Capitolo 26
Atlantis B12, 15000 anni fa
Mi manca il fiato.
E non in senso positivo per una qualche emozione gioiosa.
Intorno a me tutto è così bianco e blu che non capisco dove mi trovo. L'unica cosa certa è che non sono più nel Palazzo del Collezionista insieme alle Genti Bianche.
Thorne...
Il suo nome scivola fra le mie labbra insieme ad una spirale di bollicine mentre il mio corpo galleggia senza forze in quello strano liquido, leggermente denso e dal sapore dolciastro.
La mia vista è annebbiata, però riesco ancora a scorgere frammenti di immagini, che il mio cervello registra sotto la voce "allucinazioni".
Perché è davvero impossibile che io stia annegando.
Quando ero piccola, avevo letto molte storie riguardo gli oceani spaziali. Si diceva che fossero abitati da creature carnivore pronte a divorarti in un sol boccone, che non si potesse nemmeno guardarli perché alcuni specchi d'acqua avevano il potere di pietrificare i malcapitati oppure che contenessero sostanze così velenose da avvelenare l'intero pianeta di appartenenza nel giro di pochissimi cicli.
Comunque io la voglia guardare, la situazione in cui sono capitata è davvero pessima.
Inclino la testa di lato per scoccare una fugace occhiata al bracciale, l'oggetto infernale che mi ha trascinata in questo postaccio, ma non dà segni di vita.
Ti odio!!!
Sbuffo, scocciata, mentre il terrore soverchiante di prima viene scalzato da un'ondata di rabbia cieca.
Possibile che io non possa mai giungere in luoghi pacifici e tranquilli?
Agito braccia e gambe nel tentativo di guadagnare una posizione perpendicolare alla superficie, che presumo essere svariati check* sopra di me.
O almeno lo spero.
Dopodiché provo a risalire, in maniera piuttosto goffa, con bracciate scoordinate. Mi pare di non riuscire a compiere neppure un check e non ho nemmeno modo di saperlo, dato che non c'è assolutamente nulla attorno a me.
Siamo io e il vuoto assoluto.
Soltanto i miei polmoni che bruciano riescono a darmi un'idea del tempo che sto trascorrendo immersa qui dentro. La razza a cui appartengo possiede ottimi poteri di guarigione, però non credo che abbiano messo in conto una sosta così lunga in un oceano spaziale.
Infatti, avverto le mie cellule perdere la battaglia e cedere, una dopo l'altra, mentre i miei movimenti si fanno sempre più lenti e sconclusionati.
Non posso arrendermi...
Se mi lasciassi andare, non rivedrei più Lothar.
Non so quale destino abbia trovato il mio primo e unico amico.
Spero con tutto il cuore che il Re non l'abbia imprigionato. Lui si è sacrificato per me, per permettermi di fuggire da un Destino già scritto.
Avverto i tipici segnali di un pianto in arrivo: fatica a respirare, nodo in gola, occhi lucidi. Però l'immagine di mio padre mi appare di fronte e leggo tutto il suo disgusto e la sua disapprovazione nei miei confronti così ricaccio indietro le lacrime e rinnovo i miei sforzi per uscire da quell'incubo.
Eppure per quanto io ci provi, sembra proprio che non riesca a muovermi di un check.
Il liquido in cui mi trovo si aggrappa alla mia pelle, appesantendomi e limitando i miei movimenti. Il mio potere di guarigione si affievolisce sempre più insieme alla mia forza di volontà. Gli occhi mi si chiudono mentre un altro vitale respiro abbandona le mie labbra esangui.
Thorne...
Il volto di quel ragazzo gentile e scapestrato invade la mia mente: sono passati pochissimi istanti da quando me ne sono andata.
Chissà se mi sta cercando.
Chissà se un poco gli manco.
Non sono neanche riuscita a vederlo un'ultima volta...
Me lo ricordo dietro alle sbarre della prigione del Collezionista, una visione che mi provoca un dolore al petto alquanto strano. Però mi rammento anche gli allenamenti assieme a lui, alle sue mani su di me quando doveva correggere una posizione di tiro o una d'attacco, alla sua voce nella mia testa durante la battaglia guidata da Omicron.
Inutile...
Sei un essere inutile...
La splendida figura di Thorne svanisce nel nulla, soppiantata da un'altra ben più inquietante e pericolosa: il Re.
Ed infiniti ricordi della mia infanzia mi riempiono la testa, sempre più pesante e confusa.
Come la prima volta che l'ho visto punire un cittadino per un'infrazione di poco conto. Quell'uomo aveva fame e quindi aveva rubato una malag* dalle provviste destinate al Re, così mio padre l'aveva fatto incatenare ad un palo. Dopodiché aveva incaricato uno dei suoi scagnozzi di scuoiarlo vivo, in maniera molto lenta, mentre lui si godeva lo spettacolo, mangiando malag a volontà.
Mi ricordo le sottili strisce di pelle che si staccavano dalla carne di quel poveretto.
Mi ricordo le urla così laceranti da perforarmi i timpani.
Mi ricordo il succo di malag che colava dalla bocca ingorda del Re.
Muovo piano il capo perché voglio liberarmi da quelle terribili immagini, ma percepisco il mio corpo come qualcosa di distante, che non mi appartiene più.
Tu appartieni a me!
La voce del Re risuona sempre più forte fra i miei pensieri, terrorizzandomi, mentre un freddo intenso comincia a prendere possesso delle mie provate membra.
Inizio a perdere sensibilità alle gambe e alle braccia quando un canto malinconico scalza l'imperiosa voce di mio padre.
Uhura...
La persona più vicina ad una madre che io abbia avuto.
Ogni volta che mi svegliavo a causa di un incubo, lei si precipitava da me e mi teneva stretta, canticchiando un triste melodia che le ricordava casa sua.
Ho sempre vissuto così, in bilico fra la follia e la dolcezza.
Il mio desiderio più grande era scappare dalla gabbia in cui ero rinchiusa.
E ce l'ho fatta.
Per qualche breve istante, ho vissuto appieno la mia vita, allacciando rapporti interpersonali e conoscendo esponenti di altre razze.
Quei piccoli e gioiosi tasselli riescono ad oscurare le tenebre che mio padre ha coltivato dentro di me, ma adesso non possono salvarmi.
Nulla può aiutarmi.
Il gelo avanza e si propaga in tutto il mio corpo. Non percepisco più gli arti né gli organi.
La mente è l'ultima a svanire nel pozzo buio dell'oblio.
Nota degli autori:
* i check a cui si riferisce Zaira equivalgono ai nostri metri terrestri
* la malag è una specie di mela, di colore viola, succosa e dolcissima
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