Capitolo 2
Dopo aver dormito circa un'oretta, ho deciso di uscire ed esplorare il quartiere. Mi ha dato quasi una strana sensazione lasciare la sicurezza dell'appartamento per inoltrarmi nelle vie di Neukoelln senza una mappa né connessione ad internet, ma era anche quella la parte bella della situazione: l'avventura. Stavo diventando un'esperta dell'affrontare la paura dell'ignoto, dell'imprevedibilità che ti accoglie non appena metti il naso fuori da quella zona sicura che la quotidianità disegna su misura per te. E' come un nido, in cui le giornate possono essere tenute in buona parte sotto controllo, in cui la familiarità ti fa sentire tranquillo e al sicuro. Oppure può essere come una gabbia.
Chiunque sapesse di quel viaggio aveva detto che era un'avventura, una follia, addirittura qualcuno mi aveva consigliato di desistere, ma io avevo deciso di andare avanti. Sì, era senza dubbio un'avventura accompagnata da una buona dose di rischio ed imprevedibilità, ma è solo accettando il rischio che ci si può affacciare a qualcosa di nuovo e sorprendente, non certamente restando sul solito divano di casa.
Fuori si gelava per quanto avessi portato il cappotto più pesante che avessi. La notte era già calata nonostante fossero appena le quattro del pomeriggio e sulle strade non c'era molta gente, complice forse il fatto che era il giorno dopo Natale. Tutti erano probabilmente a casa di famigliari, ancora a cercare di digerire il pranzo pesante preparato dalla nonna, a guardare film natalizi o a parlare di fronte al camino. I negozi erano infatti tutti chiusi, a parte qualche bar illuminato dalle luci intermittenti di Natale, in cui il barista si passava il tempo facendo un po' di pulizia nel locale. Di tanto in tanto si trovava qualcuno fuori in strada, gruppi di famiglie d'origine araba giusto fuori dalla loro abitazione che facevano festa all'aperto spandendo la loro musica in quelle strade altrimenti silenziose.
Sono ritornata a casa senza sentire più le dita dei piedi, con la voglia di gettarmi immediatamente sotto l'acqua calda della doccia. Sono entrata in casa dopo aver fatto tutte quelle scale, ho acceso la luce e subito la scritta sulla lavagna ha attirato la mia attenzione: "Torno tardi, ci vediamo domani". Chiaramente me l'aveva scritta lui. Doveva essere tornato per prendere qualcosa e mi aveva lasciato quel messaggio.
Mi sono messa a cercare di mettere una parvenza di ordine nella cucina, lavando le stoviglie e liberando il tavolo, ma avevo come l'impressione che non fosse nient'altro che un modo per passare il tempo e che il giorno dopo - forse anche prima -sarebbe ritornato nello stesso stato. Ho cercato perciò di non metterci troppo sforzo.
Quasi senza che me ne accorgessi si era già fatta più di mezzanotte, perciò mi sono messa il pigiama e mi sono sdraiata nel letto. Non avevo ancora nessuna voglia di dormire. Forse, per quanto inconsciamente, stavo aspettando lui. Non so cosa mi attendessi: avevo tanti scenari nella testa di come avrebbe potuto passare quella notte, ma ben pochi di essi avevano l'aria di poter corrispondere alla verità. Jonas non mi aveva dato fino a quel momento nessuna idea di ricordarsi di noi, di quel poco tempo che avevamo passato insieme.
Quando ormai stavo per addormentarmi, ho sentito aprirsi la porta d'ingresso. Soltanto poco dopo è entrato nella stanza, ancora vestito con giubbotto e berretto. - Sei ancora sveglia - ha osservato
- Non mi stavi aspettando, vero?
- No, tranquillo, semplicemente non riesco mai a dormire presto e ieri ho dormito tanto -
- Io sono abbastanza stanco, penso che andrò a dormire subito. Buonanotte - mi ha detto, senza troppi giri di parole, per poi uscire dalla stanza e chiudere la porta dietro di sé.
Ancora una volta mi ha lasciata così, sola nel suo letto grande e gelido. Anche lui mi è sembrato un po' freddo. Ad essere sincera non me lo ricordavo così; nei miei ricordi c'era un Jonas diverso.
Sono rimasta a guardare il soffitto, la mia mente riempita come sempre di mille pensieri. Ho provato a spegnere la luce, a mettermi a dormire, ma senza alcun risultato.
Così mi sono alzata dal letto con l'intenzione di andare in cucina a prepararmi un tè e non ho potuto fare a meno di notare che la porta dell'altra stanza era aperta e la luce accesa. Era la stanza del suo coinquilino che in quei giorni era in vacanza e dove Jonas avrebbe dormito finché lui non sarebbe tornato.
Sono rimasta qualche secondo lì, nel corridoio, col cuore che mi batteva leggermente più veloce nel petto, indecisa se poter andare là, vedere come mai era ancora sveglio o andare in cucina, preparare il mio tè e tornare a letto. Ma poi mi sono resa conto che anche se fossi tornata a letto non sarei riuscita a dormire, avrei continuato a pensare a lui, nell'altra stanza, con la luce accesa, col rimpianto di non essere andata da lui.
Così ho preso un po' di coraggio, nonostante il cuore che batteva nel petto e mi sono avvicinata alla porta. Mi sono sporta giusto un po' oltre l'entrata, quanto bastava per vederlo là, seduto sul tappeto della stanza, circondato di immagini prese da riviste. Le guardava, una per una, attentamente e per lungo tempo, come se cercasse di entrarci dentro, di scrutarle a fondo. Cosa ci cercasse non avevo la più pallida idea.
Dopo averle scrutate le gettava sul pavimento, insieme alle altre, a formare un enorme mosaico di mille colori e forme che, ancora una volta, non sembrava avere una logica.
L'ho guardato così per un tempo che non saprei quantificare, senza che lui nemmeno si accorgesse della mia presenza, preso com'era dal suo lavoro.
- Cosa stai facendo ancora sveglio? - mi sono decisa finalmente a domandare.
Ha voltato la testa verso di me, giusto il tempo di accorgersi che ero lì, per poi riprendere a scrutare l'immagine che aveva in mano. - Sono stanco, ma stranamente non avevo voglia di dormire, così, approfittando del fatto che il mio coinquilino non c'è, mi sono messo a sistemare alcune cose - mi ha risposto.
Cautamente sono entrata nella stanza e mi sono seduta di fianco a lui. - Di cosa si tratta? - gli ho domandato.
Lui è rimasto in silenzio per qualche secondo, osservando l'immagine di una scala a pioli che saliva verso l'alto all'interno di una spirale bianca e nera. - Cosa ne pensi di questa? - mi ha chiesto invece di rispondere.
Ho cercato di scrutarla anche io con più attenzione. - Non saprei. Il significato mi sfugge. E' strana- - Puoi vederci il significato che vuoi, non posso dirti quello che vedo io - ha commentato, lanciandomi un breve sguardo.
L'ho guardata con più attenzione, facendomi trascinare dalla spirale verso l'alto, immaginando di salire lungo quella scala che portava verso chissà dove. Era così forse: una scala a pioli, pericolosa, che porta chissà dove e una spirale che ne opprime la risalita.
- Io ci vedo... direi... - ho iniziato, ma subito lui mi ha interrotto: - non c'è bisogno che me lo dici, dimmi solo se ti piace oppure no. Vedi, in questo gruppo qui ci sono quelle che mi piacciono e che voglio tenere - mi ha spiegato,indicando un gruppo di immagini ed è in quel momento che mi sono accorta che sul pavimento c'erano tre gruppi di pezzi di rivista. - Quest'altro è per quelle che non mi piacciono e che voglio buttare e l'ultimo per quelle di cui sono indeciso o che forse potrei riutilizzare.
Ha continuato a guardare l'immagine e io invece guardavo lui; la sua espressione concentrata, i suoi lineamenti illuminati dalla luce soffusa dell'abat-jour di fianco al letto, quei suoi occhi verde acqua, quei riccioli che vi ricadevano scompostamente davanti. Non riuscivo a pensare all'immagine: i miei pensieri erano totalmente ottenebrati dalla sua presenza, dall'idea che lui era lì, di fianco a me e avevo il desiderio di toccarlo, di sentirlo ancora più vicino.
- Sì, non saprei dire perché ma mi piace - ha concluso, per poi voltare la testa verso di me - tu cosa ne pensi? -
- Sì, piace anche a me.
Dopo aver messo l'immagine nel gruppo appropriato, si è alzato in piedi. - Ora vado a mangiare qualcosa e poi direi che vado a dormire.
L'ho seguito in cucina, giusto di fianco a lui mentre mangiava un mandarino. - Mi stavo dimenticando di dirti che da domani ci sarà un altro mio amico qui - mi ha informata.
- Fino a quando sta? - gli ho domandato.
- Penso che non lo sappia neanche lui, dopodiché tra qualche giorno ritornerà anche il mio coinquilino.
Ho annuito. E' calato qualche secondo di silenzio, in cui ha continuato a mangiare il suo mandarino. Io vicino a lui, in pigiama, con il vento che entrava dalla finestra, non sentivo ugualmente il freddo. Quel silenzio era carico di troppe cose, carico di una strana tensione. Forse era per il suo sguardo, quel suo sguardo folle, fiammeggiante e fisso su di me...
NdA: Ecco, spero che con questo capitolo si capiscano meglio i momenti che hanno portato alla nottata di fuoco del prologo. So che la strattura, con i vari flashback, sembra abbastanza complessa, ma è giustamente quello che volevo fare. Cosa ne pensate?
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