Royal Kew Garden
I giardini botanici Reali di Kew si trovavano a circa 15 miglia a sud ovest di Londra, raggiungibili facilmente in carrozza in meno di mezz'ora.
Era il luogo dove spesso veniva ricercata tranquillità e ristoro, attraverso quei giardini lussureggianti che si espandevano per centinaia di ettari, tra prati, boschi, serre, laghetti e piccoli fiumi, lontano dai miasmi e il grigiore della capitale.
Era per chiunque un vero toccasana, dove si poteva respirare aria fresca e pulita oltre che a godere di scorci tanto belli da mozzare il fiato.
Da poco era stata persino costruita una titanica serra, contenente collezioni di rarissime piante esotiche di lontane origini e che portava chi vi entrasse a trovarsi in una sorta di foresta pluviale.
Una cupola in vetro e ferro battuto dipinto di bianco rifletteva i raggi del sole di una fresca giornata di fine estate, ricoprendo centinaia di palme, piante e fiori provenienti da tutto il mondo, in un tripudio di profumi e colori che solo in quel luogo si potevano ammirare.
Il parco si estendeva tra viali alberati, foreste di conifere e pioppi; salici piangenti dei cui rami sfioravano la superfice di piccoli laghetti artificiali; cedri, importati da meno di una decina di anni, e alberi di ciliegio.
Non molto distante da quest'ultimi, tra alberi di origine orientale quali camelie gialle e magnolie bianche o rosa acceso, nell'angolo sud-est dei giardini, si elevava imponente una pagoda, ispirata al modello della Taa cinese.
Era una delle costruzioni più famose di tutto l'impero britannico, dalla quale si poteva godere di una splendida vista della capitale; sempre che non fosse, come suo solito, avvolta nella sua fosca cappa grigiastra.
Elaine e Nellie avevano già varcato l'ingresso dei giardini, passando di fronte a uno dei piccoli cottage appartenti ai guardiani del parco che si occupavano della salvaguardia di tutto il giardino reale; una sorta di polizia divenuta ufficiale qualche anno precedente.
Non era la prima volta che la contessa metteva piede in quei luoghi così simili alle favole che aveva solamente potuto immaginare attraverso la lettura di libri, e proprio in quel luogo per lei ricco di magia aveva passato una giornata intera in compagnia di Viktor, prima che la coppia convogliasse a nozze in una delle tante occasioni in cui era solito vedersi durante il corteggiamento.
Quel ricordo era stato uno dei motivi per il quale la ragazza aveva declinato per più giorni l'invito della sua domestica a recarsi ai giardini, nonostante l'insistenza e la consapevolezza che ci avrebbe trovato quasi certamente anche Benjamin e i due dissennati irlandesi.
Nonostante il desiderio di vedere l'americano e di passare del tempo con lui, il solo pensiero di tornare in quel luogo dai ricordi ormai sbiaditi tornava a stuzzicare quelle sottili lingue di fuoco che le consumavano l'animo dal rammarico.
Nellie però non si era arresa, continuando imperterrita a cercare di convincere la sua protetta. Erano uscite spesso, in quei giorni, sempre evitando il Bedford College come dà indicazioni di Killmer che non aveva mai mancato neppure un giorno l'appuntamento per visitare la ragazza, soddisfatto della sua rapida ripresa.
Era quasi passata una settimana, ma nessuna lettera da parte del conte aveva raggiunto le mani di Elaine che altro non aspettavano.
Per inerzia e ormai stanca dell'insistenza di Nellie, che pregava la sua signora per quell'uscita al Kew Garden aggiungendo persino un'impacciata e timida ammissione di voler stare assieme ai due irlandesi, alla fine Elaine accettò.
I ricordi di quella lontana giornata di mezza estate tornarono dolorosi alla mente della contessa, per quanto il giardino iniziasse a cedere al cambio di temperatura, lasciando che i colori sfumassero e i fiori si inchinassero, appassendo per donare al terreno preziosi semi dai quali sarebbe poi scaturita nuova vita alla primavera dell'anno successivo.
Ormai l'estate stava giungendo al termine, lasciando spazio all'arrivo dell'autunno. La stagione Londinese era ormai terminata e molti dei nobili o gentiluomini borghesi avevano già stretto accordi o firmato promesse di matrimonio.
Non era quindi così casuale che gli ospiti che visitassero il parco fossero in numero più esiguo rispetto a quanti percorressero i giardini nelle giornate primaverili o estive, quando quel luogo esprimeva il suo massimo splendore.
Ricordava di aver visitato con Viktor la serra delle palme, passeggiando con lui lungo il terrazzamento interno sopraelevato dal quale si poteva osservare tutto dall'alto, come invisibili spettatori di un mondo naturale di piante e alberi che mai aveva solo potuto immaginare, felice di ciò che vedeva e della compagnia di colui che era diventato suo marito.
«Non voglio andare alla Palm House» intimò Elaine, osservando l'imponente costruzione in vetro soffiato e ferro dipinto a due piani, attraverso il quale si intravedeva l'arboreo insieme di piante esotiche. «Fa troppo caldo là dentro e non vorrei sentirmi male» specificò, osservando Nellie che annuì, con un sorriso appena accennato, prima di guardarsi attorno.
«Allora non ci andremo, l'appuntamento difatti lo abbiamo altrove con i ragazzi. Quel posto da un po' troppo nell'occhio» ammise la domestica, mentre si sistemava distrattamente il vestito, evidentemente agitata per quell'uscita che la sua signora aveva più volte criticato.
«Non credo ancora che sia una buona idea, Nellie. Inoltre vi chiederei di non lasciarmi da sola con uno di loro. Non sarebbe per nulla appropriato...»
«Non è appropriato neppure che vi fermiate a parlare da sola con Ben al Bedford College, mia Signora; o che io mi veda con Padraig e con Noel. Qui non c'è praticamente nessuno» spiegò Nellie aprendo le braccia. «C'è più possibilità che vi vedano al Bedford college che in uno di questi boschi.»
«Concordo, certo... non è una giustificazione>> rispose la ragazza stringendo le labbra. Di certo la possibilità che fossero visti all'istituto era più probabile, ma meno complicato poi da spiegare. Non avrebbe avuto scusanti se passeggiando accanto al laghetto con Ben qualcuno li avesse visti, per quanto a quell'idea si sentì subito sopraffare da una certa agitazione, come se il solo pensiero di stare da sola con l'americano in un luogo tanto intimo la mettesse a disagio, tanto da farle apparire un lieve rossore in viso.
A Nellie quell'espressione pensierosa e le gote arrossate non sfuggirono. «Suvvia, Lady Lancashire. Siamo qui per permettervi di stare bene. Vi chiedo solo qualche breve minuto con i ragazzi. Benjamin è un brav'uomo e non credo che tenterebbe nulla di inappropriato» insistette, accusando poi lo sguardo infastidito di Elaine.
«Quindi, davvero mi state dicendo che mi lascerete sola con lui?»
«Signora, lo fate ogni volta che siamo all'istituto; qui cosa cambia?» domandò Nellie, mentre percorrevano lentamente uno dei viali alberati che portava verso sud-est, nella zona orientale del parco, accessibile attraverso il passaggio di una fitta foresta di sempreverdi.
«Cambia!» replicò Elaine, sempre più agitata nell'animo per quel incontro che sapeva ci sarebbe stato da lì a breve. Aveva sì voglia di rivedere quello che ormai riteneva come il suo unico amico, tuttavia sentiva anche una certa inquietudine attanagliarla sempre di più.
Percepiva quanto potesse essere sbagliato, ma al contempo non poteva non ammettere di volerlo lei stessa, di cercare di scacciare i pensieri e i ricordi di Viktor che aveva in quel luogo, usandone di nuovi dove ci sarebbe stato Ben.
Si addentrarono nel boschetto, restando in silenzio, percorrendo un sentiero selciato che serpeggiava tra gli alberi, incrociando di tanto in tanto qualche raro ospite o coppia che passeggiava godendosi la calma e l'aria frizzante del primo pomeriggio.
Ricambiando i saluti di rito con chi incrociavano, voluti dal galateo e dall'etichetta, per quanto furono tutte facce completamente sconosciute alla contessa, raggiunsero infine il termine della piccola foresta, trovandosi di fronte un ampio prato dal quale, in lontananza, si intravedeva un pennacchio di una fontana.
Il resto della struttura era però nascosta dietro enormi siepi perfettamente geometriche, tagliate a formare quello che Elaine riconobbe come un labirinto, il cui ingresso le si trovava proprio di fronte.
«Non mi ricordavo che al Kew Garden ci fosse una cosa simile» ammise la ragazza osservandolo con titubanza, guardano poi la sua accompagnatrice.
«Il modo migliore per incontrarsi senza dare nell'occhio, Milady» sghignazzò Nellie, afferrando di slancio la mano della contessa e trascinandola all'interno di quell'intricato dedalo di arbusti.
Le siepi in legno di tasso, con le loro riconoscibili bacche rosse, erano abbastanza alte da impedire a chi si addentrava in quei vicoli naturali cosa li circondasse. Di visibile rimaneva solo il pennacchio d'acqua della fontana e, leggermente più distante da dove si trovassero, la sommità della pagoda cinese.
Nellie si mosse veloce tra le pareti labirintiche, riuscendo a trascinare nella sua ilarità e nel gioco anche la contessa, che gli stava dietro con più fatica, benché un po' più alleggerita nell'animo.
«Forse dovremo separarci...» propose la domestica.
«Credo sia una pessima idea!» esclamò l'aristocratica guardandosi attorno. «Non pensate di lasciarmi da sola, o non avrete più un lavoro, Nellie Dunn!» sottolineò, decisamente contraria a quell'idea, pur non riuscendo a evitare di tenere sul volto un sorrisetto divertito, decisamente più spensierata rispetto a quando aveva messo piede nel parco.
Nellie non osò verificare se la sua protetta dicesse sul serio o meno e non se ne separò. Girarono a vuoto a lungo, tornando indietro a svariati vicoli ciechi, prima di andare a sbattere letteralmente addosso ai ragazzi apparsi da dietro a un angolo.
Elaine, divertita da quel gioco che non faceva da anni, neanche si accorse di finire contro l'americano, portando istintivamente le mani sul petto del giovane, arrestata dal suo incedere e imbarazzata per quell'incontro che li aveva resi decisamente troppo vicini.
Persino Benjamin, non aspettandosi di trovarsi proprio la ragazza di fronte e porgendogli le braccia in un gesto spontaneo, rimase sorpreso dell'apparizione della contessa.
«Siete arrivati!» esultò Nellie, facendo riprendere Elaine che si scansò all'istante dal giovane, facendo qualche passo indietro in evidente imbarazzo.
Alle spalle di Ben apparvero i due ragazzi, spingendosi l'un con l'altro a spallate contro le siepi e rivolgendo alla ragazza un sorriso giocoso e furbastro.
«Noel credeva che non saremmo mai usciti vivi da qui...» spiegò Padraig.
«E tu, invece, stavi cercando di capire dove si trovasse la tua fidanzatina» lo prese in giro l'altro, provocandolo per poi avvicinarsi alla domestica per passarle una mano sulle spalle. «Ah, che sciocco, ma lei non è la tua ragazza! È la mia!» sghignazzò malizioso rivolgendo lo sguardo verso Nellie che scuoteva la testa interdetta e confusa.
«Come?» domandò Padraig, voltandosi a guardare Nellie con un'espressione delusa. «Che significa che sei la sua fidanzata?» chiese seccato, mentre la ragazza scuoteva il capo con decisione. «No... io... che cosa state dicendo?»
«Lascia stare, Nellie, ho un posto bellissimo da farti vedere» tubò Noel stringendo la ragazza per voltarsi e portarsela via, verso la direzione da cui erano arrivate, con Ben ed Elaine che li guardavano allibiti
«Voi non andate proprio da nessuna parte!» tuonò irlandese dai capelli color rame, iniziando ad avanzare deciso verso di loro con sguardo truce.
«Nellie!» cercò di richiamarla la contessa.
«Ragazzi!» gridò Benjamin, nel vano tentativo di richiamarli a sé.
La domestica farfugliò qualcosa che assomigliò tanto a una scusa, prima che Noel se la trascinasse dietro a una delle siepi.
«Go n-ithe an cat thú, is go n-ithe an diabhal an cat!*» gli urlò dietro Padraig in gaelico, iniziando a seguirli del tutto inferocito e sparendo anche lui alla vista.
«Cosa... cosa gli ha detto?» domandò Elaine ancora immobile a guardare nella direzione da cui i tre erano scomparsi, a occhi sgranati ed espressione sconcertata.
«Credo qualcosa come... che il gatto ti faccia del male e che il diavolo faccia male al gatto!» rispose Benjamin per poi sospirare stancamente. «Lo sapevo che sarebbe andata così.»
«In che senso lo sapevate?» domandò la contessa voltandosi a guardarlo. «Che intendete?»
Lui tornò a rivolgere l'attenzione sulla ragazza, accigliandosi lievemente prima di sorridere spontaneo. «Sono felice di vedervi, Lady Lancashire!»
«Signor Collins, state... state evitando la mia domanda?» domandò lei confusa, tra l'effetto che gli aveva appena procurato il sentire le parole dell'uomo e il suo tentativo di eludere la risposta che lei aspettava.
«No, milady, non sto evitando la domanda» replicò lui sbuffando, togliendosi il cappello e passandosi una mano tra i capelli «Stavo solo dicendo che era ovvio che succedesse che quei tre sarebbero spariti pur di restare da soli» replicò lui come se quanto esposto fosse ovvio.
«Ma non eravate stato voi a proporre a Nellie di trovarci qui?» incalzò Elaine, palesemente a disagio di restare da sola con lui, pur perfettamente nascosti dalle alte pareti di arbusti.
«Sì, lo ammetto, è stata una mia idea. Nellie mi ha spiegato che stavate male, che avevate bisogno di sole e passeggiate. Il giardino di Kew Garen poteva essere una buona via di mezzo per vederci e per i vostri così detti "bagni di sole"» spiegò con un sorriso, offrendo il braccio alla ragazza.
Elaine si soffermò a guardarlo, notando che non vestiva i soliti abiti da tuttofare. Indossava indumenti meno logori del solito, forse i migliori che potesse permettersi un uomo come lui, pur tenendo sul capo l'abituale flat cap.
«Non eravate obbligato a venire qui, Signor Collins» rispose la ragazza, accettando l'invito e prendendolo sottobraccio, riprendendo a seguire le vie del labirinto per trovarne un'uscita.
«Io avevo voglia di vedervi» rispose lui deciso senza guardarla, pur mantenendo il tono allegro di sempre, quasi quella stessa frase fosse dettata da semplice sarcasmo.
Tuttavia Elaine trasalì, non aspettandosi quelle parole tanto dirette. «Oh... capisco...» mormorò in difficoltà e in tono più basso.
«Voi non avevate voglia di vedermi, Elaine?» chiese, senza usare più i dovuti titoli, come se tra loro non vi fosse mai stata differenza.
Il volto della ragazza di fece dapprima pallido, per poi tingersi di un rosso acceso per l'imbarazzo, sottraendosi al suo sguardo e sentendo improvvisamente caldo.
La voglia di vederlo c'era, da sempre, così come quella di rimanere in sua compagnia, per quanto quello stesso desiderio litigasse furiosamente con ciò che la sua educazione le aveva da sempre imposto, attraverso una ferrea etichetta su ciò che fosse giusto o sbagliato, opportuno e inopportuno.
Elaine era combattuta dal desiderio per l'americano e al contempo ne era totalmente terrorizzata per ciò che potesse comportare.
Amava Viktor e faticava a non pensare che quello che stesse facendo fosse un errore, una mancanza di rispetto per l'uomo al quale aveva giurato fedeltà di fronte a Dio, ignara che proprio il conte era stato il primo a venire meno a quel voto solenne.
«Elaine?» domandò Ben, richiamandola alla realtà, visto il suo smarrimento e la mancata risposta alla sua domanda. «Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«No, non avete detto nulla di sbagliato, signor Collins» rispose lei, addolcendo il tono della voce, ma sempre mantenendosi formale, quasi si imponesse a sé stessa di mantenere quel distacco come un'ancora di salvezza.
Ci misero diversi minuti prima di uscire dal labirinto, trovandosi di fronte a uno dei sentieri che portava vero la pagoda, alta e imponente di fronte a loro.
«Come siete riusciti a entrare qui, signor Collins?» domandò la ragazza, continuando a passeggiare con il cuore che le galoppava nel petto, imperterrito.
«Conosco alcuni uomini che lavorano all'interno del parco e che si occupano delle piante» illustrò l'uomo osservando la costruzione dai mattoni marrone chiaro e rosso, con teste d'oro di dragoni orientali posti su ogni angolo del tetto.
La Pagoda era alta circa cinquanta metri, per quanto Elaine, così come anche Ben, non sarebbero stati in grado di ipotizzarne l'altezza. Tuttavia era visibile da tutto il parco e di essa si sentiva parlare da Londra stessa. In alcune giornate particolarmente chiare era persino possibile vederla dalla capitale; evento, purtroppo, assai raro.
«Saliamo?» domandò Benjamin, sempre tenendo stretto a sé il braccio della donna.
«Io non saprei, sembra molto alto e come sapete non sono stata molto bene in questo periodo»
«Non penso sia un problema, in caso dovesse essere necessario mi vedrò costretto a portarvi in braccio, se doveste sentirvi male» replicò lui sarcastico e ironico come al solito, ricevendo un'occhiata severa da parte della ragazza.
«Non credo di arrivare a tanto, Signor...»
«Ben...» l'anticipò l'americano «Chiamatemi Ben, Elaine. Siamo solo noi, non c'è nessuno che ci guarda o che vi guarda. Nessuno che può dirvi che quello che state facendo sia sbagliato o immorale» le fece notare lui, aprendo le braccia e mostrandole che erano del tutto soli.
«Io, io mi sento come se fosse tutto sbagliato, Benjamin» ammise lei chinando il capo. «Se qualcuno ci vedesse ci andreste voi stesso di mezzo e mio marito non mi sembra un uomo capace di perdonare. Non voglio che vi accada nulla per colpa mia.»
«Forse voi non conoscete abbastanza vostro marito per sapere davvero cosa sia in grado di fare, pensare o provare» rispose lui con tutt'altro tono di voce, tradendo una lieve irritazione e voltandosi per evitare che la contessa gliela leggesse in faccia.
Elaine si accigliò, riprendendo a seguirlo fino all'ingresso della pagoda nella quale si vedevano delle scale a chiocciola in legno salire verso l'alto.
«Come mai questa affermazione, Ben» azzardò lei, ormai accettando di mettere da parte a sua volta le divergenze sociali che li separavano.
«Nulla di rilevante, contessa. Sappiate solo che non me ne importa assolutamente nulla di cosa possa pensare vostro marito o di quello che potrebbe fare a me. Sono piuttosto preoccupato per voi,» le rispose entrando nella torre, porgendole poi la mano «ma lasciamo stare questi discorsi, milady. Questa giornata dovrebbe essere... come aveva detto Nellie? Tonificante per voi.» Sorrise, con gentilezza e allo stesso tempo una dolcezza alla quale Elaine si sentì attratta quanto una falena al bagliore del fuoco.
Lentamente, per evitare che l'aristocratica si affaticasse troppo, risalirono tutti i gradini fino a raggiungere la cima, dalla quale il panorama mostrava l'intero parco che si estendeva a vista d'occhio, di fronte alla capitale avvolta dall'immancabile nebbia.
Elaine respirò profondamente, assaporando l'aria fresca e frizzante, lasciando che la brezza le scivolasse sul viso e tra i capelli perfettamente ordinati e acconciati dietro al capo, sorridendo come liberata da un fardello che si trascinava dietro da troppo tempo.
«Vi piace?» domandò il ragazzo rimasto alle sue spalle, continuando a osservare la donna, ignorando del tutto il panorama.
Elaine sorrise, senza poterne fare a meno, voltandosi a guardarlo e annuendo con un sorriso sincero, privo di angosce o paure. «Sì, mi piace molto. Grazie, Ben» rispose, tornando a voltarsi. «Da qui sembra tutto così piccolo, tutto così diverso, e quest'aria è così fresca e piacevole...» mormorò, bloccandosi nel sentire la mano del ragazzo sulla sua spalla.
«State molto meglio quando sorridete e siete serena, Elaine» osservò lui con voce più bassa, nonostante il sorriso di lei svanisse all'istante, passando dall'ebrezza provata all'ansia di un'aspettativa cui lei stessa fosse incerta.
Ricordava quella sensazione e l'aveva chiara nella mente; la stessa che aveva provato il giorno delle sue nozze, all'interno carrozza dov'era rimasta sola con Viktor e si erano scambiati il loro primo bacio.
Il respiro si fece accelerato, mentre voltava il capo verso l'uomo che aveva accanto, stordita dall'emozione e al contempo dalla sua dannazione; combattuta dal forte desiderio di rivivere quelle sensazioni di cui sentiva la necessità, che anelava e non aveva più provato da mesi, di ritrovarsi di nuovo tra le braccia di qualcuno che desiderava e che la desiderasse.
Benjamin aveva un'espressione indecifrabile: sul suo volto appariva l'ombra del solito sorriso, pur il suo sguardo tradisse l'incertezza che da lei percepiva, quasi dubbioso se azzardare ciò che in quel momento anelasse.
Dalla spalla le dita del ragazzo suo coetaneo passarono a sfiorarne i lineamenti del viso, ignorando i respiri sempre più irregolari della ragazza che iniziava a percepire tutto sempre più indistintamente.
Il marinaio che aveva abbandonato la sua nave per camminare definitivamente sulla terraferma prese coraggio, lasciando che la mano si posasse definitivamente sul collo della contessa, chinandosi nel cercare il bacio anelato apparentemente da entrambi.
Fu solo il breve istante delle labbra sfioratesi, prima che Elaine si sottrasse a quel contatto, arretrando frettolosamente come a voler mettere rapidamente distanza, quasi si fossero improvvisamente bruciati l'un con l'altra.
Benjamin indietreggiò a sua volta, rivolgendo lo sguardo altrove e poggiandosi alla ringhiera con fare nervoso, turbato dal gesto quanto dal rifiuto stesso dalla ragazza.
Era stato incerto fino all'ultimo che lei non si tirasse indietro, convinto infine che avrebbe accettato quell'unione che entrambi desideravano, rimasto quindi amaramente deluso da ciò che invece la ragazza aveva fatto.
Note dell'autrice:
A Kew Garden esiste davvero una sorta di polizia privata, i Kew Constabulary, ufficializzati nel 1847.
La Palm House è tutt'ora la serra vittoriana esistente più grande al mondo.
Anche la Pagoda è tutt'ora in piedi ed è stata recentemente restaurata, tanto che è persino possibile visitarla. All'epoca era davvero un monumento d'eccezione, soprattutto per la veduta che aveva di Londra. I Labirinti in epoca vittoriana: Erano piuttosto di moda, ma a Kew Garden non ci sono dati che ne diano testimonianza e quindi lo specifico. Visto il giardino c'era un'alta possibilità che ci fosse ma non trovo fotografie o documenti che lo attestino. Tuttavia ho voluto ugualmente prendermi la libertà artistica e inserirlo, specificando che potesse essere quantomeno verosimile, ma non accertato.
* "Che il gatto possa mangiarti, e che il diavolo possa mangiarsi il gatto"
Il Flat Cap era l'abituale berretto utilizzato dalle classi sociali inferiori. Possiamo ricondurlo alla coppola, per quanto con tutta probabilità le sue origini sono anglosassoni.
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