'Questo non è un romanzo' di Clementine39
Titolo: Questo non è un romanzo
Autore: Clementine39
Genere: Fanfiction/Storia d'amore
Tipologia: Romanzo
Stato: Completa
Rating: Verde
Trama:
La storia d'amore fra Clementine e Brian, raccontata in prima persona dalla ragazza attraverso gli anni e la carriera dei Queen: dai primi incontri nell'estate del 1970 fino all'enorme successo del Magic Tour del 1986, i due affronteranno sentimenti, gioie, dolori e avventurose tournée condividendo spesso momenti con gli altri componenti della band. La storia di una vita che inevitabilmente cambia e li farà crescere entrambi nel corso di sedici anni.
Alcuni avvenimenti della storia si svolgono parallelamente a quelli narrati in Love, Hope and Confusion.
Disclaimer: Alcuni personaggi presenti nella storia non mi appartengono, sono persone reali di cui ho provato a immaginare e ricreare la personalità e il carattere, senza alcuna volontà di prendere possesso indebito delle loro vite. Gli eventi narrati sono di mia invenzione sebbene ispirati parzialmente alla storia del gruppo musicale dei Queen. La presenza di eventuali riferimenti a brani musicali accreditati ai Queen o ad altri artisti non intende violare alcun copyright legato alle band.
Copyright © Clementine39, tutti i diritti riservati.
Questa storia, come altre che ho pubblicato su Wattpad, nasce dal solo desiderio di poter dare forma a sogni, desideri e immagini nati nella mia mente di appassionata di musica Rock, con una particolare predilezione per i Queen, band a cui è dedicato un posto speciale nello scrigno dei miei pensieri più belli. Credo profondamente che, quando una storia si comincia a dipanare nella propria mente, ci si debba impegnare a scriverla. E così ho fatto, un capitolo dopo l'altro, immaginando situazioni, dando vita a scene, costruendo personaggi che avessero una loro vita. Ho iniziato a scrivere questa storia ed essa è venuta da sola. Solo alcuni mesi dopo averla conclusa ho scoperto l'esistenza di Wattpad e dopo una lunga riflessione mi sono decisa a pubblicarla per condividerla con dei lettori.
I miei due personaggi femminili, Clementine e Mairead, le due ragazze irlandesi protagoniste della storia, sono complementari fra loro, quasi due facce della stessa medaglia. Ho voluto analizzare i loro caratteri cercando di renderli il più possibile realistici e approfonditi, così come ho fatto per altri personaggi della storia. Mi sono fatta domande, mi sono chiesta di volta in volta come concatenare gli eventi, come giustificarli e renderli plausibili. L'intenzione è quella di creare uno scenario reale e dei personaggi credibili e completi, non senza rinunciare, talvolta, a dell'ironia.
Estratto:
"Scappare dalle feste era ancora più divertente che parteciparvi: in pratica non aspettavamo altro che qualcuno ci proponesse di unirci alla festa per sparire inosservati, e dalla seconda volta che lo avevamo fatto, accettavamo con entusiasmo gli inviti dei Mott solo per poterci godere la nostra fuga che ormai era divenuta proverbiale. Peccato che quando qualcuno di ancora sobrio si accorgeva della nostra inspiegabile assenza, gli altri versassero già in un pietoso stato di delirio che rendeva impossibile qualsiasi tentativo di ricerca. E così potevamo starcene indisturbati per i fatti nostri. Mi chiederete perché mai dovessimo proprio andare a quei party, se poi ne scappavamo a gambe levate alla prima occasione. Certo, avremmo potuto starcene rintanati nella nostra camera d'albergo, oppure declinare con cortesia gli inviti, ma non sarebbe stato lo stesso: oltre a risultare sprezzanti e altezzosi, ci saremmo persi proprio tutto il succo del divertimento, che per noi due coincideva con la fuga e cominciava esattamente nel momento in cui i nostri sguardi si incontravano e già l'intenzione era chiara: VIA, ADESSO! E di corsa a rifugiarci in qualche luogo solitario e silenzioso che pareva fatto apposta per noi. Scappavamo insieme o separatamente per poi ritrovarci a un punto convenuto, contemporaneamente oppure uno dopo l'altro; inventavamo qualche storia oppure semplicemente ci dileguavamo approfittando della distrazione altrui. A volte mi diverte pensare che qualcuno deve essere ancora in coda davanti al bagno in cui avevo detto di dover andare pur di fuggire dalla festa. Amavamo rifugiarci, laddove ve ne fosse la possibilità, sotto la volta notturna, distesi su un prato, le dita intrecciate e gli occhi persi fra i mille lumi tremolanti delle stelle, che Brian di tanto in tanto mi nominava, una per una, con una tale nota di affetto nella sua voce che pareva chiamare per nome le sue figlie. A volte invece, ce la svignavamo insieme percorrendo quasi di corsa, anche un po' alla cieca, una serie interminabile di corridoi secondari fino a che non ci imbattevamo in una porta di servizio che dava su qualche cortile interno, retro di locali o di alberghi da cui potevamo uscire inosservati lungo la strada; camminavamo un po', lentamente, in silenzio o chiacchierando, e persino potevamo tornarcene in camera indisturbati quando ci sarebbe parso il momento, semplicemente ripercorrendo al contrario il dedalo.
A volte, dopo aver camminato a fianco a lui per un po', mi divertivo a scattare in avanti e scappare, solo perché Brian mi inseguisse e mi riacchiappasse, traendomi a sé; fingevo di essere stanca, mi fermavo, e non appena egli mi raggiungeva mi buttavo a correre di nuovo, ma non volevo che il gioco durasse molto: mi piaceva lasciarmi prendere presto, per essere di nuovo stretta fra le sue braccia e ritemprarmi della corsa con quei baci ardenti che Brian sapeva darmi. E se scappavo fino alla porta della camera da letto, i baci smettevano solo il mattino successivo.
Quei momenti con Brian erano irripetibili, e desideravo viverli così intensamente da poterne serbare un vivido, perenne, nitido ricordo nella memoria. Non volevo che si sbiadissero mai, e così me li ripetevo nella mente, talvolta la sera stessa, prima di addormentarmi accanto a lui, o perfino li appuntavo su fogli, quaderni, pezzi di carta ritrovati un po' ovunque. Ricordo di aver scritto sul retro della scaletta di un concerto la notte in cui camminammo fino al molo di Providence, a Rhode Island: c'era una luna piena che velava di bianco i tetti della città e increspava il mare, calmo e sciabordante nel silenzio luminoso, di un brillio argenteo oscillante lungo le onde. La città si fermava prima di noi, e il lento sussurro del mare pareva annullare completamente i rumori urbani che giungevano solo in lontananza, un mondo a cui non appartenevamo in quel momento sospeso fra due cieli, entrambi tremolanti e luminosi, contro cui nulla potevano le abbaglianti luci dei grattacieli, che anzi, vedevamo sfocate e sbiadite dietro gli strati d'aria che ci proteggevano."
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