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2

Scendere fin lì era stata una follia.

Convinto di riprendere il controllo sul suo destino, Ananche percorse a ritroso le buie scale e riemerse nella sala superiore.

Prima di tentare la sorte con una delle tante porte, esplorò con cautela la sala, seguendo dei vaghi bagliori fino ad un ampio e tetro salone, che si apriva oltre un'arcata sostenuta da due cariatidi spettrali.

Al centro della stanza, illuminato a tratti dalla luce dei candelabri circostanti, un ometto storto era indaffarato in qualche misteriosa faccenda.

Lo aveva già visto, anche se era di spalle non poteva ingannarsi: era lo strano individuo che li aveva invitati alla festa, il padrone di casa.

Vinse l'istinto di fuggire, per cogliere quel suo attimo di distrazione e vendicarsi della prigionia, di cui era certo fosse l'artefice, ma soprattutto aprirsi una via di fuga.

«Vieni, avvicinati.»

La voce dell'uomo lo paralizzò, come se gli avesse intimato l'esatto contrario di quanto pronunciato. Aveva il tono fastidioso di una mola sulla lama.

«Come ti chiami?»

Anche questa, in realtà, non era una domanda. «Ananche.»

«Che nome interessante... forza, avvicinati ti ho detto.» Si voltò mostrando un sorriso di denti sghembi che metteva i brividi.

Ananche obbedì.

L'uomo stava preparando una strana mistura dentro un pentolino. O forse era un pitale. Sul tavolo aveva altre numerose caraffe, bricchi e bicchieri dalle forme stravaganti.

«Sei uno degli ospiti della mia festa, vero?»

«Sì... ero alla... festa» balbettò, per niente intenzionato a parlare.

«Ti stai divertendo?»

«Molt... issimo.»

L'uomo sogghignò, senza alzare lo sguardo dall'intruglio che stava preparando.

«Ottimo. Ottimo. Posso offrirti qualcosa da bere?»

Ananche fissò il liquido viscoso che ribolliva nel pitale. «Quello?» domandò trattenendo un fremito.

«Oh, no, quello non è da bere. Ti offro una birra» e afferrò sicuro una beuta contenente un liquido biondo.

Ananche guardò quel braccio teso come avrebbe scrutato un animale feroce. Era sicurissimo che in quella prigione c'era finito per colpa della birra. O del cibo. Insomma, di qualcosa che gli avevano dato alla festa. E poi quella non sembrava birra, anche se ne aveva il colore.

«No, grazie, non ho sete.»

«Ti prego, insisto.» Non era stata una richiesta.

Ananche sentì i muscoli del braccio muoversi contro la sua volontà, piegarsi nel gesto di afferrare il contenitore che l'uomo gli porgeva.

«Prendilo.»

Le sue dita si chiusero sul vetro, la mano che tremava nello sforzo di resistere.

«Ora bevilo. Dai, non farti pregare.»

Adesso, tutto in quell'uomo era fastidioso: la voce, il sorriso, lo sguardo. Era come circondato da un alone di perfidia, e Ananche poteva sentirne la presenza.

Nonostante ciò non riusciva a fuggire, e neppure ad impedire al suo braccio di portargli quel bicchiere alla bocca.

Ma doveva fermarlo.

«Bevilo.»

Ma la voce era forte, e la sua mano non si fermava.

Bevilo...

Non era più una voce, era un richiamo dall'oltretomba. E doveva fermarlo...

Fai una prova di VOLONTÀ.

- se ottieni un valore inferiore a 12 vai al capitolo 19

- altrimenti, se ottieni 12 o più, vai al capitolo 5



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