I doni della morte
Hermione Granger era preoccupata, ma non aveva più voglia di sentire nessuno. Né Harry né tantomeno Ronald. Avevano discusso e lei odiava le liti, non giovavano al suo stato d'animo già distrutto. Riusciva solo a vedere Draco in testa ai mangiamorte, lui vestito di nero, il suo marchio che si muoveva sull'avambraccio. Allora non aveva capito ma se avesse saputo prima quello che aveva in mente, lo avrebbe fermato. Quella sera era morto anche l'ultimo granello di fiducia e speranza che aveva riposto in lui. L'aveva raggirata e tradita, aveva tradito tutti e avrebbe ucciso Il preside se Piton non lo avesse preceduto.
Hermione era rifugiata in un angolo della tenda stava leggendo il libro di fiabe lasciatole da Silente. Non capiva il perché glielo avesse donato ed era intenta a scovare qualsiasi cosa servisse per annientare Voldemort.
Era già un po' che guardava la stessa pagina senza leggerla. Continuava a pensare a lui, ai suoi occhi limpidi e gelidi come l'inverno; al suo autocontrollo e alla sua falsità. Il cuore le si contrasse dolorosamente. Ogni volta che vedeva il suo volto ricordi di baci rubati e carezze le invadevano la mente facendola infuriare. La loro prima volta insieme non mancava mai di farle provare una voragine all'interno del petto, come un buco nero che risucchiasse tutte le sue energie. Era sfinita, ma quei due idioti dei suoi migliori amici avevano bisogno di lei per sopravvivere. Tutto sommato riusciva quasi a non pensarci quando rischiavano la vita, il che succedeva più volte di quante Hermione fosse disposta ad ammettere.
Al matrimonio di Bill e Fleur si erano salvati per un soffio, al bar a Londra erano stati attaccati da due mangiamorte, uno aveva quasi ucciso Ron e al ministero avevano dovuto deviare percorso perché Yaxley, uno dei più sanguinari seguaci di Voldemort, l'aveva afferrata mentre si smaterializzavano.
Sospirò, era così stanca di fuggire e di non poter vivere una vita normale. Ma lei era Hermione Granger, la normalità non faceva parte di lei fin dalla più tenera età. Non era mai stata normale. Conosceva il programma di scuola ancora prima di studiarlo. Era adatta a due case Corvonero e Grifondoro e pure il cappello parlante aveva avuto i suoi dubbi su dove collocarla. Era la strega più brillante della sua età, la rigida e riflessiva Hermione. Fida compagna di Harry Potter e per questo oggetto di innumerevoli pettegolezzi, nonché un facile bersaglio per chiunque avesse voluto fargli del male. Era quella che notava i più piccoli particolari che analizzava tutto senza tralasciare nulla; anche questa volta non fece eccezione.
Mentre leggeva la fiaba del 'Pentolone Salterino' le saltò all'occhio un particolare. Un piccolo disegno che si ricorreva in ogni pagina del libro. All'inizio pensava fosse un qualche scarabocchio di un bambino, poi guardandolo più da vicino si accorse che le linee erano troppo precise e nette per essere frutto di una mano infantile. La sua mente iniziò ad elaborare ogni sorta di teoria scartando eventualità ed ipotesi diverse; selezionando quelle più importanti e sensate.
Alla fine concluse che il disegno doveva essere stato fatto dallo stesso Silente, ma perché? Cosa rappresentava?.
Era un triangolo al cui interno c'era un cerchio, il tutto diviso a metà da una barra. Era un simbolo semplice e non sarebbe lì se non ci fosse un significato dietro. Significato che ovviamente Hermione ancora non conosceva; altrimenti non l'avrebbe innervosita tanto.
Mentre ancora stava studiando quel piccolo disegno sentì in lontananza due voci, erano maschili e si facevano sempre più vicine. Hermione scattò in piedi subito abbandonando il libro di fiabe per terra. Bacchetta alla mano era già uscita a grandi passi dalla tenda. Era notte fonda e le stelle riflettevano il loro bagliore su tutto il bosco. Due figure che parevano sostenersi a vicenda si stavano avvicinando alle protezioni. Hermione cauta si avvicinò con la bacchetta ben spianata davanti a sé. Sentiva il sangue pomparle nelle vene come succedeva sempre quando avvertiva il pericolo avvicinarsi. Le due figure avanzarono ancora incontrando un lampo di luce lunare, non era particolarmente luminoso, ma era abbastanza per riconoscere i profili dei suoi due migliori amici. Ma l'istinto non mentiva. Hermione sentiva la presenza di qualcun altro, qualcuno che era molto vicino.
Tirò un sospiro di sollievo quando i due superarono le protezioni. Ogni sospetto sulla presenza di qualcuno andò in frantumi appena Hermione vide Harry. Il moro era quasi interamente appoggiato a Ron, tremava così come l'altro; si teneva la fronte con la mano e stringeva gli occhi in un'espressione di dolore così come le mascelle che andavano tendendosi. Dove doveva esserci la catenella del medaglione spiccava violaceo un livido contornato da lenti rivoli di sangue che scendevano in linee sottili da alcune ferite lungo il collo. Respirava affannosamente.
Hermione si morse forte il labbro mentre intercettava lo sguardo di Ron, vi lesse una rassicurazione, e il suo cuore rallentò di poco i battiti forsennati dettati dalla preoccupazione.
-Che diamine è successo?!- sbottò lei incapace di contenersi oltre, mentre entravano dentro alla tenda.
-Abbiamo ucciso l'horcrux- rispose Ron deponendo con cura Harry su una delle brande. Il moro emise un verso di dolore si sentiva la testa scoppiare.
-Come avete fatto?- l'incredulità spiccava nella voce di Hermione che nel frattempo si era inginocchiata di fianco ad Harry, un piccolo Kit di pronto soccorso le era apparso nelle mani.
-Un patronus ci ha guidato alla spada, una volta recuperata ho ucciso quell'affare-rispose lui quasi con rabbia rivolta a quel pezzo di anima che ormai era morta. Solo in quel momento Hermione si accorse di quello che Ron aveva appoggiato a terra. La spada di Godric Grifondoro splendeva tranquilla emettendo qualche bagliore che andava a scontrarsi sul viso del grifone.
-L'hai ucciso tu?- le chiese ancora lei stupita, mentre tamponava le ferite alla gola di Harry e lui si dibatteva leggermente per il bruciore.
-Dai Hermione non capisco proprio perché sembri sempre così sorpresa!- le ripose lui stizzito.
Hermione lo fulminò con lo sguardo, mentre applicava dei piccoli cerotti assorbi sangue sulla gola del moro.
-Sono sorpresa perché avevate litigato e poi siete spariti e ora siete tornati malconci e bagnati! Ero preoccupata per voi- finì esausta. Harry non si dimenava più, ora aveva il viso rilassato e il respiro era tornato regolare; si era addormentato.
Hermione si alzò da terra avviandosi verso il tavolo. Appoggiò le mani sul piano duro e ruvido, sembrava essere il tavolo a sostenerla. Ron dietro di lei la osservava in silenzio, sentiva le goccioline d'acqua scendergli lungo i vestiti e la stanchezza rendergli pesanti le gambe.
-Sono stanca Ron- iniziò lei stringendo gli occhi -non abbiamo nessun indizio su dove siano gli altri Horcrux e stanotte Harry...- Hermione represse un singhiozzo. I suoi amici avevano bisogno di lei.
Ron le si avvicinò cauto - Lo sono anche io Hermione è difficile, ma vedrai che ce la faremo capito? Ce la faremo.- concluse abbracciandola delicatamente, come se avesse avuto paura che lei scappasse via.
Hermione si lasciò cullare dal confortevole abbraccio del suo migliore amico che sapeva di casa. Non c'era più nulla a metterla a disagio nel modo in cui Ron la stringeva. Da quando c'era Pansy erano tornati quasi più uniti di prima; semplicemente Ron la trattava come una sorella e questo ad Hermione piaceva.
Un improvviso bubbolare fuori dalla tenda spezzò quel piccolo momento di tranquillità. Si allontanarono uno dall'altro mentre Hermione si precipitava già fuori con la bacchetta spianata davanti a sè, seguita a ruota da Ron. La Grifona alzò gli occhi al cielo, un gufo stava volando intorno alla tenda gracchiando e fischiando frustrato. Evidentemente le protezioni non lo facevano avvicinare più di così.
Aveva un messaggio legato alla zampa e volava abbastanza basso da poter scorgere un piccolo braccialetto legato intorno all'altra zampetta. Era un gufo di contrabbando; uno di quelli che si usavano negli ultimi tempi per inviarsi messaggi, erano addestrati a distruggere il messaggio se fosse stato consegnato in mani sbagliate ed erano anche piuttosto veloci e violenti.
Hermione non ci pensò due volte, raggiunse il limitare delle protezioni e fece per varcarle, quando una mano la bloccò.
-È pericoloso- le disse Ron in un soffio.
L'uccello continuava a girare in tondo e a produrre inquietanti rumori. Hermione si era sentita osservata per tutto il tempo in cui i suoi amici erano stati via e la spiacevole sensazione di non essere soli in quel bosco la perseguitava anche in quel momento.
-Se continua a volare in tondo sopra di noi, qualcuno può sentirlo o vederlo; ci farà scoprire!- sibilò lei di rimando strattonando il braccio. Ron sospirò rassegnato per poi seguirla oltre le protezioni.
Il gufo come percependo la comparsa dei destinatari, scese in picchiata verso di loro andandosi ad appoggiare su un Ron piuttosto contrariato e conficcandogli gli artigli nella spalla.
Il rosso sbuffò - Odio gli uccelli- disse guardandolo male, il gufo gli restituì lo sguardo con i suoi occhietti gialli; sembrava sorridere soddisfatto. Ron sbuffò di nuovo.
-Smettila Ronald- lo rimbeccò Hermione slegando la lettera che era legata alla zampetta del rapace; appena la prese l'uccello spicco di nuovo il volo, senza aspettare alcuna ricompensa.
-Non mi piace qui, rientriamo-
Ron fece appena in tempo ad afferrare Hermione per il braccio e ad attraversare le barriere che quattro uomini spuntarono dagli alberi.
***
Luna Lovegood si era risvegliata stesa su un pavimento umido e bagnato. Era circondata da mura, di fronte a lei invece si ergevano, sinistre, delle sbarre profondamente conficcate nel terreno. Le ci volle qualche secondo per abituarsi alla semioscurità della piccola cella in cui era rinchiusa, poi ce ne volle un altro per capire che aveva freddo. Stava tremando dalla testa ai piedi, indosso aveva ancora i miseri pantaloncini e la canotta che aveva quando era andata a dormire la notte precedente. I ricordi la colpirono in pieno volto come uno schiaffo. Il rapimento, i mangiamorte che la portavano via, Dolohov che la bloccava al muro, suo padre... moriva dalla voglia di scoprire cosa gli fosse successo.
Si alzò in piedi di scatto, fece un giro completo della cella, decretando che era sola. Il posto era angusto e sembrava che non ci fosse nessun prigioniero da molto tempo. Un topo stava passando di lì in quel momento, Luna rabbrividì e andò verso le sbarre. La serratura era magica, si apriva soltanto con l'uso della bacchetta che l'aveva chiusa, l'aveva letto in un qualche libro mesi prima. La sua cella si trovava alla fine di un breve corridoio; poco più in là sulla destra, riusciva ad intravedere un pezzo di scala.
-Ti sei svegliata bambolina-
Luna fece uno scatto indietro, mentre la figura di un uomo non tanto più alto di lei si delineava al di là delle sbarre. Stava ghignando e sul viso gli aleggiava un'espressione compiaciuta.
-Non sei contenta di rivedermi?- chiese lui allargando il ghigno.
Luna indietreggiò ancora, come se le sbarre non bastassero come frapposizione fra lei e quell'uomo. Andò a sbattere con le spalle contro la parete e ringraziò mentalmente il freddo che le stava penetrando la pelle mantenendola lucida.
Non osava parlare, il terrore la paralizzava; rimase immobile in piedi contro la parete fissando l'uomo che aveva a pochi metri di distanza.
-Non mi dici nulla bambolina? Pensavo saresti stata contenta di rivedermi- continuò lui, adesso pareva vagamente deluso dalla sua reazione. Luna trattenne il respiro arpionando con le unghie la parete alle sue spalle.
-Mio padre?- chiese in un sussurro. Il mangiamorte sembrò scocciato da quella domanda.
-Non gli abbiamo fatto nulla di irreparabile- le rispose ghignando ancora. Luna sentì il suo cuore perdere un battito. Nulla di irreparabile voleva dire che gli avevano fatto del male.
-Dove... dove sono?- chiese titubante con la gola serrata; mordendosi la lingua per non fare altre domande su suo padre; temeva che se solo avesse voluto Dolohov avrebbe potuto ucciderlo. Meglio non ricordargli il suo unico famigliare con il quale poteva ricattarla.
-In una cella bambolina, ma personalmente non è questo il posto in cui ti vorrei-
Luna rabbrividì disgustata.
-Co...cosa vuoi... da me?- non riuscì proprio ad impedirsi di balbettare. Lei non era una coraggiosa grifondoro e sentiva la paura invaderle ogni tendine e nervo del corpo.
Lui ghignò ancora, arpionando le sbarre della cella, mentre la fissava con gli occhi sottili dal desiderio.
-Ci sono molte cose che vorrei...- poi prese ad armeggiare con la serratura, provò più volte a forzarla, ma questa non ne voleva sapere di aprirsi. Luna si concesse di rilasciare un sospiro di sollievo.
L'uomo se ne accorse, perché tornò a fissarla con sguardo omicida. Si mise a sussurrare una formula a bassa voce, una cantilena continua. Luna non sapeva cosa stesse facendo, ma una forza, quasi come se fosse stata oggetto di un incantesimo di appello, la ghermì. Volò attraverso la cella fino a scontrare dolorosamente la schiena contro le sbarre di ferro.
Dolohov passò velocemente un braccio intorno alla sua vita, l'altra mano andò rapida a bloccarle il collo contro le sbarre.
Luna si sentì mancare il respiro per la botta. La mano del mangiamorte continuava a stringerle la gola, mentre la schiena veniva graffiata dal ferro.
-Troverò il modo di aprire la cella e quando succederà, non potrai più scappare bambolina-
il sussurro le arrivò chiaramente all'orecchio. Luna si irrigidì mentre lui continuava a stringerla facendole male; boccheggiava in cerca di quell'ossigeno che lui le stava togliendo.
Lo sentì inspirare il suo profumo, poi all'improvviso la lasciò andare. Luna rovinò malamente per terra, la canottiera logora si era strappata nei punti in cui aveva sfregato contro il ferro ruvido delle sbarre.
Rimase inginocchiata sul pavimento tremante per quelle che le sembrarono ore facendo lunghi respiri; nelle sue orecchie rimbombava ancora la risata soddisfatta del mangiamorte.
***
Ginevra Weasley stava guardando fuori dalla finestra. Le stelle brillavano sulla tana, che era stata faticosamente ricostruita in quell'estate. Tirava un leggero venticello che entrava dalla finestra scompigliandole la chioma e rinfrescandole il viso.
Non erano bei giorni quelli, a breve sarebbe tornata a Hogwarts, ma lo avrebbe fatto senza Harry, Ron ed Hermione. I tre erano spariti senza lasciare traccia da quasi due mesi e non passava giorno in cui Ginny non pensasse a loro. Le mancavano come l'ossigeno manca ai polmoni. Ogni giorno era una battaglia contro il suo istinto di andarli a cercare. Forse non avrebbe più rivisto nessuno di loro e il solo pensiero la distruggeva. Con Harry poi non aveva fatto che litigare negli ultimi giorni che lui aveva passato alla tana; ora se ne pentiva amaramente. Forse sarebbero stati gli ultimi momenti con lui. Forse non lo avrebbe più rivisto o sarebbe morto da qualche parte senza che lei lo potesse sapere.
Ginny si portò una mano al petto, le era mancato il respiro, si sentiva soffocare e il dolore non accennava a lasciarla stare; ma infondo sapeva di meritarselo. Sarebbe dovuta andare con loro, non avrebbe dovuto litigare con Harry e avrebbe dovuto passare più tempo con Ron ed Hermione finché aveva potuto.
Mentre continuava a guardare la radura buia, Ginny scorse un movimento in mezzo all'erba alta. Era stato lieve ma al suo occhio allenato non era sfuggito. Sapeva che intorno alla tana c'erano molti animali selvatici, ma l'istinto e la sua indole grifondoro le dicevano di andare a controllare. Non voleva che casa sua fosse di nuovo attaccata e se c'era davvero qualcuno avrebbe avvisato i suoi genitori.
Scese di corsa i gradini fino ad arrivare in salotto. Suo padre era già andato a dormire mentre sua madre stava riassettando qua e là la confusione lasciata dai gemelli.
-Tesoro dove vai?-
-Vado fuori a guardare le stelle mamma, torno tra poco-
Mamma Weasley era abituata alle storielle che i suoi figli le raccontavano per svignarsela, soprattutto con i gemelli a casa; di solito scopriva sempre il trucco e non mancava mai di rimproverare e punire coloro che avevano osato mentirle. Ma quando si trattava della sua piccolina, unica femmina in un branco di uomini era propensa a crederle più spesso e a concederle il beneficio del dubbio che negava sempre ai suoi fratelli. È proprio contando su quello, che Ginny si era inventata la prima frottola che le era passata per la testa. Per fortuna lei era una discreta attrice e sua madre non l'aveva mai scoperta.
La signora Weasley parve pensarci un pochino, poi come di consueto sorrise alla figlia.
- Va bene, ma fai attenzione, resta nei dintorni della tana e tra un quarto d'ora torna dentro- il suo tono non ammetteva repliche e a Ginny quindici minuti bastavano e avanzavano.
-Si mamma- le rispose radiosa mentre si infilava una felpa ed usciva di casa.
Indossava delle panta leggere che usava per dormire e la felpa le riscaldava piacevolmente le braccia lasciate nude dalla canotta; rabbrividì un tantino quando si avvicinò al limitare dell'erba tagliata, colpa di un soffio di vento che le aveva mosso tutti i capelli. Ginny se li scostò impaziente dal viso.
Si guardò intorno, sembrava non esserci nessuno, il silenzio lambiva l'intero spazio avvolgendola. C'era fin troppo silenzio per essere nel bel mezzo della natura.
Ginny avanzò di un altro passo infilandosi tra l'erba alta; nel punto dove aveva scorto il movimento, spiccava nel terriccio un'impronta di scarpa, era grande quasi il doppio della sua. Si portò una mano al fianco dove teneva la bacchetta ben nascosta sotto la maglietta tra l'elastico delle panta. Si girò per tornare verso la tana e avvisare i suoi genitori, quando un braccio si avvolse saldamente intorno alla sua vita.
Ginny gridò mentre si dibatteva come una forsennata e la bocca le veniva tappata. Sentiva le mani del suo assalitore serrarsi ancora di più intorno a lei facendole male.
-GINNY!- Fece appena in tempo a vedere sua madre correre in giardino ed urlare il suo nome, seguita dal padre che doveva essersi appena svegliato.
Un lampo di luce le volò dritto addosso colpendola in pieno petto, vide suo padre gettarsi verso di lei e alcune figure comparire all'ingresso della tana; poi più nulla.
***
Ron ed Hermione erano appena rientrati all'interno delle protezioni quando li videro. Si erano immobilizzati all'istante nonostante sapessero di essere nascosti.
-Era qui ne sono sicuro-
Era uno degli uomini a parlare. Erano in quattro, uno camminava davanti; gli altri due gli stavano dietro trascinando quello che sembrava un prigioniero.
-Quella civetta volava qui sopra- stava dicendo ora uno dei due, parlava a scatti, probabilmente affaticato dallo sforzo di dover sorreggere il prigioniero che sembrava mezzo morto.
Hermione trattenne un verso di dolore alla vista delle sue ferite; Ron le aveva afferrato la mano stringendola. Erano vicini, troppo vicini a quegli uomini.
-Aspettate. Zitti.- fu l'uomo che era alla testa del gruppo a parlare, aveva iniziato a guardarsi intorno, come se si aspettasse di veder comparire qualcuno dal nulla.
-Lo sentite questo odore?- prese ad annusare l'area circostante, fino ad arrivare davanti al viso di Hermione che trattenne il respiro; spalancò gli occhi, l'uomo aveva una cicatrice che gli partiva dal sopracciglio destro fino ad arrivargli all'angolo della bocca; aveva capelli lunghi fino alle spalle legati dietro e occhi cupi come la notte, il viso era un insieme di spigoli che lo rendevano inquietante e spaventoso. Ron serrò ancora di più la presa sulla sua mano, mentre lentamente sfilava la bacchetta dai pantaloni alzandola, impercettibilmente, verso l'uomo al di là delle protezioni.
Un lamento del prigioniero ruppe il silenzio carico di tensione che si era creato guadagnandosi un'occhiataccia dal capo fila. Quest'ultimo sbuffò scocciato distogliendo di malavoglia l'attenzione dall'odore - Andiamo idioti! Prima che questo qui rinsavisca- sbraitò indicando il prigioniero, per poi rimettersi in marcia.
Quando furono abbastanza lontani Hermione rilasciò il respiro; aveva ancora gli occhi spalancati davanti a sé.
-Ha... ha sentito... il mio profumo- sussurrò.
Ron la guardò, la girò verso di lui aprendole l'altra mano dove stava stritolando il biglietto che avevano ricevuto.
-Già, per quanto ami il tuo profumo è meglio che non te lo metta più. Tranquilla se ne sono andati- le disse il più dolcemente possibile.
Fu come se quella rassicurazione la sciogliesse, Hermione fece un gran respiro poi buttò fuori l'aria, le spalle le
si stavano rilassando mentre la tensione abbandonava il suo corpo.
-Vogliamo leggere il biglietto?- disse ripresasi del tutto dall'accaduto. Dispiegò quindi il foglietto iniziando a leggere.
"Il Sacro Graal è nascosto
nella caverna del mostro.
Il marchio lo sfigura
sa di morte e di paura.
Se osate avventurarvi
occhio a non toccarli.
Uscire è complicato
un piano va studiato.
Pregando che la speranza
accorci la distanza.
La ricerca è partita,
salvateci la vita.
D.B. "
-Ma cosa vuol dire?- chiese Ron confuso. -Poi chi è D.B.?-
-Non lo so Ron-
Hermione continuava a far vagare gli occhi sul biglietto, stava memorizzando
le parole così da poterle studiare meglio. Aveva la sensazione che fossero informazioni di vitale importanza.
-Rientriamo abbiamo bisogno di riposare, domani sarà una giornata impegnativa- così dicendo la riccia si avviò verso la tenda seguita a ruota da un Ron confuso come suo solito.
***
Ginny Weasley si risvegliò nel buio più totale; socchiuse gli occhi e si trovò a guardare un soffitto di pietra sudicio. Si mise a sedere accorgendosi di essere distesa sul pavimento fatto della stessa materia del soffitto e sporco uguale. La testa le faceva male, così come il petto. Aveva un vago ricordo di essere stata colpita da un incantesimo. Si guardò intorno, l'ambiente era buio e angusto, c'era puzza di marcio e delle sbarre di ferro andavano conficcandosi nel pavimento di fronte a lei. Era chiusa in gabbia.
-Ben svegliata dolcezza- una voce che proveniva dall'angolo della cella la fece mettere subito allerta. Ginny scivolò sul fondo attaccata alla parete, mentre strizzava gli occhi tentando di riconoscere la fonte di quella voce.
-Chi sei?- chiese lei senza alcuna punta del terrore che stava iniziando a provare e che le serrava il cuore in una morsa.
-Questo non importa, sappi solo che devi prepararti. La signora Lestrange ha delle domande da farti- le rispose l'uomo facendosi più vicino.
Il cuore di Ginny perse un battito. Bellatrix Lestrange era la Zia di Draco Malfoy nonché la più terribile dei seguaci di Voldemort. Era folle e completamente votata alla causa. L'avrebbe uccisa se necessario, aveva paura, come poteva non averne? Ma lei era una grifondoro ed era Ginevra Weasley nulla poteva terrorizzarla, non si sarebbe mostrata debole né avrebbe ceduto, lo avrebbe fatto per loro, per Ron, Hermione ed Harry... il suo Harry.
-La signora Lestrange ha buongusto, anche l'altra ragazza che abbiamo preso è bella quanto te. Ma a differenza tua la sua pelle è di porcellana- continuò il mangiamorte inginocchiandosi di fronte a lei e passandole due dita sulla guancia e l'altra mano sul fianco.
Ginny represse a stento l'istinto di tirargli uno schiaffo in pieno volto. Chiuse le mani a pugno stringendo la mascella. Quale altra ragazza? La conosceva? Sperava di no, egoisticamente sperava che non ci fosse nessuno di quelli a cui voleva bene nella sua stessa situazione.
-Non toccarmi- sibilò disgustata.
L'uomo ghignò divertito arpionandole il mento e conficcandole le dita nella carne si avvicinò al suo viso. Ginny era così vicina da sentire l'alito dell'uomo mentre parlava, un odore di alcol e sigarette nauseabondo.
-Se vorrò toccarti, ti toccherò. Se vorrò prenderti ti prenderò. Se vorrò ucciderti ti ucciderò- la voce gelida le si conficcava nelle orecchie come mille lame. Gli occhi di lui erano puntati su di lei, mentre lo guardava Ginny non nascose il suo disprezzo. -Mi hai capito?- e senza aspettare nessuna risposta l'uomo si alzò, tra le mani teneva la bacchetta di Ginny, la guardò un'ultima volta e ghignando se ne andò.
Il cuore della ragazza le sprofondò nel petto mentre non sentiva più il peso famigliare del suo legno premerle contro il fianco. Ginny si stese di nuovo per terra sul pavimento sudicio senza forze, non era quello il momento di essere forte. Così si lasciò andare; mentre delle urla agghiaccianti, provenienti dal piano di sopra, le pugnalavano le orecchie.
***
Harry Potter aprì gli occhi in quel preciso istante, una fitta di mal di testa gli fece rimpiangere il sonno che aveva appena perduto. Si alzò cauto dalla branda, aveva ancora indosso i vestiti del giorno prima, ormai erano asciutti e ricordava ancora perfettamente ciò che era successo.
Appena mise un piede fuori dal letto, una raffica di capelli ricci tutti intricati lo strinse in un abbraccio che gli tolse il fiato. Il moro sorrise riscaldato dall'effetto della sua migliore amica.
-Ero così preoccupata per te! E anche Ron ma è troppo orgoglioso per ammetterlo- finì lei con un tono di rimprovero. Il rosso le scoccò un'occhiata contrariata ma non disse nulla.
-Hey amico- lo salutò tranquillo.
Harry guardò prima i suoi amici poi le cose impilate sul tavolo.
-Stiamo per partire?-
-Si, dobbiamo andare. Ieri abbiamo
visto i ghermidori con un prigioniero- disse Ron cupo.
-Non siamo al sicuro qui. Però prima di andare vi devo mostrare una cosa- Hermione prese il suo libro di fiabe aprendolo su una pagina a caso - vedete questo simbolo?- chiese indicandolo -credo sia stato tracciato da Silente. Ho controllato e non è una runa antica, ho provato anche a cercare in altri libri di lingua e storici ma non c'è nulla che parli di questo simbolo-
Harry spalancò gli occhi. Quel simbolo lo aveva già visto...
-Io l'ho visto. Al matrimonio di Bill e Fleur il signor Lovegood lo portava al
collo. Se come dici tu è stato Silente a disegnarlo è sicuramente un indizio.-
-Allora andiamo da quello svitato di Lovegood!- proruppe Ron -mi sono stancato di non far nulla- aggiunse poi scattando in piedi.
Gli altri due lo seguirono, in pochi minuti avevano preparato tutto e si erano smaterializzati.
La casa dei Lovegood si ergeva in una pianura erbosa, era alta e un po' traballante non dava l'idea di essere molto sicura ed in effetti forse non lo era affatto.
-Sembra tutto così desolato qui- fu Hermione a parlare con una certa inquietudine nella voce. Faceva più caldo in quella pianura e il cielo era coperto di quelle nuvole che creavano le cappe di calore. La casa era tutta ombre e non rendeva invitante l'ingresso nemmeno con un po' di immaginazione.
-Almeno vedremo Luna- continuò lei cercando di rincuorarsi al pensiero di rivedere una sua amica dopo tutto quel tempo. Ginny le mancava terribilmente.
I tre si fecero avanti fino ad arrivare alla porta, si guardarono un attimo spaesati dopo di che fu Ron a bussare.
La porta si aprì per metà e un uomo alto, con capelli biondi lunghi fino alle spalle comparve sulla soglia, dire che era vestito in modo sgargiante ed eccentrico sarebbe stato dire poco, guardava i tre ragazzi davanti a lui con ostilità e sospetto.
-Chi siete? Che cosa volete?- chiese burbero.
Hermione e Ron lo fissarono leggermente stupiti, fu Harry a farsi avanti.
-Salve Signor Lovegood si ricorda di me? Sono Harry Potter ci siamo visti al matrimonio di Bill e Fleur-
L'uomo parve studiarlo un istante prima di aprire anche l'altra parte della porta e scostarsi per farlo entrare. Harry fu il primo seguito dai suoi amici. La casa era un ammasso informe di cianfrusaglie, Xenophilius li fece accomodare in un salottino in cui ogni colore faceva a pugni con quell'altro e i toni scuri dei divani rendevano inquietante tutto l'insieme.
Il trio si trovava piuttosto in imbarazzo, non conoscevano per niente il signor Lovegood ma lui non aveva mai mascherato di sostenere Harry anche tramite il suo giornale: il Cavillo.
Però ad Harry pareva un po' spento, al
matrimonio si ricordava un uomo arzillo e sorridente quasi un po' bambino, ora invece sembrava afflosciato sotto il peso di qualcosa che lo turbava. Non diede voce ai suoi pensieri per pura educazione, ma la prima a parlare fu Hermione che ruppe il ghiaccio con la più semplice delle domande.
-Dov'è Luna?- chiese speranzosa, magari sarebbe riuscita a fare due chiacchiere con lei.
-Oh...- Lovegood parve essere preso alla sprovvista. -Lei... lei arriverà tra poco- disse distogliendo lo sguardo per poi ripuntarlo su Harry -allora, come posso aiutarla Signor Potter?-
-Ecco, a dire il vero si tratta di un simbolo, che lei portava al collo al matrimonio-
-Vuol dire questo?- chiese l'uomo alzando un ciondolo raffigurante lo stesso disegno che Hermione aveva visto in quei giorni.
Harry lo sfiorò con le dita, per poi ritirare subito la mano - noi ci chiedevamo che cos'è? Cosa significa?-
-Cosa significa?- riprese Xenophilius con voce titubante -è il simbolo dei doni della morte ovviamente- continuò più convinto.
-I cosa?- chiese Hermione spaesata, c'erano ben poche cose che lei non sapesse e il fatto che questa le fosse ignara la frustrava e non poco.
-I doni della morte- ripeté l'uomo -Suppongo conosciate tutti la storia dei tre fratelli?-
Hermione e Ron annuirono.
-No- rispose Harry che di storie magiche non ne sapeva nulla.
-Io, ce l'ho qui- disse Hermione cercando dentro la sua borsetta. Dopo svariati secondi estrasse un libro di medie dimensioni e lo aprì alla pagina che le interessava. Sul davanti sotto al titolo della storia, campeggiava in grande il simbolo di cui stavano discutendo. Prese un bel respiro, cercando di ignorare le sei paia di occhi fissi su di lei e di sorvolare sullo strano comportamento del signor Lovegood. Assicuratasi di essere abbastanza tranquilla, iniziò a leggere.
"C'erano una volta tre fratelli che viaggiavano lungo una strada tortuosa e solitaria al calar del sole. Dopo qualche tempo, i fratelli giunsero ad un fiume troppo profondo per guadarlo e troppo pericoloso per attraversarlo a nuoto. Tuttavia erano versati nelle arti magiche, e così bastò loro agitare la bacchetta per far comparire un ponte sopra le acque infide. Ne avevano percorso metà quando si trovarono il passo sbarrato da una figura incappucciata. Era la Morte, si sentiva imbrogliata perché di solito i viaggiatori annegavano nel fiume.
Ma la Morte era astuta. Finse di congratularsi con i tre fratelli per la loro magia e disse che meritavano un premio per la loro abilità a sfuggirle.
Il maggiore, chiese una bacchetta più potente di qualsiasi altra al mondo, così la Morte gliene fece una da un albero di sambuco che era nelle vicinanze.
Il secondo fratello decise di voler umigliare la Morte ancora di più e chiese il potere di richiamare i propri cari dalla tomba, così la Morte raccolse una pietra dal fiume e gliela
offrì.
Infine la Morte si rivolse al terzo fratello, un uomo umile, lui chiese qualcosa che gli permettesse di andarsene via senza essere seguito dalla Morte. Così la Morte, con riluttanza, gli consegnò il proprio mantello dell'invisibilità.
Il primo fratello raggiunse un lontano villaggio armato della bacchetta di sambuco e uccise un mago con cui in passato aveva litigato. Inebriato dal potere che la bacchetta di sambuco gli aveva dato, si vantò della sua invincibilità. Quella notte un altro mago gli rubò la bacchetta e per buona misura gli tagliò la gola. Così la Morte chiamò a sè il primo fratello.
Il secondo fratello tornò a casa, tirò fuori la pietra e la girò tre volte nella mano. Con sua gioia la ragazza che aveva sperato di sposare, prima della di lei morte prematura, gli apparve. Ma presto ella divenne triste e fredda perché non apparteneva al mondo dei mortali. Reso folle dal suo desiderio il secondo fratello si tolse la vita per unirsi a lei. Così la morte si prese il secondo fratello.
Riguardo al terzo fratello la morte lo cercò per molti anni, ma non fu mai in grado di trovarlo. Solo quando ebbe raggiunto una veneranda età, il fratello più giovane si tolse il mantello dell'invisibilità e lo donò a suo figlio. Poi salutò la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei; congedandosi da questa vita da pari a pari."
-Ecco, questi sono i doni della morte- disse Lovegood mentre guardava fuori dalla finestra come se stesse attendendo qualcuno. Probabilmente, pensò Harry, era in pensiero per Luna che non era ancora rientrata.
-Signore, mi scusi, ma continuo a non capire. Cosa c'entra questa fiaba con il simbolo?-
Lovegood si girò di scatto guardando Harry con occhi sgranati.
-Ma certo... ma certo...- iniziò a farfugliare -mi... mi servono carta e... penna... si-
Il trio si guardò stranito, mentre l'uomo scartabellava tra un cumulo di cianfrusaglie e quell'altro alla ricerca degli oggetti che gli servivano; continuando a farfugliare parole senza senso. Quando li ebbe trovati tornò verso di loro posizionandosi sul tavolino che era al centro del semicerchio dato dai divanetti.
Xenophilius iniziò a disegnare con mano tremante prima una linea - La bacchetta di sambuco- disse continuando e disegnando un cerchio intorno all'estremità inferiore della linea retta -la pietra della resurrezione- a completamento del disegno poi fece un triangolo che racchiudeva gli altri due simboli -e il mantello dell'invisibilità- alzò il foglio per farlo vedere ai tre ragazzi -insieme formano i doni della morte; chi li possiede diventa il padrone della morte- concluse guardandoli con occhi spiritati.
Hermione guardava l'uomo come se si fosse trovata l'intero reparto psichiatria del San Mungo davanti, Harry dal canto suo sembrava preoccupato, mentre Ron non vedeva l'ora di andarsene ed era piuttosto chiaro da come fissava intensamente la porta.
-Signore- fu Hermione la prima ad interrompere il pesante silenzio che si era creato -ma esistono davvero?- chiese scettica.
Lovegood parve studiarla un attimo - Luna mi ha parlato di lei Signorina Granger, è intelligente, ma si ferma al confine razionale delle cose. Molto limitata davvero-
Hermione che era già stanca di sentire quel mucchio di congetture si era alzata -Se Luna non arriverà a breve, credo sia meglio andare- rispose stizzita; gli altri due si alzarono subito seguendola -la ringraziamo Signor Lovegood- e fecero per dirigersi alla porta, ma in due falcate l'uomo li superò sbarrandoli la strada.
-Non potete andarvene!- urlò, i tre fecero un passo indietro. Hermione e Ron portarono subito la mano alle loro bacchette, mentre avvertivano il pericolo impregnare l'aria.
-Tu- disse l'uomo indicando Harry -sei la mia unica speranza- continuò disperato, una supplica nella sua voce roca.
-Cosa è successo Signore?- Harry, era il solito disponibile e dolce Harry pensò Hermione, talmente votato ad aiutare gli altri da trascurare la sua stessa incolumità; caratteristica che lo rendeva estremamente nobile ed ingenuo.
-Mi dispiace ma l'hanno presa capisci!- la voce di Xenophilius roca per il dolore riempì la stanza, era una disperazione che entrava fin dentro le ossa; Hermione la sentiva penetrarle la pelle. -hanno preso la mia Luna! L'hanno portata via per quello che ho scritto e perché è tua amica- un singhiozzo proruppe dalle labbra dell'uomo che parve accasciarsi su se stesso.
-Chi? Chi l'ha presa!?- Harry era infervorato, come sempre, dalla sua sete di giustizia. Voleva salvarla, non poteva sopportare che Luna venisse torturata o uccisa per colpa sua e che l'uomo che aveva davanti si stesse auto distruggendo per colpa sua.
Xenophilius alzò gli occhi spiritati puntandoli dritti in quelli smeraldini del moro, la disperazione visibile in ogni tratto del suo volto -È stato Voldemort-
Un rombo forte come un tuono proruppe per tutta la vallata. Sembrò accadere tutto a rallentatore, le finestre esplosero spargendo pezzi di vetro ovunque graffiando i vestiti e la pelle dei tre ragazzi. Ron ed Hermione avevano già tirato fuori la bacchetta, ma l'onda d'urto gli scaraventò lontano gli uni dagli altri. Il signor Lovegood era sparito; sentivano delle grida in lontananza poi tutto prese a frantumarsi. Spire di fumo nere entravano spaccando tutto quello che si trovavano sulla strada. Harry vide Ron ed Hermione provare a strisciare verso di lui che riuscì ad evitare un lampo di luce rosso per un soffio. Lampi di incantesimi partivano dalle spire che entravano sinistre dalle finestre sventrate. Harry continuava a strisciare sui cumuli di macerie cercando di evitarli; quando riuscì a raggiungere i sui amici si presero la mano e si smaterializzarono nell'esatto istante in cui Fenrir Greyback era apparso nella stanza.
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