Parte 2
Il buio era calato.
Sadir camminava con passo spedito, ma le torce magiche che aveva acceso a momenti venivano inghiottite da quello strato di oscurità e il freddo penetrava nelle sue carni come una pioggia di frecce.
Il silenzio che lo circondava era assordante: non soffiava un alito di vento, gli insetti tacevano e non aveva visto un solo lupo.
Sadir deglutì e si asciugò la fronte sudata. Sbatté ripetutamente gli occhi e piegò le ginocchia per arrestare il tremolio.
Alzò la testa verso le stelle, la cui disposizione pareva essere mutata. Attribuì la sua confusione alla tensione e si sforzò di identificare le costellazioni. Rimase a fissare le stelle per alcuni minuti e si accorse che si stavano muovendo, seppur in modo impercettibile a una rapida occhiata.
Più le fissava e più intravedeva una figura umana e una corona.
Una voce nella testa gli disse che quella non era la sagoma di un nobile re, ma di un'aberrazione che stava oltraggiando il cielo.
Uno stridio ruppe la quiete. Sadir puntò le armi, pronto a fronteggiare qualsiasi minaccia.
Silenzio.
Le luci rotearono attorno al cacciatore come guardie in difesa del loro signore. Una creatura ne venne illuminata e lo fissò.
Sadir sbarrò gli occhi: si trattava solo di un pipistrello, appoggiato su un ramo.
Il cacciatore rilassò i muscoli e rise.
Il pipistrello continuò a osservarlo e non smise neanche quando Sadir avvicinò uno dei globi luminosi.
«Vattene!» cercò di scacciarlo il giovane. Si avvicinò e notò che, sullo stesso ramo, si era appoggiato un secondo pipistrello. Altri dieci attendevano poco più in alto.
Venti, cento, mille. Riempivano tutti gli alberi senza emettere alcun suono e lo fissavano come un pubblico in attesa dello spettacolo.
Un odore affondò nelle narici del viaggiatore, gli fece contrarre lo stomaco e lacrimare gli occhi. Era il fetore della carne in putrefazione.
Non poteva trattarsi di qualche morto vivente, ne aveva già incontrati, il tanfo non avrebbe potuto annebbiargli i sensi.
Che fosse un gruppo numeroso? O una creatura particolarmente maligna?
Strette le armi, tese le orecchie e inspirò ancora: individuò la posizione del nemico, ma non seppe stabilire la distanza.
Il refolo del vento mutò.
Sadir impallidì: l'odore proveniva dalle sue spalle. Lo avevano circondato.
Comandò alle luci di muoversi in tutte le direzioni, doveva vedere le creature prima che lo attaccassero.
I globi avanzarono illuminando il bosco: prima radiosi, poi fiochi, infine si spensero nello stesso istante.
L'avventuriero si appoggiò a un tronco e ansimò, il volto sudato, le mani che tremavano, gli occhi che sbattevano.
Si riscosse, doveva capire cosa stava accadendo. Poteva essere un lich!
Uno scricchiolio: una creatura si stava muovendo.
Le orecchie captarono passi goffi e pesanti.
Sadir rifiutò la paura, non era per farsi spaventare che aveva intrapreso quel viaggio.
Puntati gli occhi nella direzione del rumore, si concentrò: una sfera di fuoco scarlatto partì delle sue mani.
Il globo andò avanti per una decina di metri e tinse di rosso il paesaggio. Poi si spense come la fiamma di una candela spazzata via dal vento.
L'avventuriero fece un passo indietro, spaventato più da ciò che non aveva visto.
Perché non lo avevano ancora attaccato? Immaginò che lo volessero fiaccare, volevano tenerlo sveglio in uno stato di perenne tensione, facendogli consumare tutte le energie in vuoti attacchi, per poi finirlo prima dell'alba.
Rivolse lo sguardo verso l'alto per trovare la via e uscire in fretta dal bosco.
Spalancò la bocca: non c'erano stelle, non distinse nubi, solo una muraglia nera che separava cielo e terra.
Un ringhio arrivò alle sue spalle, l'odore di morte gli penetrò nella gola e gli incendiò i polmoni.
La lancia affondò e trafisse il nulla.
Le fronde degli alberi si agitarono e qualcosa cadde: era un liquido scuro e viscoso. Sangue.
Un pianto disperato ruppe il silenzio, era così forte che lo sventurato perse l'equilibrio e dovette tapparsi le orecchie.
Il lamento continuò, l'armatura e il corpo avevano cominciato a vibrare.
Sadir vomitò, tossì e ansimò, il rigurgito fluì nei polmoni, rischiando di soffocarlo.
Stanco di quel ridicolo gioco, sfidò gli avversari: «Affrontatemi!»
Qualcosa colpì il suo scudo con tale vigore che l'uomo volò per una decina di metri, sbatté contro un tronco e cadde a terra.
Il dolore si propagò dal braccio sinistro a tutto il corpo. Lo scudo, sfondato, gli scivolò di mano.
Sadir comprese di non essere il cacciatore. Era un'indifesa preda che poteva solo scappare.
Con estremo sforzo si alzò: il braccio sinistro tremava, la lancia si era trasformata in un sostegno, l'armatura in un intralcio.
In un tentativo di farsi coraggio ricordò come altri eroi del passato avessero incontrato alleati proprio in situazioni così funeste. Sì, di certo si sarebbe imbattuto in qualcuno pronto ad assisterlo!
Gridò e scorse qualcosa tra gli alberi.
Pieno di speranza, Sadir arrancò verso una figura umana.
Quando era a un metro di distanza questa si deformò come l'acqua di uno stagno in cui era stato gettato un sasso.
E mutò.
Artigli lunghi e affilati come spade, canini che erano pugnali, il capo cinto da una corona di spine che trafiggevano la fronte, gli aculei stessi sanguinavano come se fossero escrescenze del corpo, carni e metallo sembravano divorarsi a vicenda.
Non c'era traccia di peluria, solo nuda pelle del colore delle tenebre sormontata da opache cicatrici che attraversavano il corpo scheletrico da parte a parte, mescolandosi con le emergenti ossa.
Il costato destro presentava un grosso foro dal quale la linfa vitale precipitava come le acque di una cascata.
Gli occhi non avevano né iridi né pupille, erano due fiamme che si agitavano, lacrime vermiglie scendevano da quelle fornaci, solcando il volto come fiumi che fendono la terra.
Il mostro emise un ruggito che parve provenire dal mondo intero.
Le ambizioni di Sadir vennero travolte dalla paura. Si voltò e corse, le mani strette attorno all'arma senza rendersene conto.
Una pianta fragile fu abbattuta, ogni volta che Sadir si girava le due fiamme sospese nelle tenebre erano più vicine.
Sui tronchi degli alberi scorse volti urlanti e disperati, i rami che si rompevano producevano versi straziati che incitavano alla fuga, ma al tempo stesso le radici si facevano più nodose, le piante sempre più vicine e compatte.
Sadir ebbe la sensazione di vederle muoversi, stavano costruendo un sentiero in cui intrappolarlo per non dargli scampo!
La lancia intralciò le gambe, facendolo cadere a terra; lì strisciò e provò a lasciarla, ma era come se fosse un tutt'uno col suo corpo.
Un dolore lancinante lo prese quando lo strumento si deformò e uno spuntone gli trafisse il palmo da parte a parte.
Sadir non riuscì a trattenere le lacrime. Maledisse il giorno in cui aveva lasciato il suo tranquillo villaggio e aveva gettato al vento la sua vita per pochi denari.
Strisciato all'indietro, urtò un tronco che non avrebbe dovuto essere lì. Lo prese a pugni senza risultato.
Chiusosi in posizione fetale, Sadir pregò, implorando aiuto.
Mille versi disumani arrivarono in risposta: orchi con pelle fangosa, lupi dal pelo ispido e tante altre creature ruggivano verso di lui. Erano le bestie a cui voleva strappare alla vita per giungere alla fine del Sentiero Glorioso.
Gli esseri emisero una terrificante cacofonia, inno volto a richiamare qualcosa ben di peggiore di loro.
Una foschia nera, un temporale portatore di sventura da cui emergevano le mani, protese in avanti per catturare la preda.
Sadir tentò di arrampicarsi sugli alberi avvolgendo gli arti, ma l'armatura lo intralciava, la corteccia era dura e al tempo stesso scivolosa.
Con un tonfo, cadde a terra.
L'ombra era su di lui, le mani levate.
Sadir emise un ultimo, disperato grido.
Poi calò il silenzio.
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