probabilmente Jakob si rende conto di aver interrotto qualcosa e, una volta aver posato alcuni vestiti, esce di nuovo.
- Perché non ne parliamo di là, in camera tua? - propongo.
- Non ho intenzione di parlarne oltre. Ne ho già parlato anche troppo - afferma, passandosi ancora una mano tra i capelli.
- Va bene, buonanotte.
Gli lancio un ultimo sguardo in cui probabilmente si riflettono tutti i miei dubbi.
Lui rimane imperscrutabile.
Dove diamine è finito il Jonas che ho conosciuto mesi fa?
Penso che sia ancora lì, da qualche parte e vorrei farlo venire allo scoperto, ma mi vedo costretta a rinunciare, uscire dalla stanza ed accettare di passare la notte sola nel suo letto.
Mi infilo il pigiama, mi metto sotto le coperte, ma non spengo la luce: la mia mente è troppo lucida e funzionante per riuscire a spegnerla e metterla a riposo, per quanto ne abbia bisogno.
Mi sento così frustrata... non posso dire di essere triste, né di avere il cuore a pezzi: ha ricevuto talmente tante bastonate da essere diventato di pietra. Ho dovuto costruirci attorno barriere alte come palazzi e così, negli ultimi anni sono andata a letto con più uomini di quanti se ne possano contare sulle dita delle mani senza provare assolutamente nulla. Lo devo ammettere: non è stato così male. Mi sono divertita, ma non sono più sicura che sarò ancora capace di provare qualcosa per qualcuno.
Eppure la notte prima... Eppure quelle poche sere che abbiamo passato insieme...
E invece no, ancora una volta ho solo riscaldato il letto. Una sola volta e mai più. Non posso dire che mi sia bastata, ma purtroppo dovrò farmela bastare.
Non ho provato nulla, cerco di convincermi, ma in fondo lo so che non è vero. Ho solo imparato al meglio come mettere pezze laddove una breccia stava per aprirsi.
NdA: Scusate per il capitolo un po' lunghetto, spero che siate arrivati fino a qui. Se ci siete riusciti avete scoperto quanto Jonas è enigmatico! Per quanto riguarda la foto, è dell'attore Robert Sheehan, me lo immagino bene come presta volto per Jonas, ma voi siete liberi di immaginarlo come volete!
Non esitate a mettere stelline e dirmi cosa ne pensate, vi aspetto! :)
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