Capitolo 27
Althea pov's
Un dolore bruciante mi invade all'improvviso a livello del costato, mi sveglio di scatto e diversi colpi di tosse mi provocano spasmi dolorosi a livello dell'addome. Viva, mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che confermi questa mia teoria...sono viva.
<<Piano..piano..- due mani mi spingono delicatamente sul sacco a pelo. Quelle mani, quella voce. Rimetto a fuoco la situazione, la freccia, la ferita, porto la mano a livello del seno e la fasciatura non c'è più. Il terrore prende il posto del dolore e della sorpresa. Sono viva e sono anche fregata. -Ci sono un po' di cose che devi spiegarmi non credi.- sospiro appena, quello che mi terrorizzava sta prendendo forma davanti a me, con una velocità tale che niente di quello che avevo pensato, nessuna scusa che avevo formulato nella mia testa, riesce a prendere forma, a trasformarsi in parola ed uscire dalle mie labbra. Caleb è inginocchiato di fianco a me, i capelli legati, l'uniforme sgualcita, mi guarda con una calma disarmante, che cela quasi alla perfezione la rabbia che gli sento dentro.
<<Ti sto dando una scelta e penso, sinceramente che tu non sia uno stupido...stupida, che tu non sia una stupida -si corregge -Ora, puoi rimanere in silenzio e sai bene qual è la pena per chi segue la tua strada, oppure mi racconti le tue motivazioni.- schiudo appena le labbra ma nessuna parola viene fuori, sono paralizzata, letteralmente. Annuisce ed una smorfia di disapprovazione gli attraversa il volto -Bene.>> sta per alzarsi, devo fare qualcosa, devo dire qualcosa. Decido di fare l'unica cosa che mi è rimasta per provare a salvarmi. Dire la verità.
<<Non vengo dalle terre dell'est...vengo dal villaggio dei fiori di Gon.- lui schiude le labbra -Sai bene cos'è successo lì quattro anni fa. Mi chiamo Althea Shawnten, della famiglia Shaw, ed ho assistito all'omicidio dei miei genitori mentre ero nascosta sotto ad una catasta di corpi senza vita.- non dice nulla, mi metto faticosamente a sedere trattenendo un gemito -mio padre era un Sirase, ma non ha potuto fare niente per salvare il suo villaggio...io avevo sedici anni e mio fratello diciotto...si è arruolato due anni dopo la strage.>> lui incrocia le braccia al petto.
<<Ha aspettato che tu diventassi maggiorenne..>> annuisco e riprendo il mio racconto, ormai non ho niente da perdere.
<<All'inizio ci scrivevamo ogni settimana, e parlavamo anche in altri modi, siamo andati avanti così per tutto il periodo dell'addestramento...poi è partito per una missione, ci siamo scritti due volte poi il silenzio, sia a livello epistolare che mentale...>> lui sorride divertito.
<<Probabilmente tuo fratello avrà trovato una donna e messo su famiglia, non sono rari i casi.>> lo blocco subito.
<<Mio fratello è scomparso insieme agli altri due che erano con lui nella foresta di Linton...comunque non ci avrebbe mai lasciati da soli.>> dico seria mentre lui schiude di nuovo le labbra.
<<Per questo ti sei arruolata? Perché sapevi che saremo andati lì?>> annuisco alle sue parole, ormai non ha più senso fingere.
<<Era l'unico modo...so che cosa pensi, puoi farmi tutto ciò che vuoi...ti chiedo solo di portarmi li, se è morto lo devo vedere con i miei occhi.>> lui sospira mentre delle lacrime mi solcano il viso. Deglutisco a fatica, le lacrime sembrano essere di fuoco e la saliva è diventata lava incandescente lungo l'esofago.
Non posso fare altro, non posso dire altro.
<<Ti ho medicata io, nessuno sa quello che c'era sotto le fasciature..- si alza in piedi -...Siamo a un giorno di cammino dagli altri, vediamo quanto sei tosta.>> lo seguo con qualche difficoltà ma senza ribattere. Sistemiamo il sacco a pelo e la valigetta dei medicamenti nello zaino e ci mettiamo in marcia.
È l'alba, quei colori rosati danno il loro saluto al cielo cacciando le oscurità della notte, saranno poi gli stessi colori a richiamarla. Da piccola sono sempre stata una notturna e non era raro che rimanessi sveglia per vedere l'alba, in particolar modo quando sapevo che mio padre era in missione.
Un giorno rientrò qualche minuto prima del solito e mi trovò lì, seduta sul davanzale della mia finestra ad aspettare l'alba. Era curioso di sapere il motivo per cui non riuscissi a dormire ed io gli dissi che avevo paura. Temevo che lui non sarebbe tornato se io mi fossi addormentata. Sospettavo che i miei incubi si sarebbero tramutati in realtà, se avessi anche solo chiuso gli occhi per qualche secondo. Lui mi aveva scompigliato i capelli e aveva promesso che sarebbe sempre tornato da noi, seguendo proprio i colori dell'alba.
Seguo Caleb da dietro e noto che di tanto in tanto si volta, come a volersi assicurare che io sia ancora qui. Superiamo un paio di sentieri difficoltosi, sento le pietre sotto gli anfibi e cerco di fare presa con tutte le mie forze per evitare di cadere.
Durante i mesi di addestramento ho pensato, stupidamente, che non potesse esistere niente di peggio che allenarsi prendendo pugni all'addome da Caleb. Mi rimangio tutto. Camminare, su un dislivello considerevole, in mezzo al nulla cosmico, con una ferita all'addome è decisamente peggio.
Respiro lentamente e mi sembra di sognare ad ogni passo, come se non fosse reale. Ci fermiamo per qualche minuto nel silenzio più totale, dal discorso di stamattina non abbiamo più parlato e questo silenzio assordante si protrae fino alla sera, quando è lui a proferire parola, con lo sguardo basso. Solo perché obbligato.
<<Domani mattina partiamo all'alba.- annuisco -Cerca di dormire.>> dopo questo siamo tornati alla situazione di stallo precedente. Preferivo il periodo dopo lo schiaffo, quando non mi parlava per evitare di alimentare le malelingue, li almeno avevo Li e Dan, ora sono sola e non sono del tutto convinta che Dan sarà ancora mio amico. Provo a dormire e riesco a finire nel mondo dei sogni per qualche ora.
Quando mi sveglio è ancora notte fonda, forse le due o le tre. Guardo il cielo stellato e sento di nuovo un gufo, anzi lo vedo proprio, è di nuovo sopra la mia testa e mi guarda, quasi sorpreso di vedermi viva. Torno ad invidiarlo, lui può volare via, librarsi in aria e scappare, io sono bloccata qui. Probabilmente anche se corressi via non riuscirei a seminare Caleb, e mi caccerei sicuramente in guai più grandi di quello in cui sono ora. Porto il braccio sinistro sotto alla testa e guardo ancora quel gufo, chissà quanti posti ha visto, su quanti villaggi è volato, quante storie potrebbe raccontare e forse già lo fa ma siamo noi a non capirlo. Mi alzo appena e noto che non è un semplice gufo, ma è lo stesso che avevo sulla testa la notte prima dell'imboscata e quando sono stata ferita era a pochi passi da noi. Merda penso e mi alzo in fretta
<<Generale?...Generale?- lo scuoto appena e lui apre gli occhi verdi di scatto -Ho capito come fanno a comunicare e ci dobbiamo muovere.>>
<<Al...che diamine stai dicendo?>> sospiro.
<<I Ramiz comunicano tra loro, molti dicono che lo fanno con il pensiero ma c'è un modo molto più semplice.- gli indico il gufo -È lo stesso con cui parlavo la notte in cui ti ho medicato le mani e lo stesso che era sulla spalla del Ramiz che ho ucciso ed è volato via...gli manca una zampa sono sicura che sia lui.>> sentiamo un applauso e vediamo quell'uomo farsi avanti, Caleb è già in piedi ed io sono appoggiata contro la sua schiena.
<<Bravo...complimenti, nessuno era mai riuscito a sopravvivere ad una nostra imboscata, né tanto meno aveva capito i nostri metodi.- quell'uccellaccio vola sulla spalla di quel gigante mascherato, Caleb ha sguainato la spada ed io mi sento decisamente un peso, mi ha tolto le armi dalla mia confessione ed ora sono utile come un sacco di sabbia in mezzo al deserto. -Che modi bruschi? Non vi insegnano all'accademia a comportarvi con rispetto di fronte ad un capo.- Caleb non risponde pronto all'attacco, sento i suoi muscoli tesi e posso percepire il rumore dei suoi pensieri -Peccato..>> l'uomo si butta addosso a Caleb, quest'ultimo mi spinge verso un albero ed io salgo sopra senza la minima esitazione. Mentre i due combattono il gufo ha spiccato il volo, fatto il suo richiamo si è venuto a poggiare a qualche metro da me.
Dalla foresta arrivano altri due uomini e prima che il gufo possa fare altro lo prendo io al volo e lo uccido a mani nude. Uno di quegli uomini è sotto al mio albero ad un balzo di distanza. Devo usare qualcosa come diversivo, qualcosa che possa distrarre quegli uomini così da regalare a me e Caleb un briciolo di vantaggio.
Mi guardo le mani, ancora macchiate del sangue caldo del gufo ed ho un'idea. Lancio quel cadavere ai piedi dello sfidante di Caleb, che arretra e guarda quel corpo come io guarderei quello di Li. Mi sento un mostro, ma non ho tempo per i rimpianti, mi butto sulle spalle del ragazzo che era sotto la mia pianta e gli sfilo i pugnali dai bracciali.
Gli taglio la gola prima ancora che possa reagire e mi avvicino agli altri due.
Sono bravi, pesanti e decisamente più addestrati di me.
Sono fottuta? Probabile.
Ma sicuramente non mi do per vinta adesso. Riesco a ferire ad una gamba uno dei due, che rimane a terra senza la forza materiale di alzarsi e all'altro lascio un pugnale conficcato nel costato.
Mi volto e Caleb è a terra, il Ramiz sopra di lui...non penso, prendo un sasso e lo lancio sulla testa dell'uomo, che si volta immediatamente. Da qui inizia lo scontro più duro della mia vita. Lui è incazzato, credo di aver ucciso il suo migliore amico.
È abile con la spada, veloce nei movimenti. Gli altri due sono stati facili da buttare giù, lui no. Si guarda intorno alla ricerca degli altri e quando non li trova scappa in ritirata.
<<Ti avevo detto di..>> inizia Caleb, le sopracciglia aggrottate, il viso rosso di rabbia. Mi sbraita letteralmente contro mentre io mi tiro su faticosamente.
<<Se non ti avessi aiutato saresti morto...ed ora andiamocene, prima che ne arrivino altri.>> lui non obietta, riprendiamo le nostre cose e iniziamo il cammino, proprio con le prime luci dell'alba, mentre dentro di me reprimo l'animale che vorrebbe uscire, non trattengo però le mie ombre.
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