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Pioveva. Sentiva il rumore di grosse gocce esplodere sulla terra. Ma la pioggia era fuori, e anche la terra. Il luogo dove si trovava adesso era asciutto, o almeno non era zuppo, e c'erano mattoni sotto il suo corpo, neri di muffa ma più puliti di una pozza di fango. Ce ne doveva essere parecchio, là fuori, di fango.

Ananche provò a mettersi in piedi ma la testa era tanto pesante da trascinarlo nuovamente giù. Allora si sedette, più sicuro. La testa non era solo pensante, ma pulsava come se uno spirito maligno vi fosse incastrato dentro e stesse cercando di uscire. Fece comunque uno sforzo per mettere a fuoco le quattro pareti che lo circondavano: a prima vista si sarebbe detta la cella di una prigione.

Anche un secondo sguardo lo confermava: pochi metri quadri di superficie, un pertugio largo un pugno appena sotto il soffitto come unica finestra, una pesante porta di metallo a chiudere l'ingresso. Oltre a un maleodorante compagno di sventura che russava riverso contro l'altra parete.

Per Babuz, cosa ci faceva in una prigione?

L'ultima immagine di cui aveva memoria era la carrozza che era venuto a prenderlo per portarlo al banchetto. Sì, il giorno prima, o forse erano due giorni prima, o tre, chi poteva saperlo, quel buffo tipo era sceso da una carrozza da vero signore e aveva invitato un po' di gente del ghetto a casa sua, per una festa. Lo ricordava bene quell'uomo, era un piccoletto spelacchiato come un gatto randagio, strabico in un occhio e con un sorriso sghembo che metteva la pelle d'oca, ma era sceso da quella carrozza d'oro e di merletti e molti gli avevano dato subito retta. Anche lui l'aveva fatto, non appena aveva sentito parlare di cibo e vino gratis.

Per averli sarebbe bastato salire il giorno dopo su quella carrozza e farsi accompagnare alla reggia di quel nobile signore, Malocchio si chiamava, o qualcosa del genere. Era un tipo strano, con un nome strano, e un'offerta ancora più strana, ma erano tre giorni che non faceva un pasto decente, come la maggior parte della gente da quelle parti, e la tentazione fu più forte d'ogni dubbio.

Ma a giudicare dai fatti era stato un errore.

Eppure, qualcosa doveva aver mangiato, si sentiva sazio, anzi, gonfio fino alla nausea. Aveva anche vaghi ricordi di tavole imbandite e boccali di birra. Sì, ricordava la birra, era scadente, un sapore orribile anche per i palati meno delicati. Ma l'aveva bevuta, e aveva mangiato a piene mani. Non ricordava cosa ma aveva sicuramente mangiato.

Poi il buio.

Cos'era successo? Perché lo avevano arrestato? Aveva forse esagerato alla festa?

Si mise in piedi solo con l'aiuto del muro, e con passi stentati si avvicinò al suo compagno di sventura. Era un volto familiare e dal puzzo doveva essere stato anche lui alla festa: forse ricordava qualcosa e valeva la pena svegliarlo.

Ma una voce da oltre la porta venne a interrompere i suoi propositi.

Cosa farà Ananche?

- fingerà di dormire (vai al capitolo 4)

- sveglierà comunque il compagno (vai al capitolo 7)

- aggredirà chiunque dovesse aprire la porta (vai al capitolo 11)

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