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Capitolo 12

L'edificio appare, finalmente, davanti ai miei occhi: a prima vista sembra disabitato, però, se aguzzo lo sguardo, riesco a scorgere due guardie armate all'entrata.

Grazie alla pioggia e agli alberi, la mia presenza viene celata alle due sentinelle così posso dare un'occhiata in giro tranquillamente.

Quel luogo mi dà i brividi, ma non ho molte alternative a mia disposizione: devo riuscire a entrare per potermi riposare e asciugare i vestiti.

Studio con apprensione il reticolato di metallo che circonda quella specie di palazzo dall'aria abbandonata e i miei occhi si bloccano sulla figura inerme di un esemplare di luak*. L'animale è morto forse folgorato viste le chiazze di pelo bruciato: un sensazione di tristezza mi prende il cuore, mozzandomi il poco fiato che mi rimane.

Quel posto è l'ultimo al mondo in cui vorrei andare eppure è proprio verso quel palazzo che mi incammino.

Mantengo una postura gobba, acquattata, nascondendomi fra gli alberi che si diradano sempre più finché non mi fermo nuovamente. Sono giunta all'ultimo arbusto poi i nascondigli sono finiti e vi è solamente una distesa vuota.

D'accordo...

Pensa, Zaira...

Certamente non posso entrare dalla porta principale con quei due energumeni che stazionano lì davanti quindi il mio sguardo, acuto nonostante la pioggia cerchi di accecarmi, spazia lungo il reticolo in cerca di una falla.

Trovata!

Sul lato sinistro dell'edificio, noto alcuni filamenti metallici logori e sfilacciati che fanno al caso mio. Corro, per quanto possibile tra il fango e l'acqua incandescente che mi scivola lungo il corpo, zigzagando fra i cespugli fino a giungere al punto esatto.

Ora mi attende una corsa in campo aperto dove chiunque può vedermi, anche se dubito che ci sia qualcuno in giro con questo tempaccio.

Tento di prendere un respiro profondo, ma esso si incastra in gola nel ripensare a quel povero luak. Affondo dolorosamente le dita nella corteccia dell'albero vicino a me finché la sofferenza non diventa il mio unico pensiero.

Con la mente schiarita e il cuore in tumulto, inizio a correre verso quella piccola feritoia nel reticolato: i piedi nudi affondano nel fango, rallentandomi, però io non mollo e attingo a una riserva di energia che non credevo di possedere.

Raggiungo così la mia meta e mi accascio a terra con il fiato corto e le membra intorpidite. Davanti ai miei occhi si trova il buco che dovrei attraversare: è così piccolo che non penso di riuscirci.

Allungo una mano tremante verso di esso e poggio un dito sul metallo. Non vengo colpita da nulla, né un fulmine né una freccia.

Forse il sistema di sicurezza è fuori uso...

Una fortuna insperata.

Gattono verso l'apertura e striscio con la pancia a terra per poter entrare senza ferirmi sugli spuntoni metallici. Ce l'ho quasi fatta quando, con un colpo di reni, sbatto contro il reticolato, ferendomi ad un polpaccio.

Il dolore è subito intenso e violento, però io non mi fermo.

Non posso fermarmi.

Finisco di trascinarmi al di là della recinzione e mi rialzo, anche se un po' barcollante. Cerco di non poggiare il peso sulla gamba ferita: nonostante le mie cellule si stiano riparando a una velocità sorprendente, provo ancora sofferenza e stringo i denti mentre avanzo in direzione di una porticina scura e anonima.

Mi occorrono due tentativi prima di riuscire ad aprirla: le mani sono bagnate e scivolano sulla maniglia lucida.

La socchiudo, pronta a richiuderla se dovessi avere brutte sorprese, ma questo non accade. Anzi, non succede proprio nulla.

Allora la apro un poco di più ed entro senza far rumore, per poi accostare la porta alle mie spalle. Rimango vicino alla sola via d'uscita che conosco mentre il mio sguardo studia il luogo in cui sono finita.

La cosa positiva è che, finalmente, mi trovo all'asciutto ed è una bellissima sensazione. E poi la temperatura è così alta che gli abiti iniziano ad asciugarsi addosso: l'acqua semplicemente evapora, trasformandosi in una nebbiolina iridescente per dopo scomparire nel nulla.

Alla mia destra scorgo un altissimo scaffale colmo di pezzi di lamiera, scarti robotici e altre cose che non riesco a identificare. Mantenendo il passo felpato e la schiena ancorata al muro, raggiungo quel rifugio improvvisato prima di scandagliare l'ambiente alla ricerca di un indizio che mi faccia capire dove mi trovo.

D'un tratto, un clangore metallico risuona nel silenzio, facendomi sobbalzare.

Con un movimento lento e appena percettibile, scosto un casco per guidare le folek* così da poter vedere chi produce un suono talmente forte da farmi battere i denti.

Non devo cercare a lungo.

I miei occhi si posano sulla figura imponente di quello che mi sembra un mostro. Possiede una schiena muscolosa e imperlata di sudore argentato, due bracciali ornati da punte metalliche circondano i suoi grossi bicipiti mentre continua a sbattere con foga sull'incudine di fronte a lui.

Non posso vedere il suo volto perché indossa una elmo nero dotato di due corna color del fuoco che lo fanno assomigliare a un demone.

Per quanto posso capire, dev'essere un fabbro data la quantità di oggetti che vedo in giro per l'ampia stanza. Infatti ci sono cose di ogni sorta, dai caschi di tute spaziali ai più ameni tred*.

Non so che fare.

Dovrei uscire allo scoperto e chiedere ospitalità?

Riporto lo sguardo sull'ampia schiena del fabbro e scuoto la testa: non dovrei giudicarlo male visto che non lo conosco però mi fido delle mie sensazioni.

Quel luogo non mi piace e neppure quel tipo nerboruto.

Reprimo un sospiro e torno a riflettere sulle mie opzioni mentre gli occhi si fissano sull'oggetto che lo sconosciuto sta costruendo.

Ma quello...

Abbasso lo sguardo sul mio polso per poi riportarlo sulle mani del fabbro.

Non è possibile...

Mi porto una mano alla bocca per zittire il grido che sta per esplodere e capisco dove mi trovo.

Devo andarmene!

Subito!

Neppure il tempo di formulare questo pensiero che avverto la canna di un fucile phaser premere sulla mia schiena.








Nota degli autori:


Il luak assomiglia ad un daino, però possiede il pelo lungo e di colore celeste


Le folek sono un tipo di auto che Zaira ha visto in uno dei libri che leggeva da giovane: ricordano un poco le Ferrari, anche se, in commercio, sono unicamente di colore nero e prive di tettuccio e portiere


I tred sono piccole lampade che i ricchi usano per decorare la camera da letto. Non emettono luce bensì musica

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